domenica 23 febbraio 2025

Signori, un po' di rispetto!

La guerra dei trent’anni, ma già sta andando oltre, tra i politici e i magistrati, iniziata con la discesa in campo di Berlusconi, vede non solo l’abbassarsi di prestigio degli uni e degli altri ma anche di una parte di quel mondo che li circonda, quello dei giornalisti televisivi e dei giornalisti cartacei quando questi vanno in televisione. Non dovrei dirlo, dato che io sono un giornalista, sia pure pubblicista che mi rimanda alla mia professione di docente, alla quale tengo in maniera particolare. I giornalisti della carta stampata superano in rappresentazioni indecenti i loro colleghi televisivi quando pontificano dagli stessi luoghi, diventati in questi ultimi anni veri vomitatoi di insulti e di ingiurie. Chi qualche volta ha sentito Marco Travaglio, direttore del “Fatto Quotidiano”, dalla Gruber sulla 7 o del suo sodale Andrea Scanzi, non può non essersi fatto la doccia dopo la trasmissione, per farsi scivolare tutte le porcherie sparate a zero su tutto e tutti. Così anche sul fronte opposto, dove degli specialisti dell’insulto, veri killer, si esibiscono in aggressioni verbali nei confronti dei politici avversari. I signori della politica si combattono attraverso i loro “bravi”. Lo scadimento dell’ambiente lo si vede anche negli aspetti marginali. A sentire la Gruber rivolgersi agli ospiti presenti chiamandoli per cognome come se gli stessi non avessero un titolo, come se non fossero a volta onorevoli o ministri, professori o giudici, direttori o presidenti, viene di pensare che ormai siamo alla rappresentazione della società marmellata, dove non c’è più nemmeno un pezzettone. Chi sei tu, Gruber, a rivolgerti ad un parlamentare senza chiamarlo Onorevole o Senatore? Chi ti autorizza a dare del tu a Ministri e Sottosegretari? a trattare un presidente alla stregua di un anonimo usciere? Si tratta di bazzecole, si potrebbe dire. No, non è così. La forma è sostanza. E se pure la società non è una caserma, non è neppure la curva di uno stadio. Se una personalità del mondo della politica e della cultura diventa un cognome, senza nessun titolo, vuol dire che non la persona ha perso di valore ma il titolo e quel che il titolo sostanzia. Un professore, un procuratore della repubblica, un direttore, un presidente non possono essere chiamati per cognome come scolaretti. Devono essere riveriti in ciò che rappresentano. Se no si svilisce il titolo, gli studi, la funzione. Si strappa il rapporto di rispetto tra le persone, che hanno sicuramente un livello di parità ma hanno anche un livello di importanza, di rilievo sociale. Il pubblico che segue da casa, che sghignazza agli insulti, alla mancanza di rispetto verso una personalità, non può che giungere alla banalizzazione di tutto e di tutti. Finisce per ritenere normale rivolgersi ad un medico, ad un professore senza il dovuto rispetto, senza riguardo alcuno, a considerarlo un “laqualunque” qualsiasi da insultare e sbeffeggiare. Di qui le continue aggressioni a medici e a professori, una volta categorie tra le più rispettate. Lo stadio del male è così avanzato che nessuno si lamenta, nessuno protesta il proprio titolo e il legittimo rispetto, nessuno pretende il lei nella conversazione, come se fosse una richiesta fuori dal mondo; e invece non dovrebbe essere neppure una richiesta, ma un normale interfacciarsi tra persone che svolgono ruoli diversi. Proprio in televisione si dovrebbe dare l’esempio. Sembra, invece, che tutti si riconoscano in questo crogiuolo di maleducazione, di rissa, dove le vittime sembra che godano ad essere svillaneggiate. Si può pure capire l’imbarazzo di queste persone a richiedere di essere chiamate più correttamente col titolo che hanno, ma ormai al punto in cui siamo arrivati bisogna mettere da parte l’imbarazzo e dire: “egregia signora, egregio signore, si rivolga a me chiamandomi col titolo che mi spetta e mi dia del lei. Chi ci vede e ci ascolta deve sapere con chi lei sta parlando”. L’eccesso di confidenza, quando viene esposto – in privato il discorso è diverso – lede la dignità delle persone, in primis di chi si concede arbitrariamente di non osservare un minimo di galateo. Un po’ di anni fa in televisione, nel corso di una tribuna politica, Bettino Craxi si rivolse al direttore di Paese Sera del tempo con un’espressione popolare, “queste cose raccontale a tuo nonno”; l’altro si fece cupo in volto e chiese immediatamente a Craxi di scusarsi. Oggi sembra che tutto sia cambiato e che la normale educazione sia roba da rigattieri, quando mancano ancora solo le pacche sulle spalle e un rutto in faccia.

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