sabato 4 gennaio 2025

Governo, è tempo di fare

Vige una regola nel mondo del calcio: squadra che vince non si tocca. Un buon allenatore si guarda bene dal sostituire un giocatore quando con quel giocatore la squadra ha giocato bene e ha vinto. Il governo Meloni sembra aver fatto propria questa regola, a cui si appella la premier ogni qualvolta qualcuno o dalla opposizione o nella stessa maggioranza accenni a qualche sostituzione o ad un rimpasto. È accaduto che qualcuno ha dovuto dimettersi per cause di forza maggiore. Così la sottosegretaria Montaruli per essere stata condannata in un processo, così per il ministro della Cultura Sangiuliano per una nota vicenda più privata che pubblica. Di recente, dopo l’assoluzione al processo di Palermo, l’attuale ministro dei Trasporti e vice-premier, Matteo Salvini, ha dato l’impressione che non gli dispiacerebbe tornare al Viminale al posto di Piantedosi attuale ministro dell’Interno. Ogni volta che è accaduto si è sentito un coro di no, che la stabilità del governo è una risorsa importante per continuare a governare come fin dall’inizio si è detto. Perfino con la rinuncia alla Fiamma che è nel simbolo di Fratelli d’Italia le risposte sono state chiare: non è all’ordine del giorno, come dire: non se n’è mai parlato. Ovvio che le cose non stanno proprio così, le turbolenze ci sono, appena appena fatte passare dagli interessati per differenza di punti di vista. Se no – dicono – saremmo un solo partito, invece siamo in quattro, compreso Moderati per l’Italia. È normale che ci siano punti di vista diversi. Sta di fatto, però, che le frizioni tra esponenti dello stesso governo ma di partiti diversi sono aumentate negli ultimi mesi, specialmente tra i leghisti e i forzisti, in merito alla riduzione del canone Rai, voluto da Salvini, non voluto da Tajani. Se vogliamo, una bazzecola, da liquidare presto presto senza molto battibeccare. Ma dietro c’è un braccio di ferro fra questi due partiti che si contendono il secondo posto nella maggioranza. Intorno al dieci per cento essi salgono e scendono, un po’ l’uno e un po’ l’altro. Salvini vuole presentarsi all’elettorato come quello che taglia le tasse, Tajani si preoccupa invece di non far gravare sul bilancio dello Stato le entrate Rai per canone. A prescindere da chi nello specifico abbia ragione, la materia del contendere è irrisoria. Ridurre il canone? Ma lo sa Salvini che le emittenti private hanno fatto terra bruciata intorno al calcio incassando ogni anno milioni e milioni di euro dagli abbonamenti dei tifosi e degli appassionati? Che cosa vuole che sia il taglio di poche decine di euro dal canone Rai? Altre sono le tasse da tagliare e altro discorso è la lotta all’evasione fiscale! La tenuta del governo passa attraverso queste contrapposizioni che nascondono sempre un dato politico. Non ha senso nascondersi dietro l’ovvio di essere diversi. Ma qui si tratta di operare nei fatti e sui fatti; e qui dovrebbero essere tutti meno litigiosi. Nell’anno terzo del governo Meloni si aprono opportunità importanti per affrontare poi la parte finale della legislatura. Se pure questo terzo anno passa senza che il governo mostri di aver conseguito dei risultati, le elezioni del 2027 saranno più complicate. Facciamo degli esempi concreti: che ne è della riforma della giustizia? Che del premierato? Che dell’autonomia differenziata? Che dell’immigrazione e della soluzione Albania? Che della sanità? Che della scuola, della quale se ne parla da sempre senza mai portare nulla di solido e di concreto? Che dei trasporti, che nel nostro paese diventano sempre più aleatori per i tanti scioperi? Dividersi e confrontarsi è positivo purché non diventi condizione di parlare parlare senza nulla combinare. Su queste problematiche diventa non dico urgente ma almeno compiere qualche passo avanti significativo. La gente ha bisogno non solo di sentire, ma anche e soprattutto di vedere, di vivere i cambiamenti. Quando la premier Meloni dice che lei vuole vedere l’Italia al termine della legislatura meglio di come era all’inizio del suo mandato ha ragione, ma la formula appare anche un po’ sibillina, nel senso che alla fine una porta per uscire da una situazione difficile la si trova sempre. Si ha ragione, perciò, di temere che le frizioni tra le varie componenti della maggioranza aumenteranno sempre più man mano che si va verso la fine della legislatura e la conseguente campagna elettorale, quando si parlerà di candidature e soprattutto si scatenerà la lotta a chi prende più voti. Allora il governo potrà dimostrare di essere soddisfatto o meno al cospetto del popolo italiano e magari riuscire a portare quanti più elettori al voto, più fiduciosi di prima.

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