sabato 25 gennaio 2025

Di questo solo oggi possiamo essere contenti

È curioso come in questo paese i leader politici a confronto recitino interscambiandosele le stesse parti, come dei copioni che si passano passandosi i ruoli, come la campanella da un presidente all’altro. Chi è all’opposizione è sempre sul piede di guerra, chiede le dimissioni dei ministri o sottoministri in carica anche per un nonnulla, cerca di smascherare le iniziative della maggioranza, i suoi casi, le sue vicende. Al governo si danno tutte le responsabilità di quel che accade, anche delle bombe d’acqua o degli straripamenti di fiumi e fiumiciattoli. Chi è al governo ricorre a tutti i sistemi pur di non cedere di un millimetro alle ragioni degli avversari; minimizza, temporeggia. Abbiamo visto decine di volte in televisione quando la Meloni spiegava agli italiani la questione delle accise sulla benzina promettendo di toglierle se avesse vinto le elezioni e fosse andata al governo. Dalla Meloni, ora che è al governo, silenzio sulle accise. La ministra Santanchè, del suo stesso partito, è rinviata a giudizio. Dovrebbe dimettersi? Se la Meloni fosse all’opposizione e il ministro rinviato a giudizio fosse in maggioranza, non ci sarebbero dubbi sulle richieste di dimissioni, con tanto di indignazione a corredo. Si dimetta! Repubblica delle banane! Chieda scusa agli italiani! Ma, siccome è capo del governo, tace e lascia agli oppositori di indignarsi, mentre lei spera che tutto si sgonfi nel giro di qualche giorno. Insomma, le solite parti nella solita commedia. I comici, a partire da Totò e del suo Antonio La Trippa, lo hanno spiegato molto bene agli italiani. I quali non tutti reagiscono alla stessa maniera. Alcuni sono stanchi di vedere politici di opposizione arrabbiarsi e politici di maggioranza far finta di niente. Altri si sono convinti che così funziona la democrazia in Italia, che è pur sempre meglio di dove non c’è democrazia e bisogna ridere o piangere se ride o piange il dittatore, come accade ancora in tanti paesi del mondo. Conveniamo tutti che è meglio tenerci stretta la nostra democrazia, che ci consente perfino di non votare quando non ne sentiamo la voglia. Del resto fu Churchill, uno che ne sapeva, a dire che la democrazia è il più brutto sistema di governo eccetto tutti gli altri. L’elettorato che ancora va a votare si sta riducendo di volta in volta. Oggi c’è circa il cinquanta per cento che non vota perché ritiene che sia inutile, che questo o quello pari sono. Il mantra è: promettere per non mantenere. Prova ne sia che a seconda della collocazione, il leader, a prescindere da quel che ha detto in campagna elettorale o ancora prima, si dispone a recitare la sua brava parte. Tutto si riduce alla bravura con cui la recita. La Meloni riesce a farsi credere di più della Schlein, non perché sia più brava ma perché per un dato naturale è più in sintonia con la gente, la quale, anche se sa che in fondo promette ma non mantiene, pensa all’alternativa e la preferisce. Allora, non c’è niente da fare? È tutto scontato? Non è proprio così. Diciamo che c’è una misura e che questa prima o poi si colma. Questo accade quando si verificano casi particolari in successione. Come in questi giorni in Italia. C’è stato prima il caso dell’ingegnere iraniano liberato in cambio della liberazione della nostra giornalista, poi il caso della Santanchè rinviata a giudizio, poi il caso del generale libico famigerato torturatore di migranti prima arrestato e poi riportato in Libia con un aereo dell’Aeronautica militare italiana, poi i trasporti che non funzionano, poi lo sciopero dei magistrati, poi la delinquenza diffusa nelle nostre piazze e strade che di notte, e non solo di notte, diventano territorio “nemico” con orde di giovani migranti e non che si affrontano per prevalere in attività criminali. Il quadro si completa con qualche femminicidio, con un medico picchiato in Pronto soccorso e con qualche altra follia. Questi sono i casi che ogni giorno i giornali sciorinano e sui quali si sviluppano dibattiti televisivi con le parti preschierate. Non politici a confronto, quello avviene in Parlamento, ma schierani della maggioranza e schierani dell’opposizione, che rendono con le loro velenosità, anche personali, meno credibili le argomentazioni pro o contro. Questa è la democrazia, non perdiamola di vista. I cittadini liberi parlino liberamente, votino altrettanto liberamente, si facciano carico di qualche verità. Noi, ostinati elettori, facciamo come diceva una vecchia canzone di Achille Togliani. Una volta nei viottoli di campagna, nel buio della notte, fra le erbacce che delimitavano da una parte e dall’altra brillavano le lucciole; esse non facevano luce sufficiente a vedere, ma consentivano di seguire la via. Di questo solo oggi possiamo accontentarci. Da qualche parte ne usciremo.

sabato 18 gennaio 2025

Meloni e il caso Sala

Il Ministro di Giustizia Carlo Nordio, dopo la liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala, disse che il caso niente aveva a che fare con quello dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini-Najafabani arrestato a Milano dalla nostra Digos. Aggiunse, sotto l’incalzare di un giornalista, che i casi erano differenti anche se paralleli. Ora, si sa, che due rette parallele non s’incontrano mai. Benedetta italianità! Invece qui si sono “incontrate”. Vuol dire che proprio rette non erano. O per lo meno non era retto il discorso. Come si può continuare a non ammetterlo? Gli iraniani arrestarono la nostra giornalista tre giorni dopo che noi avevamo arrestato il loro ingegnere. E perché la arrestarono? per dire: cari amici italiani, voi liberate il nostro ingegnere e noi liberiamo la vostra giornalista. Ed è quanto è avvenuto, con la sola variante che ad essere liberata per prima è stata la nostra giornalista, ma era un dettaglio dell’affaire. Non è stata una bella pagina politica, diciamo la verità. Lo è stata per un prossimo libro Cuore, che sicuramente scriverà deamicisianamente qualcuno, magari la Meloni nel suo prossimo libro. Intendiamoci, davanti ad una vita umana salvata hanno dovuto star zitti e fingere di essere contenti perfino quelli delle opposizioni, che di solito saltano e cantano come grilli d’estate ad ogni calar della sera. Ma le cose, raccontate per come sono, portano a considerazioni un po’ diverse. Che sia o meno opportuno di dirle è un altro discorso. Per fortuna non tutti in Italia fanno politica, qualcuno che si mette in un angolo e le cose le dice come stanno ancora c’è. L’arresto della nostra giornalista è stato un sopruso da parte di uno Stato, quello iraniano, che nella circostanza si è comportato come un boss mafioso. Ha arrestato una giornalista straniera senza un motivo, dato che l’accusa di aver violato le leggi islamiche non significa nulla se non vengono specificati i reati. Era chiara l’intenzione fin dal primo momento. O lasciate libero il nostro ingegnere o noi teniamo all’addiaccio, senza cuscino e senza occhiali, la vostra giornalista. Era evidente che la Sala era solo un ostaggio, che serviva per il ricatto. L’ingegnere, invece, è accusato dalle autorità americane di terrorismo. La situazione era asimmetrica. Lo scambio che c’è stato, la giornalista per un terrorista, non è accettabile. Nessuno Stato si piega a simili ricatti. E noi abbiamo assai illustri esempi. Per Moro non ci fu niente da fare e ancora oggi chi ha il senso dello Stato plaude al comportamento dell’allora classe politica e governativa italiana, che non intese cedere. Probabile che se invece di una donna, Giorgia Meloni, in Italia ci fosse stato un Capo del Governo uomo le cose sarebbero andate diversamente, come sono andate in passato. Anche qui è appena il caso di ricordare il capo dei terroristi palestinesi Abu Abbas liberato da Craxi e il più recente imprenditore russo, Artem Uss, sempre richiesto dagli Americani, messo nelle condizioni di scappare. Forse avremmo fatto lo stesso con l’ingegnere iraniano. L’avremmo lasciato andare. Di diverso c’è la Meloni, che secondo papa Francesco non è né popolare né populista, è popolana; e si sa che i popolani la pensano e agiscono alla sans façon. Non volendo guastare i buoni rapporti che ha con gli Americani è volata da Trump e gli ha detto: senti, dobbiamo liberare la nostra ragazza e c’è un solo modo per farlo, liberando l’ingegnere che voi volete che noi vi estradiamo. Il buon Trump, che non mette molto a sintonizzarsi con la Meloni, ha acconsentito senz’altro, ed ecco che il caso è stato risolto alla fai e faccio. Questione finita? Magari! Il caso costituisce un precedente pericoloso. Se ogni volta che le autorità di altri paesi ci chiedono di arrestare qualcuno e di consegnarglielo secondo le leggi internazionali, noi rischiamo arresti di nostri connazionali a scopo di ricatto, andiamo bene! Di nuovo la Meloni o chi per lei prende il volo e va a contrattare scambi e rilasci? E chi si trovasse al posto della Meloni sarebbe dello stesso avviso, di andare a mortificare la dignità dello Stato sia pure per salvare una vita umana? Si consideri che il gesto della Meloni non è ascrivibile ad un capo di governo nell’esercizio delle sue funzioni. Se così fosse dovrebbe fare la stessa cosa in altri similari casi. La Meloni invece si è comportata da mamma e ad una mamma neppure Trump ha saputo dire di no. Si comporterà allo stesso modo se dovesse proporsi un altro caso del genere? Dubito, potrebbero non esserci le condizioni. A questo punto è la filiera che conviene spezzare. Non si arresta più nessuno in nome e per conto di altri e ognuno si gratti la tigna con le sue mani.

sabato 11 gennaio 2025

Vanini, un chiarimento con Raimondi

Il professor Francesco Paolo Raimondi ha postato recentemente nel sito «Archivio Giulio Cesare Vanini. Iliesi - Cnr», di cui è responsabile, una noticina che, riguardandomi, mi obbliga a qualche chiarimento. In «Bacheca» ha scritto: «Ha conosciuto una infelice riedizione uno dei più beceri pamphlet antivaniniani, violentemente polemico, scritto da Salvatore Casto contro la celebre epigrafe dettata da Giovanni Bovio in memoria del filosofo taurisanese, "arso, non confutato" e "consacrato al secolo vendicatore". Il libello fu pubblicato in Lecce nel 1908 con lo pseudonimo Nescius e con il pomposo titolo L'iscrizione lapidaria per Vanini Una lucciola tra splendidi pianeti ossia Dialogo tra un Clericaletto ed un Vaniniano in una riunione di altri Vaniniani (in Lecce). Esso è riprodotto "in trascrizione critica e in riproduzione fotografica", come se si trattasse di opera di alto livello letterario, da G. MONTONATO, Cronache vaniniane, Taurisano, 2016 (in concomitanza e in contrapposizione ideologica con l'erezione del monumento a Vanini). Di non diversa ispirazione è l'altro volumetto dello stesso autore Di Vanini... ultimo dialogo a Tolosa, Taurisano 2019 (in concomitanza con il Convegno vaniniano), il quale manca di qualsivoglia valore letterario o storiografico. Tali sono peraltro altri occasionali contributi che, dettati da pregiudiziale ostilità, compaiono sulle pagine di un giornale locale "Presenza Taurisanese", pur essendo privi di consistenza storica e filosofica». Incominciamo col dire che nel primo caso, Dialogo tra un Clericaletto e un Vaniniano, si tratta di un documento storico, degno del massimo rispetto, a prescindere dai suoi contenuti di merito. Uno storico, quale è il professore Raimondi, sa che un documento o è autentico o è falso, tertium non datur. Stabilito che è autentico, lo storico che lo disprezza perché non ne condivide i contenuti è come quel medico che si rifiuta di curare un malato perché non gli piace la faccia. Che sia stato pubblicato in concomitanza di un evento importante è prassi editoriale e giornalistica, che vale per tutti i personaggi e i fatti della storia e della letteratura. Quanto alla «contrapposizione ideologica con l’erezione del monumento a Vanini» attribuitami è pura invenzione. Lo sanno tutti, dal Sindaco all’Assessore alla Cultura del tempo, ai lettori di «Presenza Taurisanese», che sono sempre stato favorevolissimo al monumento e che la mia contrarietà a far parte della relativa commissione è da attribuire alla presenza nella stessa del professor Raimondi. In molte circostanze, anche scritte, ho sempre plaudito alla realizzazione di quel monumento, al suo autore e al Comune che lo ha voluto. Avrebbe forse preteso che gli chiedessi l’autorizzazione per pubblicare il documento? Quanto al volumetto Di Vanini…ultimo dialogo a Tolosa, si tratta di un testo di pura fantasia, scritto in assoluta libertà. Credo che se il professor Raimondi lo avesse letto se ne sarebbe facilmente avveduto. Concomitanza? Sì, e allora? Forse il professor Raimondi, ancora una volta, avrebbe preteso il suo imprimatur? Via, scenda a terra! Parla di una mia «pregiudiziale ostilità». Ma quando mai? Posso dimostrare in qualsiasi momento che ho sempre parlato bene di tutto ciò che è stato fatto a Taurisano per Vanini e per altri personaggi locali. Non essendo il caso di elencare tutti gli eventi di cui sono stato ideatore e realizzatore, spesso in collaborazione del professor Raimondi, taccio per buon gusto. Prima di parlare – gli disse un po’ di anni fa un prete ortodosso – bisogna documentarsi. Non occorre che glielo ripeta io, adesso. Purtroppo è così preso a leggere le cose sue che le altre cerca di divinarle. Ma soprattutto la finisca con la sua idea padronale ed esclusivista della cultura, che fra tutti i vizi che possa avere un intellettuale è il più ridicolo. Prof. Luigi Montonato

sabato 4 gennaio 2025

Governo, è tempo di fare

Vige una regola nel mondo del calcio: squadra che vince non si tocca. Un buon allenatore si guarda bene dal sostituire un giocatore quando con quel giocatore la squadra ha giocato bene e ha vinto. Il governo Meloni sembra aver fatto propria questa regola, a cui si appella la premier ogni qualvolta qualcuno o dalla opposizione o nella stessa maggioranza accenni a qualche sostituzione o ad un rimpasto. È accaduto che qualcuno ha dovuto dimettersi per cause di forza maggiore. Così la sottosegretaria Montaruli per essere stata condannata in un processo, così per il ministro della Cultura Sangiuliano per una nota vicenda più privata che pubblica. Di recente, dopo l’assoluzione al processo di Palermo, l’attuale ministro dei Trasporti e vice-premier, Matteo Salvini, ha dato l’impressione che non gli dispiacerebbe tornare al Viminale al posto di Piantedosi attuale ministro dell’Interno. Ogni volta che è accaduto si è sentito un coro di no, che la stabilità del governo è una risorsa importante per continuare a governare come fin dall’inizio si è detto. Perfino con la rinuncia alla Fiamma che è nel simbolo di Fratelli d’Italia le risposte sono state chiare: non è all’ordine del giorno, come dire: non se n’è mai parlato. Ovvio che le cose non stanno proprio così, le turbolenze ci sono, appena appena fatte passare dagli interessati per differenza di punti di vista. Se no – dicono – saremmo un solo partito, invece siamo in quattro, compreso Moderati per l’Italia. È normale che ci siano punti di vista diversi. Sta di fatto, però, che le frizioni tra esponenti dello stesso governo ma di partiti diversi sono aumentate negli ultimi mesi, specialmente tra i leghisti e i forzisti, in merito alla riduzione del canone Rai, voluto da Salvini, non voluto da Tajani. Se vogliamo, una bazzecola, da liquidare presto presto senza molto battibeccare. Ma dietro c’è un braccio di ferro fra questi due partiti che si contendono il secondo posto nella maggioranza. Intorno al dieci per cento essi salgono e scendono, un po’ l’uno e un po’ l’altro. Salvini vuole presentarsi all’elettorato come quello che taglia le tasse, Tajani si preoccupa invece di non far gravare sul bilancio dello Stato le entrate Rai per canone. A prescindere da chi nello specifico abbia ragione, la materia del contendere è irrisoria. Ridurre il canone? Ma lo sa Salvini che le emittenti private hanno fatto terra bruciata intorno al calcio incassando ogni anno milioni e milioni di euro dagli abbonamenti dei tifosi e degli appassionati? Che cosa vuole che sia il taglio di poche decine di euro dal canone Rai? Altre sono le tasse da tagliare e altro discorso è la lotta all’evasione fiscale! La tenuta del governo passa attraverso queste contrapposizioni che nascondono sempre un dato politico. Non ha senso nascondersi dietro l’ovvio di essere diversi. Ma qui si tratta di operare nei fatti e sui fatti; e qui dovrebbero essere tutti meno litigiosi. Nell’anno terzo del governo Meloni si aprono opportunità importanti per affrontare poi la parte finale della legislatura. Se pure questo terzo anno passa senza che il governo mostri di aver conseguito dei risultati, le elezioni del 2027 saranno più complicate. Facciamo degli esempi concreti: che ne è della riforma della giustizia? Che del premierato? Che dell’autonomia differenziata? Che dell’immigrazione e della soluzione Albania? Che della sanità? Che della scuola, della quale se ne parla da sempre senza mai portare nulla di solido e di concreto? Che dei trasporti, che nel nostro paese diventano sempre più aleatori per i tanti scioperi? Dividersi e confrontarsi è positivo purché non diventi condizione di parlare parlare senza nulla combinare. Su queste problematiche diventa non dico urgente ma almeno compiere qualche passo avanti significativo. La gente ha bisogno non solo di sentire, ma anche e soprattutto di vedere, di vivere i cambiamenti. Quando la premier Meloni dice che lei vuole vedere l’Italia al termine della legislatura meglio di come era all’inizio del suo mandato ha ragione, ma la formula appare anche un po’ sibillina, nel senso che alla fine una porta per uscire da una situazione difficile la si trova sempre. Si ha ragione, perciò, di temere che le frizioni tra le varie componenti della maggioranza aumenteranno sempre più man mano che si va verso la fine della legislatura e la conseguente campagna elettorale, quando si parlerà di candidature e soprattutto si scatenerà la lotta a chi prende più voti. Allora il governo potrà dimostrare di essere soddisfatto o meno al cospetto del popolo italiano e magari riuscire a portare quanti più elettori al voto, più fiduciosi di prima.