sabato 26 ottobre 2024
Ennio Licci, venticinque anni dopo
Ennio Licci morì il 28 ottobre 1999. Una data di morte iconica, anniversario della Marcia su Roma. Certe coincidenze hanno dello straordinario. Aveva 56 anni ed era missino, ovvero fascista, ovviamente per come poteva essere un fascista in democrazia: formalmente rispettoso della Costituzione e delle leggi dello Stato. Per essere percepiti fascisti era – ed è sufficiente ancora oggi – avere del fascismo storico un’opinione diversa dalla vulgata resistenziale e antifascista.
Per le sue idee politiche, come tutti i missini-fascisti, Ennio era sistematicamente escluso dai fasti democratici e antifascisti, chiusi nella formula rigida dell’Arco costituzionale. Questo abbracciava tutti i partiti che avevano concorso all’elaborazione e all’approvazione della Costituzione, partito comunista compreso. Il Msi non poteva essere incluso perché quando si votò per eleggere l’Assemblea Costituente, il 2 giugno 1946, non esisteva; fu fondato il 26 dicembre di quell’anno. E chi si era trovato, trovato! Ma, posto che a quella data fosse esistito, non sarebbe stato chiamato lo stesso a far parte dei costituenti a causa della sua origine, dichiaratamente “fascista”.
Ennio prestò il servizio militare in Marina. Si laureò in Lingue e Letterature Straniere, quadriennalista di inglese. In Inghilterra era stato per specializzarsi nella conversazione in lingua, mantenendosi a Londra facendo il cameriere. Non che la sua famiglia non fosse in condizione di mantenerlo agli studi anche in Inghilterra, ché era una delle più benestanti di Ruffano; ma lui volle fare anche un’esperienza lavorativa, della quale era particolarmente orgoglioso.
La sua attività politica era intensa e continua, andava dall’organizzazione e partecipazione a Ruffano, suo paese, alle elezioni amministrative, alla propaganda politica nei comuni vicini, al controllo del territorio, fondando sezioni e assistendole con varie iniziative politiche. Per questa sua attività fu eletto due volte al Consiglio Provinciale per un periodo di dieci anni, dove ebbe modo di distinguersi in alcuni settori della pubblica amministrazione, come riconobbe l’On. Giacinto Urso suo presidente della Provincia in occasione di una cerimonia commemorativa.
Lo sconvolgimento dei primi anni Novanta con Tangentopoli, Mani Pulite, Berlusconi e lo sdoganamento del Msi, vide Ennio Licci, come tutti i missini-fascisti, iniziare un percorso accidentato. Il Msi-Destra Nazionale, nel Congresso del 1995 a Fiuggi chiuse col Msi, divenne Alleanza Nazionale. Il partito si scisse ed Ennio seguì Pino Rauti che fondò il Msi-Fiamma Tricolore. Questo partito non ebbe molta fortuna. Ennio, in disaccordo con i dirigenti provinciali, lo lasciò. In un primo momento si propose di fondare la “Repubblica Salentina”, una lista locale più che un partito per non disperdere il suo seguito elettorale che a Ruffano era assai consistente. Ma anche perché in lui, negli ultimi tempi, c’era un attaccamento al territorio e alla sua storia, al localismo, che non poteva prescindere dai Borbone e dalle rivendicazioni meridionalistiche. La sua “repubblica” rimase un’idea. Ma presto cercò di tornare in campo aderendo a Mani Pulite, il partito fondato da Antonio Di Pietro, uno dei più determinati giudici di Tangentopoli. Con questa lista tornò in Consiglio Comunale. Fu l’ultimo tratto della sua lunga attività politica.
Una malattia lo aggredì nell’estate del 1999 e non lo fece arrivare ad affacciarsi al nuovo millennio. Anche da questo fu escluso. Aveva appena iniziato il suo ultimo anno scolastico, sarebbe andato in pensione dall’inizio del successivo. Lui, che da sempre aveva eletto il fare come principio di vita, non giunse alla quiescenza, nella quale sperava di impegnarsi ancora di più in politica.
Difficile dire dove Ennio sarebbe finito politicamente se non fosse morto. Spesso me lo sono chiesto. Dopo il ritiro di Antonio Di Pietro e la fine di Mani Pulite, probabilmente avrebbe aderito, non foss’altro che per la novità, al movimento di Grillo, dove sono andati a finire tanti missini-fascisti. Forse avrebbe coronato la carriera politica in Senato o alla Camera, vista l’abbondanza di eletti grillini nel 2013 e nel 2018. Ma è una supposizione mia, del tutto capotica. Certo, fermo non sarebbe rimasto. Aveva della politica un’idea soprattutto del darsi da fare. A me sarebbe piaciuto che fosse tornato a destra, magari in Fratelli d’Italia. Ma questi sono sentimentalismi del tutto personali.
Una cosa è certa. Lui sarebbe potuto finire, per somma di paradossi, anche in un partito dichiaratamente antifascista, sarebbe rimasto sempre lui, con le sue idee, con la sua storia, con quella bellissima e fornitissima biblioteca, a cui io attingevo continuamente per le mie ricerche. Dove spiccavano i suoi cimeli, la raccolta di Critica Fascista di Giuseppe Bottai, l’autografo di Gabriele D’Annunzio, le foto con Giorgio Almirante, la katana appesa, le foto di Juko Mishima, di Julus Evola e di Ezra Pound, l’emblema della casa borbonica. Dove lui si sentiva nel suo mondo, ed era se stesso.
sabato 19 ottobre 2024
Affare migranti: giudici dalla mentalità comunista
Io credo che prima o poi in Italia ci dobbiamo porre il dilemma se stare in una dittatura di giudici o in una dittatura di politici. Non sembri l’esagerazione di un catastrofista, dovuta all’ultima recentissima presa di posizione di alcuni giudici contro l’iniziativa politica del governo di trasferire i migranti in Albania in attesa di chiarirne la posizione, ovvero di accoglierli o di respingerli.
Alla magistratura bisogna mettere un limite, un off-limits, che è la sfera di operatività che spetta alla politica e solo alla politica. Il che non significa che un politico può fare quel che vuole, nella sfera del suo privato resta un cittadino come tutti gli altri. Nell’esercizio politico risponde solo al popolo italiano.
Non è possibile che qualche azzeccagarbugli con qualche cavillo giuridico mortifichi e danneggi l’azione del governo, che si svolge nell’interesse della nazione e con ciò partecipi alla lotta politica, favorendo una parte in favore di un’altra. Parliamo, come sempre, senza peli sulla lingua, come una volta si diceva prima che si introducesse il politicamente scorretto. Ancora non è né reato né peccato.
In materia di immigrazione ai giudici non va bene il metodo Salvini, che rischia sei anni di carcere per aver fatto esattamente quel che il suo dovere gli imponeva di fare da ministro dell’interno nella forbice delle opportunità che aveva. Ai giudici non va bene neppure il metodo Meloni, che ha fatto spendere al Paese circa un miliardo di euro per portare temporaneamente i migranti in Albania. Una soluzione, questa, al vaglio di altri paesi europei, nell’ipotesi di adottarla, ultimo l’Olanda. Per i giudici non ci sono paesi sicuri e neppure l’Albania lo è. Dunque per questi giudici, autori di un provvedimento che farebbe ridere se non irritasse dal più profondo, l’unico paese al mondo sicuro è l’Italia. E lo credo bene, coi giudici che abbiamo! Per loro, per i giudici dico, in opposizione al governo e a gran parte del popolo italiano, che si è espresso chiaramente due anni fa – se ha un senso votare in democrazia! – i migranti che arrivano in Italia devono essere accolti tutti, tutti da spesare e inserire nel tessuto sociale della Nazione. Quanti sono, sono! Quanto costano, costano! Sono esseri umani come noi! Così, oltre a questi giudici, parla solo il Papa. Che però non è responsabile di niente, non si impegna col popolo, non viene eletto se non da Dominedio tramite il suo emissario lo Spirito Santo. I giudici, perciò, in dispregio di chi si è affidato col voto ad una classe politica, vogliono ribaltare la volontà popolare. Se il popolo avesse votato in maggioranza la coalizione del centrosinistra avrebbe dato un mandato sicuro: accogliamo i migranti. Invece ha voluto dare un messaggio diverso, opposto, e ha votato in maggioranza il centrodestra. È un ragionamento così semplice quanto il problema della mamma che va al mercato con cento euro in tasce, ne spende cinquanta, e si chiede: quanto mi resta in tasca?
Un affare pericoloso frustrare il popolo che ha a sua disposizione due elementi: la Costituzione di diritto e quella di fatto. Quando tra l’una e l’altra si crea il vuoto, allora possono succedere cose gravi. Il popolo, lo sappiamo, ha tanta pazienza, ma poi improvvisamente la perde. Maestà, disse il maggiordomo a Luigi XVI che dormiva tranquillamente, il popolo sta per entrare nella reggia. Che cosa è, gli rispose il re, una protesta? No, ribattè il maggiordomo, la rivoluzione!
Fino a questo punto uno può obiettare: ma si tratta di pochi giudici e tutti notoriamente di sinistra, per non dire comunisti della peggiore specie, di quelli che si mimetizzano per combattere e colpire meglio. La gente deve sapere che non ci sono giudici comunisti, ma comunisti giudici. La posposizione dei termini non è senza senso, significa che i comunisti antepongono sempre il loro essere comunisti a qualsiasi attività svolgano. I comunisti sono quelli che per il partito, ne sono prova i tanti processi staliniani e non solo, si accusano da soli pur di non tradire il loro credo. I comunisti sono quelli che in qualsiasi posto di lavoro si trovino, pensano prima di tutto di essere al servizio del partito.
Neppure i politici del centrosinistra si azzardano in campagna elettorale di dire senza equivoci, giochi di parole, riferimenti umanitari e pietistici, che se vincono loro aprono a tutti indistintamente, perché sanno che rischierebbero non di non di vincere le elezioni ma di subire un annientamento. I giudici dall’alto o dal basso della loro situazione lo danno ad intendere non perché ci credano ma perché da anni in Italia la magistratura di sinistra è una portaerei in grado di colpire chiunque non la pensi in un certo modo. In lizza non c’è più il partito comunista. Ma ci sono le mentalità, che non tanto facilmente spariscono.
sabato 12 ottobre 2024
A margine di un convegno su Matteotti
Ci sono persone a cui non manca l’erudizione, a volte ne hanno pure troppa, mancano di cultura; a cui non manca neppure la perspicacia, mancano di galateo. Sanno perfettamente che cos’è un convegno di studi, ma si comportano come se fossero in piazza e fanno comizi, sguaiati e scomposti, mancanti di rispetto per se stessi e per gli altri, vivi e morti.
È capitato la sera di venerdì, 11 ottobre, nella Biblioteca Bernardini di Lecce, dove era in svolgimento un convegno sul delitto Matteotti, in ricorrenza del suo centenario, organizzato dalla sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia.
Ad un certo punto ha preso la parola la prof.ssa Anna Stomeo, che con garbo, ma con qualche acrobazia metodologica ha stabilito un rapporto di prefigurazione tra la situazione in cui avvenne il delitto Matteotti e la situazione odierna. Discutibile il suo punto di vista ma proposto con argomentazioni interessanti e dotte, tra Auerbach ed Eco. Saltiamo il mio intervento, ne parlo dopo. Poi è stato il turno di Maurizio Nocera, il quale da locandina doveva svolgere un intervento dal titolo che incuriosiva, Matteotti, un antifascista antelitteram, diventato poi Matteotti e basta, come era normale che fosse in mancanza di un’idea. Nocera, noto antifascista, già presidente dell’Anpi leccese, si è prodotto in una urlata professione di antifascismo, ribadendo di essere un compagno e che Matteotti fu ucciso su mandato di Mussolini e che la situazione odierna presenta aspetti molto simili a quelli di cento anni fa. Ma è stato Ettore Bambi, storico del giornalismo, autore un po’ di anni fa di un testo diventato cult per chi segue questo settore, Stampa e società nel Salento fascista, a passare il segno della compostezza e del rigore. Bambi ha detto papale papale che la situazione di oggi, col governo di centrodestra, richiama quella in cui fu ucciso Matteotti e che la Meloni coi suoi decreti sicurezza richiama le leggi liberticide. Il tutto in un urlato tono da comizio rionale.
Ora, nei convegni della Società di Storia Patria non c’è mai dibattito. Così, chi parla prima deve sorbirsi tutto quello che gli altri dicono dopo, a volte con riferimento esplicito, altre tacendo il destinatario. Cosa ho detto io prima di leggere la relazione preparata per stare nei termini di tempo stabiliti? Ho fatto un cappelletto, in cui dicevo che forse sarebbe il caso prima o poi di parlare di Matteotti, sapere chi era, da dove veniva la sua famiglia, il carattere scostante e superbo, la sua irriducibilità, non per giustificare la sua condanna a morte, ma per capire meglio il personaggio, la sua figura. Probabilmente è stato questo che ha provocato il tilt di alcuni, ché per il resto ho detto esattamente quello che la gran parte degli storici più accreditati dicono, citandoli regolarmente, eccedendo in ovvietà.
L’accaduto, che a me sembra di non dover trascurare, dimostra come in questo Paese si vive all’insegna dell’intolleranza, benchè si parli di democrazia come si beve l’acqua d’estate per dissetarsi. Oggi c’è una situazione imparagonabile a quella di cento anni fa. Se così non fosse il capo o la capa dell’opposizione, Eddy Schlein, rischierebbe di fare la fine di Matteotti e noi non potremmo fare convegni e comizi per dire tutto quello che ci passa per la mente. Ora vediamo che simili scenari sono da visionari mattoidi. Insistere nel fare paragoni improponibili si manca di rispetto per tutte quelle persone che vissero quegli anni, difficili e drammatici, in cui ci furono migliaia di vittime, da una parte e dall’altra, come perfino Antonio Scurati, nel suo libro Mussolini il figlio del secolo, ammette. Tutti gli storici seri sono d’accordo nel dire che ad incominciare a dare mazzate nel dopoguerra furono i socialisti (biennio rosso) e che solo dopo, nel ‘21-’22 (biennio nero), si diffuse lo squadrismo fascista, al servizio, riconosciamolo pure, in certe zone del Paese, degli agrari, stanchi di subire violenze ed angherie dai “rossi”.
L’impressione che oggi si ha, di fronte a certe manifestazioni di opposizione preconcetta, è che si vorrebbe ricreare quelle situazioni allo scopo folle, questa volta, di far piazza pulita dei nemici. Il ritorno alla ragione e alla compostezza aiuta a risolvere i gravi problemi dell’Italia, dell’Europa e del mondo, in un momento in cui la violenza, questa sì e non solo politica, sembra farla da padrone. Il governo di centrodestra è stato voluto dagli italiani, i quali non hanno votato con la legge Acerbo, tra brogli e violenze, ma con una legge democratica e nella serenità degli elettori.
sabato 5 ottobre 2024
La Sinistra non sa che pesci pigliare
Le ultime «onde bige» della gran palude limacciosa in cui si trova ora la sinistra non fanno rimpiangere il campo largo, e questo francamente dimostra come l’euforia di trovarsi alla vigilia di una grosse koalition era più che altro per mascherare la delusione incombente. La sparpagliata è giunta in modi diversi. In Azione, la creatura politica di Carlo Calenda, si sono ribellati alcuni e se ne sono usciti senza ipocrisie. Di stare a sinistra nel campo largo, fianco a fianco coi comunisti di Fratoianni, noi non vogliamo saperne. Hanno detto la Gelmini, la Carfagna, la Versace e Costa. Ma a fare più rumore è stata l’ira funesta di Giuseppe Conte, leader del Movimento pentastellato. Io con quello lì neppure morto, ha detto, riferendosi a Matteo Renzi. E dire che era quasi fatta! Ora sul campo largo restano i resti, mi scuso per l’allitterazione. Sembra che sia passato uno di quei nubifragi estivi che fanno volare tavolini e sedie dei caffè dehors.
Poveracci! I giornalisti embedded della sinistra dei vari canali televisivi si arrabbattono come possono. Non sanno che dire. Girano e girano e non escono dalla stessa solfa, appigliandosi perfino all’ovvio della proibizione di una manifestazione pro Palestina, organizzata per il primo anniversario della strage del 7 ottobre. Che loro, ovviamente, negano: un caso! Solo un caso, dicono. In una democrazia sana, ma per la sinistra la nostra non lo è quando al governo c’è la destra, è normalissimo che in previsione di disordini gravi, il questore, che è il massimo responsabile operativo dell’ordine pubblico, la vieti. Alcuni, illuminati a intermittenza, riconoscono che la manifestazione comporta dei rischi, però… però… però… impedirla! Come se un questore possa mettersi a sfogliare la margherita: la proibisco o non la proibisco.
Scrivo quando ancora mancano dieci ore alla manifestazione e dico, senza ombra di dubbio, che gli incidenti saranno gravi; che è, poi, alla fin fine, quello che vogliono a sinistra per accusare il governo di autoritarismo e di repressione. Sperano di poter ritrovare l’intesa larga perduta e continuare a illudersi un’altra volta. Chi manifesta per la Palestina è due volte malvagio. Una perché parteggia per un’azione terroristica che ha fatto 1.200 vittime e che ha dato inizio alla guerra; due, perché non vuole che esista lo stato ebraico, il cui valore è sotto gli occhi di tutti. Un piccolo Stato tiene fronte ad un’infinità di nemici, compreso il fu impero di Ciro e Dario.
Ma, per tornare al dibattito interno, occorre rilevare che in questo momento in Italia non c’è che questo bi-coalizionismo. Altro non è possibile, fino a quando non si arriverà al premierato e ad una legge elettorale nuova, fatta ad hoc. Le coalizioni non possono durare a lungo perché è nella loro natura essere piene di contrapposizioni, a volte represse altre volte più resistenti e gravi. Tanto a destra quanto a sinistra. Esse trovano il collante non tanto sulle cose da fare quanto sulla lotta all’avversario. Tant’è vero che appena la morsa dell’opposizione si allenta emergono le contrapposizioni interne. Lo vediamo tutti giorni con le frizioni Tajani-Salvini e quelle più soft Salvini-Meloni. A sinistra, come è già stato detto, le posizioni sono ancora più accentuate per avere i protagonisti risentimenti personali.
Ma fino a quando Conte resisterà sulle sue posizioni impedendo il formarsi di una coalizione competitiva, capace di battere le destre? La posizione di Conte, come tutte quelle dei cavalieri solitari, ha una punta di nobiltà, che però non serve alla causa comune. Prima o poi Conte dovrà scegliere se consumarsi come una candela, non potendo costituire alleanze né a destra né a sinistra, a destra perché non può, a sinistra perché non vuole, o trasformarsi in un candelotto di dinamite da esplodere insieme ad altri e sfondare la resistenza dei nemici. La beata solitudo dei pentastellati ha un precedente nel rifiuto che essi opposero nel 2013 al Pd di Bersani, per poi mettersi a disposizione di qualsiasi alleanza cinque anni dopo, nel 2018, passando da soli contro tutti a con chiunque pur di governare. Ricordiamo i governi di Conte: giallo-verde il primo, giallo-rosso il secondo. I due governi dello scasso al tesoro dello Stato, col reddito di cittadinanza prima e col bonus edilizio 110 per cento dopo.
Le difficoltà e le contraddizioni della sinistra sono già nell’elezione di Schlein a segretaria di un Pd indefinito, quello del voto allargato a chicchessia. Il voto del Pd definito aveva eletto Boccaccini. Il partito della Schlein, quello ipotizzato, ancora non esiste. E si vede che non esiste!
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