sabato 28 settembre 2024
Sicurezza vera e minacce vuote
Il decreto sicurezza approvato dalla Camera è un contenitore di minacce, come del resto tutte le leggi. Il governo pensa che spaventando i delinquenti essi non delinquano. Molte pene, già previste, sono state appesantite, altre sono introdotte ex novo. Tutto per mettere un freno al dilagare nelle città della delinquenza in gran parte dovuta agli stranieri giunti nel nostro Paese per le vie più diverse. Le opposizioni, che quando non fanno battute ridicole fanno strepito chiassoso, hanno parlato subito di misure autoritarie, fasciste e sono scese in piazza. Quattro dirigenti di partito e di sindacato si sono autopromossi a opinione pubblica. Ciò fa pensare che esse, le opposizioni dico, non difendono i cittadini dai delinquenti, ma, al contrario, i delinquenti dagli apparati di sicurezza. E poi vogliono vincere le elezioni! E poi parlano di programmi condivisi e di campi larghi! Esse promettono agli italiani l’abolizione delle pene e la soluzione dei problemi che portano la gente a delinquere, ad occupare abusivamente case altrui, a scippare per strada, a violentare le donne. Tu sei senza casa? eccotene una! Tu non hai da comprarti da mangiare o da drogarti? toh i soldi, va a saziarti! Tu soffri di astinenza sessuale? eccoti la puttana di Stato! E così via. Salvo che quando queste forze politiche sono state al governo, e per un numero considerevole di anni, i miracoli di soddisfare i bisogni più vari della gente non solo non li hanno compiuti ma non li hanno neppure pensati. Perché chi sta al governo, tempo per le minchiate non ne ha. Esse si sono limitate a far finta di niente, anzi a cercare di convincere che in Italia si vive in sicurezza e che è solo una percezione quella dell’insicurezza. Ma quando la gente vive sulla propria pelle il pericolo di essere aggredita per strada, allora che fa? Si affida ai “fascisti”. Anzi, finisce per invocarli, magari quelli veri, senza virgolette.
Il punto importante di queste misure “repressive”, che il governo si accinge ad approvare, è che finiranno a niente. Il problema non è la leggerezza o la pesantezza delle pene; sono le pene, che dovrebbero essere scontate. Ma per questo occorre personale adeguato nel numero e nel protocollo di intervento, che purtroppo non c’è. Mancano uomini da tenere sotto controllo il territorio, mentre le carceri scoppiano di reclusi. Chi va a catturare i delinquenti? E dove vengono reclusi per scontare la pena? Qualcuno ha pensato ai soldati, in aggiunta ai poliziotti e ai carabinieri. Ma se non si cambia il protocollo d’intervento è come mandarli allo sbaraglio. Per mettere le mani sui delinquenti gli uomini delle forze dell’ordine non devono aspettare di essere aggrediti. Devono intervenire in un rapporto numerico con le persone da catturare sufficiente a compiere l’azione con successo.
Il governo Meloni, con questo decreto, ha dimostrato di avere a cuore l’ordine e la legge, non fa finta di niente, come hanno fatto e fanno i governi di centrosinistra, ma la risposta che sta cercando di dare è inadeguata, finisce per risolversi in una bolla di sapone. Essa è troppo ottimistica. Sperare che i delinquenti si spaventino per il rincrudelirsi delle pene è sbagliato se poi le pene non ci saranno. Le leggi già esistenti bastavano a risolvere il problema, non c’era bisogno che se ne approvassero altre.
Certo, che per certe problematiche sociali, come quella della casa, è necessario che il governo s’impegni in un piano edilizio da realizzarsi nel più breve tempo possibile e nel formulare le graduatorie degli aventi diritto escludere quelli che in precedenza ne hanno occupata una abusivamente. Si guarderebbero così di continuare ad occupare case di altri. Ormai è tempo di dare inizio ad un piano di edilizia carceraria. Non possono stare in un carcere quantità di reclusi il doppio se non di più di quanto quel carcere ne dovrebbe ospitare.
Sono trascorsi due anni dall’inizio del governo di centrodestra e di simili provvedimenti neppure l’ombra. Solo di recente si sta cercando di affrontare il problema delle carceri. Si può comprendere la preoccupazione di non passare per un governo che ha costruito carceri. Sarebbe più bello passare per un governo che ha costruito strutture per fare stare meglio i cittadini, i bambini, i giovani e perciò ospedali, parchi pubblici, istituti culturali, scuole, campi sportivi, palestre, piscine. Ma se l’urgenza è di costruire carceri, allora si proceda. Ogni cosa va fatta a tempo debito. Non si fa quel che si vuole, ma quel che si deve. Tanto vale ancor più per lo Stato.
sabato 21 settembre 2024
L'Italia, paese incomprensibile
Nella settimana 9-15 settembre sono accaduti due fatti, che dire incredibili è davvero poco; semplicemente assurdi.
Il primo è per così dire privato. Una signora viene scippata nottetempo della sua borsetta, in cui ha le chiavi di casa e i documenti. Deve assolutamente recuperarla, ma non può essere così incosciente da affrontare lo scippatore fisicamente. Le viene l’idea come un lampo di investirlo con la macchina, una-due volte fino a renderlo inoffensivo, e recupera la borsetta. Lo scippatore muore. Gli viene dedicata una manifestazione di solidarietà, in nome di un nuovo principio di legittimità di ladri, borseggiatori e scippatori riuniti. La corte dei miracoli inalbera bandiera. La signora è detenuta in casa ed accusata di pesantissimi reati, che possono comprometterle l’esistenza.
Il secondo fatto è pubblico perché riguarda il ministro, vice-presidente del Consiglio, Matteo Salvini. Il pubblico ministero della Procura di Palermo ha chiesto sei anni di reclusione per avere egli impedito, quando era ministro degli interni del primo governo Conte, ad una nave di migranti di sbarcare in Italia, trattenendola sei giorni prima di darle il permesso. La stessa aveva rifiutato altri porti sicuri in Tunisia, a Malta e in Spagna. Il caso è senza precedenti. Nessun politico mai, che io sappia – ed ho un anno più della Repubblica – è stato messo sotto accusa dalla magistratura per una scelta politica. Il caso è una commistione di forze politiche di sinistra in affinità elettiva con una magistratura della stessa parte politica. È l’establishmente, che è così consolidato in Italia che non lo sconfigge nessuna elezione o nessun plebiscito. La denuncia era partita da Lega Ambiente. L’autorizzazione a processare Salvini da parte del Senato era stata possibile per il comportamento “rivoltato” dei 5 Stelle, già con lui nello stesso governo, che in commissione avevano votato contro.
Non è il caso di andare al dettaglio. Di materia per fare qualche riflessione ce n’è abbastanza nei due casi. Uno più grave dell’altro.
Primo caso. La signora omicida poteva non uccidere lo scippatore? Sì, ma doveva rinunciare alla sua borsetta, alle chiavi di casa e ai documenti e ringraziare il Signore che non le era andata anche peggio. C’è un particolare: la signora non era in grado di fare il ragionamento che io, seduto al computer, posso fare, tranquillo e nella possibilità di togliere, aggiungere e correggere il mio scritto. La signora di certo aveva altre urgenze ed era assalita da altri impulsi incontrollabili compreso quello di maledire lo Stato che lascia in giro delinquenti, ladri e scippatori. La cristiana, come noi popolarmente chiamiamo una donna, non ha avuto la possibilità di fare alcun ragionamento. Doveva recuperare la borsetta. Volerla processare mediaticamente, come è già accaduto, è altro assurdo all’assurdo. Invece di solidarizzare con lei e pregare il Signore di non doversi mai trovare nella sua situazione, si sono tutti, donne soprattutto, trasformati in pedagoghi, psicologi e francescani di primo, secondo e terzo grado e l’hanno condannata senza se e senza ma. Si va formando in Italia una sorta di sindacato – il partito c’è già – per difendere ladri, vagabondi e sfaccendati vari e garantire loro i “sacrosanti” diritti di rubare, di scippare e di occupare abusivamente case altrui, in nome del diritto naturale che viene prima di quello positivo.
Il secondo caso è estremamente grave perché un politico, nell’esercizio dei suoi interventi istituzionali, non può essere messo sotto accusa da magistrati pretestuosi. Tanto meno lo possono fare se sono dichiaratamente di parte, ne rivendicano il diritto ed interpretano e manipolano le leggi come conviene loro in quel momento. Se dovesse passare quella linea, allora faremmo un salto all’indietro di diversi secoli, a quando vigeva l’assolutismo e la magistratura, asservita al re, con un cavillo qualsiasi, arrestava, processava e condannava i politici sgraditi.
Essere favorevoli o contrari all’immigrazione è un diritto di ogni cittadino, è un dovere di ogni politico che ha chiesto al popolo il voto per fare una certa politica. La democrazia è questa. Non ci si può appigliare ad essa quando conviene e rigettarla negli altri casi. Anche il dovere di aiutare in mare i naufraghi va precisato. Un conto è aiutare chi si trova in difficoltà in mare mentre sta svolgendo un’attività lecita un altro è quando si tratta di rendersi complici di un piano affaristico per un verso, di autentica invasione per un altro. Un’invasione, peraltro, sconsiderata se poi questa gente è lasciata sciamare per le strade e le piazze a procurarsi da bere, da mangiare e tutto il resto, trasformando l’urbanità in una giungla, dove per difendersi occorre trasformarsi in un delinquente o in un criminale del pari. Le politiche di accoglienza, quando non sono supportate da adeguati progetti, sono esse stesse complici di tutte le nefandezze che ne derivano. Fare gli ipocriti e i francescani non serve a niente. Occorrono interventi realistici, coraggiosi, quelli che fanno male al momento ma bene in prospettiva. Il medico pietoso ha sempre danneggiato il paziente.
sabato 14 settembre 2024
Sinner, l'assennato
Jannik Sinner è il numero uno del tennis mondiale. In quanto tale ha aperto un fronte di discussione sulla germanicità del suo nome e soprattutto del suo carattere, che almeno in apparenza si mostra freddo, calmo, ma non proprio glaciale. È nato e vissuto in alto Adige, una zona che gli austriaci chiamano Süd Tirol. La sua italianità recentemente è stata messa in discussione dal celebre fotografo degli scandali pubblicitari Oliviero Toscani. Il quale ha detto che Sinner non ha niente dell’italiano, semmai è Fabrizio Corona il simbolo dell’italianità, facendo ricordare quanto disse il prof. Miglio un po’ di anni fa sull’italianità dei meridionali, che identificò in Ulisse, l’eroe che dove non arriva con la forza arriva con l’astuzia.
Lasciamo stare Toscani, che è un gran provocatore e nello stesso tempo un uomo di genio e lasciamo riposare in pace il prof. Miglio. Ci sono tanti italiani, anche meridionali, che hanno saputo vivere e morire in difesa di valori universali, penso all’avv. Ambrosoli e ai tanti magistrati, settentrionali e meridionali, caduti per aver compiuto il proprio dovere.
Noi italiani, peraltro, abbiamo avuto fior di personalità di origine non interamente italiana o interamente straniera, grandi e grandissimi. L’attore Vittorio Gassman e lo scrittore Curzio Malaparte erano figli di padre tedesco e di mamma italiana. Lo stesso Dante Alighieri, a cui i tedeschi vogliono un gran bene, si “sospetta” fosse di origine tedesca. E Leonardo da Vinci era di madre araba, una schiava, di quelle che servivano in tutto e per tutto i loro signori. Perché, secondo Toscani, saremmo tutti dei Fabrizio Corona? Certo, non siamo nemmeno tutti Jannik Sinner. Ma un popolo, come il nostro, ha saputo sempre arricchirsi del contributo di chi è venuto a vivere tra di noi. Sorprende come in certi democratici emerga, tra il lusco e il brusco, un po’ di razzismo.
Sinner in tedesco significa assennato. Sinn, la parola base, significa senso, giudizio. La parola italiana senno deriva dal francone (antico germanico) sin. Scherzando si può dire che il senno a noi italiani ce l’han dato i tedeschi.
Ben più importante è il caso Sinner per i suoi risvolti sociologici. Grazie alle sue vittorie oggi gli italiani guardano il tennis con quasi uguale attenzione del calcio. Si sono appassionati al gioco ma anche a lui, che continua ad avere un comportamento ineccepibile. Ha dedicato la sua recente vittoria all’Us open alla zia che sta poco bene. Più italiano di così? Un po’ più tedesco si è dimostrato licenziando il suo massaggiatore che involontariamente l’ha messo nei guai col doping.
Con certe eccellenze umane non è il caso di italianità o di germanicità. In tutti i paesi del mondo, specialmente nelle zone di frontiera, da noi regolate con intelligenza dai nostri governi e da quelli dei paesi limitrofi, ci sono popolazioni che risentono di una nazionalità plurale. Né gli abitanti si pongono più il problema: si è austriaci in Austria, si è italiani in Italia; come gli italiani che vivono in Slovenia o in Croazia sono sloveni e croati.
C’è una specie di uomini, che dallo sport alla scienza, dall’arte all’ingegno, spuntano in ogni parte del mondo e si affermano ai più alti livelli. Sono costoro cittadini del mondo, che sentono di appartenere all’umanità prima ancora che ad una nazione. Sono europei, americani, cinesi, indiani, giapponesi, africani, australiani. Volerli legare per forza ad una nazionalità è come metter loro una maschera di ferro. Nella sua celebre ode «In morte di Carlo Imbonati» Manzoni fa l’esempio di Omero, la cui nascita se la contendevano tanti luoghi della Grecia ma «patria ei non conosce[a] altra che il cielo». Con questo non si vuole svilire il senso di patria e di nazione, che resiste e resisterà. Ma si vuole anche accettare i cambiamenti che fatalmente arrivano trasportati dalla corrente della storia, a volte tumultuosa e torrentizia, a volte placida e serena.
Sinner nel campo dello sport ha raggiunto il cielo, manzonianamente inteso, con ciò dando a italiani ed austriaci senso di orgoglio. Un’operazione di risulta ma importante, che non può che giovare alla nostra gioventù più spesso orientata a seguire musiche e canzonette, cantanti e rapper, tra il divertimento e la devianza. Senza essere fissati in certi giudizi, ma la professione dalla quale si esce a volte tradisce, occorre sempre fare una distinzione tra valori e disvalori, che non possono stare sullo stesso piano e indistinti. I casi come quello di Sinner e dei tanti atleti che si sono distinti recentemente ai giochi olimpici e paralimpici sono altamente significativi.
sabato 7 settembre 2024
Telese, un caso di libertà
Martedì sera, 3 settembre, seguivo la trasmissione «In onda» su «La 7». Il mio televisore non è più abilitato a prendere Rai Storia sul 54, così mi devo purgare ogni sera. Si susseguivano diversi ospiti, a seconda dell’argomento da trattare, ma con un continuo ritorno al caso Sangiuliano, ministro della cultura, incappato in una leggerezza, che gli è costato un solenne sputtanamento e la carica di ministro.
Il caso è davvero curioso, ma più che altro da gossip. Varie volte, nei mesi di luglio e agosto, il ministro ha partecipato a diversi eventi in compagnia di una donna, una sorta di Barbie, che si spacciava per consulente del ministro per i grandi eventi. Sono circolate diverse foto con Sangiuliano che le sta così d’appresso, guancia a guancia, come in “una rotonda sul mare”. Solo un fesso non capiva che tra i due c’era “cosa”. In altre foto le cinge la vita col braccio a tenerla stretta a sé. Un flirt estivo, camuffato dalla politica per non destare le legittime ire della moglie. Ma la Barbie si è rivelata una birba. Pare che avesse occhiali a telecamera per riprendere e registrare quel che le pareva senza farsi scoprire.
In effetti il ministro – ha poi detto – di averla tenuta in prova e che al termine invece di nominarla le ha detto che non era il caso; in verità, per evitare, ove fosse stata assunta, il conflitto d’interessi. Di qui il gran casino che si è scatenato sui social e sui giornali. Le opposizioni, che pure rimproverano al governo di passare il tempo a indagare sui comportamenti galanti di un suo ministro invece di pensare ai problemi del Paese, perdono il loro tempo allo stesso modo, gonfiando il caso e chiedendo le dimissioni del ministro Sangiuliano, mentre i media di opposizione hanno continuato a tenere vivo il falò stando sul pezzo come in una trincea.
Al conduttore Luca Telese della “Sette”, ad un certo punto, è scappato di dire «noi giornalisti liberi», coinvolgendo la compiaciuta co-conduttrice Marianna Aprile.
Ero di malumore, un po’ per la fessagginità di Sangiuliano e un po’ per l’esagerazione di un caso strumentalizzato per far dimettere il ministro improvvido e creare difficoltà al governo; e soprattutto perché Sangiuliano non si è virilmente dimesso piuttosto che piagnucolare e implorare comprensione.
Le parole di Telese mi fecero cambiare umore, d’improvviso, «noi giornalisti liberi». Mi venne così da ridere che dovetti scappare in bagno, io che soffro di stitichezza. Ma come? Liberi, e da chi?, da che cosa? E poi perché dirlo? Excusatio non petita con quel che segue.
Lui e la sua collega sono giornalisti che lavorano alla “Sette”, che, padrone Urbano Cairo, è legittimamente su decise posizioni antigovernative, insieme ad altre trasmissioni come “Di martedì”, “Piazza pulita”, “Propaganda live”, autentiche corazzate dello schieramento antigovernativo. Telese sarà stato libero di entrare o non entrare nella “Sette”, ma dopo la scelta non ha …più scelta, salvo andarsene. Ha l’obbligo di attaccare il governo e i suoi ministri. Telese è libero come un calciatore che dopo aver scelto la squadra in cui giocare è obbligato a fare di tutto per farla vincere. Sarebbe come se a un Lautaro ad un certo punto venisse l’uzzolo di essere libero e invece di infilare la porta avversaria infilasse la sua, in nome della libertà. Ecco perché mi venne un’esplosione di riso. Telese crede davvero di essere una persona libera. È buffo quanto Sangiuliano che si crede irresistibile. Una persona libera non deve appartenere a nessuno e a niente. Lui, invece, è un giornalista pagato, come la sua collega Marianna Aprile e gli altri delle altre trasmissioni della “Sette” e non solo, per difendere una parte.
L’accanimento con cui Telese e collega seguono il caso Sangiuliano sarebbe degno di miglior causa. È di tutta evidenza che Sangiuliano si è messo nei guai, sia con la famiglia, sia col governo, per un prurito cupideo. Il modo come era attaccato alla Boccia, come si vede nelle foto, se non fosse un comportamento sentimentale sarebbe un caso di molestia sessuale. Dove mai s’è visto che un ministro tiene avvinghiata a sé una sua collaboratrice? Oggi come oggi, poi, che basta sfiorarla una donna per beccarsi una querela per molestia, salvo che a lei la cosa non piaccia!
Ora Sangiuliano si è dimesso, ma il casino dei "giornalisti liberi" non cessa, anzi continua più accanimento. Quanto a Sangiuliano, è il caso di dire che è stato…bocciato. La sua leggerezza ha arrecato inoltre un danno al governo ben più importante delle sue dimissioni.
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