sabato 27 luglio 2024
Costituzione, nuovi amori
Qualche giorno fa, alla cerimonia del ventaglio, a Palazzo Madama, il Presidente del Senato Ignazio La Russa, ex missino, ex aennino, ex…stavo per dire casino delle libertà, e finalmente fratello d’Italia, ha detto fra le tante cose che hanno fatto sollazzare i giornalisti, che lui darebbe la vita per difendere tutti i diritti inseriti nella Costituzione. Corsera immortala in data 23 luglio 2024, pag. 14. Non poteva dirlo il 25 luglio? Sarebbe stato più in tema.
Un po’ di tempo prima, in un suo libretto, Gramsci è vivo, il ben più giovane Alessandro Giuli, attuale Presidente del Maxxi, anche lui stessa provenienza, si è profuso d’amore per la Costituzione tanto da nominarla più di quanto non abbia fatto Dante per Beatrice in tutta la Divina Commedia, la Vita Nova e le Rime. Trovo davvero strana questa infatuazione, troppo ostentata per non essere sospetta. Non che i due fratelli d’Italia, il vecchio e il giovane, non siano sinceri, ma perché dirlo e ripeterlo? Poi, dare la vita? Sembrerebbe quasi che più che convincere gli altri di questo amore, senile per uno e giovanile per l’altro, vogliano convincere se stessi.
Sarà perché io amo rispettare la legge mea sponte, della Costituzione non me ne sono mai accorto. Chiedo civica comprensione. Ovvio, non che non sapessi che esiste, lo so bene, perché da docente immesso in ruolo ho fatto il giuramento – e poi, sono o non sono un professore di storia? – ma poche volte ho sentito l’esigenza o il desiderio di vedere che dice la Costituzione a proposito di… Mi è bastata l’educazione ricevuta, la formazione culturale, la convinzione che la legge sia sufficiente per vivere correttamente.
Sembra, invece, che qualunque cosa, benché non specificamente detta, divorzio e aborto compresi, ma anche unioni a gogò o altra fantasia, sia prevista dalla Costituzione. E prima che venissero introdotti si viveva in difetto costituzionale? Così per le Regioni, che partirono nel 1970. E prima? Si ha l’impressione con tutto quello che è stato introdotto dal 1948 ad oggi che in Italia si viva per certi aspetti nella Costituzione e per altri fuori, in attesa. La Costituzione sarà compiutamente concretizzata chissà quando! Un amore ravvivato continuamente da ciò che ancora manca.
La mia idea guida, da cittadino qualunque, è di non fare mai agli altri quello che non vorrei che altri facessero a me, naturalmente di male, e fare agli altri quel bene che vorrei che altri facessero a me. Poi, tutto il resto è chiacchiera da bar o materia per professionisti del diritto.
Ma torniamo a La Russa, che ogni tanto ne combina una delle sue. Dice di aver liquidato il busto di Mussolini, affidatogli dal padre, consegnandolo alla sorella. Non mi pare che la Costituzione dica che è proibito avere reperti in casa, beni culturali come libri, stampe e oggetti d’altre epoche. Sì, è vero che ci sono le disposizioni transitorie della Costituzione che vietano la ricostituzione del già disciolto e via di seguito, la legge Scelba e quant’altro, ma non si può distruggere sistematicamente tutto ciò che ricorda il disgraziato Ventennio. Bisognerebbe abbattere tre quarti dell’Italia e ognuno in casa dovrebbe buttar via libri e documenti che ha ricercato e pagato non solo per il piacere di averli ma anche e soprattutto per acculturarsi quel tanto che basta per sapere che non siamo figli di nessuno. E che dire di scrittori, editori, storici che producono all’anno centinaia di pubblicazioni cicliche per parlare sempre del fascismo, sempre di Lui? Per favore, fateci sapere anche che ci sono stati i Mazzini, i Garibaldi, i Cavour, i Crispi, i Giolitti, i De Gasperi, i Craxi, i Moro! Questi non dant panem?
Per tornare al duo La Russa-Giuli, c’è qualcos’altro che rende poco credibile il loro eccessivo costituzionalismo. È in corso d’opera in Italia la tanto vituperata riforma della Costituzione per introdurre nel nostro ordinamento il premierato. E a proporla è proprio il partito di La Russa e Giuli, scilicet Meloni, Presidente del Consiglio. Una riforma che nasce con un grave complesso, quello di dimostrare a tutti che i Fratelli d’Italia hanno rotto con tutti, perfino con Almirante, che ai suoi dì si fece promotore di una riforma in senso presidenziale. Ma che si sarebbe lasciato dire agli avversari, che Fratelli d’Italia non si tolgono nulla coi camerati di Almirante? Che ne sono la continuità storica? E tutto lo sciame antifascista d’Italia che avrebbe fatto, la rivoluzione delle cavallette? Perciò, abbasso il presidenzialismo, evviva il premierato, nonostante il difficile e forse impossibile compito di renderlo plausibile e razionale, come purtroppo le opposizioni sostengono.
sabato 20 luglio 2024
Gratta gratta...
Confesso di aver ricevuto in tutta la mia precedente vita – prima che la destra giungesse al potere – molta simpatia da parte di chi apparteneva ad altro partito. Pur riconoscendone l’appartenenza, già chiara su “Voce del Sud” di Ernesto Alvino, dove scrivevo assiduamente di politica e di cultura, si vedeva in me la persona onesta che quando c’era da dire le cose le diceva a prescindere, vuoi in favore della destra vuoi contro, vuoi a favore del regime – come noi del Msi chiamavamo il sistema democristiano o arcocostituzionale – vuoi contro. Personalmente ho ricevuto più stima e affetto dagli altri, perfino dai comunisti, che dagli stessi missini. Agli inizi degli anni Novanta fui invitato da Alessandro Barbano e da Teo Pepe a scrivere per il “Quotidiano” mentre scrivevo per “Voce del Sud”, con la sola raccomandazione di evitare il codice penale. Non è che su un giornale propagassi la Bibbia e sull’altro il Corano, ero sempre io con la mia religione laica della ricerca della verità, della posizione giusta. Certo, in “Voce del Sud” mi sentivo più a casa mia, nel “Quotidiano” mi sentivo un ospite e dunque mi comportavo con rispetto. Gli amici e i lettori me ne hanno dato sempre atto.
Le cose con la destra al potere sono precipitate. I missini di una volta non passano più il loro tempo a piangersi addosso per le ingiustizie subite e per le esclusioni, oggi camminano a testa alta e orgogliosamente rivendicano la loro condivisione delle cose che il governo Meloni dice e fa. Che non sono cose fasciste e a volte neppure di destra: democristianerie, gratta gratta. I FdI si riconoscono nella Costituzione e hanno in Liliana Segre un riferimento importante. Pensate: da Julius Evola a Liliana Segre! La storia non finisce mai di stupire. Dall’altra parte, invece, c’è un misto di odio e di disprezzo nei confronti di chi è di destra, ridefinito col termine antifascismo, che spaventa, soprattutto per la sua irrazionalità. Chi non si dice antifascista è un barbaro nella patria democratica. Chi non spegne la Fiamma nel simbolo di FdI è un fascista, che nulla si toglie da quelli che fondarono il Msi nel dicembre del 1946. Recentemente Cirino Pomicino, più di là che di qua per sua stessa ammissione, in un’intervista sul “Corriere della Sera” del 13 luglio, ha detto testualmente: “Una volta si diceva «gratta il cosacco e troverai il russo». Qua gratti i Fratelli d’Italia e trovi i post-fascisti”. Insomma i cosiddetti post-fascisti possono anche fare un giuramento di sangue di essere antifascisti, non saranno mai creduti. Forse se andranno a sputare sulla tomba del Duce! Di fascisti, finalmente democratici, gli avversari non hanno bisogno. Vogliono fascisti, altrimenti la loro propaganda e azione politica non sanno su che cosa fondarla.
Ora post-fascisti non significa fascisti, come post-vivi non significa vivi, ma morti. Essi non possono essere i Fratelli d’Italia, semmai questi sono i post-missini. Fascisti non ce ne possono essere né nostalgici né propositivi. I Fratelli d’Italia vengono accusati spesso di nutrire risentimento in quello che dicono e in quello che fanno. E che cosa dovrebbero nutrire riconoscenza dopo cinquant’anni di esclusione sistematica? Ma anche in questo occorre fare una distinzione tra l’essere dei FdI e la percezione che ne hanno i loro avversari. Non pochi dei quali non sono così disonesti da non ammettere che, a ragione o a torto, i missini, in quanto post-fascisti, hanno vissuto come “esuli in patria”. Questo il titolo di un libro di Marco Tarchi del 1995. Tutto il livore che gli antifascisti hanno nei loro confronti nasce dal fatto che essi pensavano archiviata qualsiasi questione della destra e che comunque in Italia si sarebbe continuato tra un centro e una sinistra, tertium non datur.
Nelle opposizioni in Italia si vede chiaramente che c’è nei confronti della destra una sorta di delegittimazione a prescindere, cieca. Su tutto quello che fa il governo c’è un immediato fuoco di sbarramento, anche contro iniziative partite e volute proprio dalle forze di opposizione quando erano al governo. Vedi l’autonomia differenziata. Su quello che fa il governo, qualunque cosa faccia, non si ragiona, si “spara” a palle incatenate. Chi sostiene il governo o assume un atteggiamento critico va condannato lo stesso, meglio se gli viene impedito di parlare, di far conoscere il suo libero pensiero. Non c’è più quella simpatia per chi in nome dell’obiettività finiva per andare anche contro la propria parte politica; anzi, costui è considerato un infiltrato pericoloso, irritante, perché pravale il “sotto sotto c’è il fascista” e perché nell’infuriare della guerra non c’è posto per chi ragiona. Si combatte, chi da una parte e chi dall’altra. Chi si mette in mezzo con buoni propositi, gratta gratta, è un nemico da eliminare.
sabato 13 luglio 2024
Quel che resta della destra
Giorgia Meloni non è solo la prima donna a diventare Presidente del Consiglio in Italia ma è anche il primo Presidente del Consiglio a subire continui attacchi di delegittimazione, fin dall’indomani del varo del suo governo. Non può reggere, dicevano i suoi avversari, durerà al massimo cinque mesi, è a capo di un partito neofascista, la classe dirigente schierata nel governo è inadeguata, l’Europa la isolerà per un passato al quale non intende rinunciare. La Fiamma va tolta dal simbolo di Fratelli d’Italia. Lei deve formalmente dichiararsi antifascista. Fino a quando non lo fa legittima ogni attacco. E gli attacchi si sono susseguiti, come grandine, da ogni parte, in tutte le forme, per giungere ad accreditare che il suo governo è autoritario: picchia i ragazzi che manifestano, ha trasformato la televisione in Telemeloni, i suoi deputati picchiano in aula i colleghi di altri partiti, ogni pulce è stata traformata in tigre. Scontenti e allarmati gli avversari.
Intanto i centri sociali hanno continuato ad assaltare auto e negozi, a manifestare per la Palestina occupando le università e impedendo a chi non era dei loro di parlare, a scontrarsi con le forze dell’ordine, mentre non si è vista neppure l’ombra di una manifestazione di destra pro Israele o pro Nato, esattamente come ai tempi del ’68. Intanto per le strade delle città sia del Nord che del Sud è proibito andare in giro oltre una certa ora, i maschi hanno continuato ad uccidere le femmine, gli operai a morire nei cantieri, gli immigrati nelle campagne, i senzatetto occupare abusivamente le case della gente, l’Italia di sempre ha continuato imperterrita. Scontenti e allarmati, questa volta, sono i suoi elettori.
Le manifestazioni “rubate” da giornalisti spioni in cui dei giovani di destra si abbandonano a spettacoli tanto indecorosi quanto dannosi sono la reazione irrazionale figlia dell’impotenza e della frustrazione, del non c’è più niente da salvare, niente da conservare, niente da fare. Invocare il Duce significa proporre l’impossibile, è pura esternazione di sofferenza politica e ideologica per la condizione in cui si trova l’Italia; azioni fine a sé stesse.
La destra perbenista, come vuole essere quella della Meloni, insiste per creare un partito conservatore liberale, moderno. Ma Dio Patria Famiglia, lo slogan che ha fatto vincere la Meloni, sono ancora da conservare? Evidentemente no. Bisogna trovare altri riferimenti identitari. Dio è una faccenda personale, la religione è in crisi, la Patria come si poteva ipotizzare nel corso del Risorgimento non esiste più, meno ancora la famiglia, che viene totalmente disconosciuta in favore di una convivenza senza limiti e confini, animalesca.
Il successo della Meloni in Italia e della Le Pen in Francia è ascrivibile alla condizione di disagio in cui vive la Nazione nel suo insieme. A molti o a pochi non piacciono non i gay ma le loro manifestazioni, è un fatto; non piacciono le persone che vanno in giro a predicare libertà di occupare la proprietà altrui, è un fatto; non piacciono le situazioni in cui un candidato agli esami di Stato fa scena muta davanti alla commissione, non perché impreparato ma per protesta contro la valutazione dello scritto, e viene promosso lo stesso, è un fatto; non piacciono tutte queste diffuse anarchicherie, che uomini e donne dello spettacolo fanno passare per progresso e civiltà. Gli stadi stracolmi di persone che inneggiano al superdrogato cantante di turno sono la rappresentazione di una società senza rimedio alcuno. Un Vasco Rossi che riceve un riconoscimento dal Vittoriale di D’Annunzio è un chiaro segno di confusione mentale. D’Annunzio volò su Vienna per inondarla di volantini inneggianti all’Italia, conquistò Fiume all’Italia, elaborò una costituzione modernissima la Carta del Carnaro. Vasco Rossi, al di là di un mare di soldi per le sue tasche e l’avviamento dei giovani alla droga, che conquiste porta all’Italia?
C’è una guerra in corso che i combattenti non vogliono riconoscere. Il rischio finora emerso è che la destra si stia arrendendo alle ragioni della sinistra. I continui omaggi alla senatrice Segre ne sono la spia. Le obbligate genuflessioni alle date di regime nel corso dell’anno ne sono la spia. Le condanne nei confronti dei giovani di destra che si abbandonano a gesti sconsiderati ma del tutto immocui ne sono la spia. Gutta cavat lapidem dicevano i latini. Dalli oggi e dalli domani la destra di governo dimostra di cedere ai suoi avversari senza nulla proporre di nuovo al suo mondo. Quando la destra resterà un guscio vuoto sarà solo un problema di nettezza urbana.
sabato 6 luglio 2024
Siam pronti alla morte? Ma va là...
Dopo aver visto le ultime imprese della Nazionale italiana di calcio agli Europei 2024 viene di dire che l’Inno di Mameli, quello che i cronisti sportivi Rai chiamano pomposamente il “Canto degli Italiani”, è più che mai inattuale. Si dovrebbe cercare qualcos’altro per sostituirlo. Qualcos’altro di meno impegnativo. “Dov’è la vittoria…”. Già, dov’è? “Siam pronti alla morte…”. Se è una constatazione va benissimo, nel senso che siamo moribondi. E vorrei vedere con quella flemma! “Italia chiamò”, con un sì urlato e poco convinto. Mameli andrebbe protetto dalle ingiurie degli italiani. La beffa dovrebbe finire. Oggi gli italiani non ne sono degni.
Non è stato tanto il risultato di quattro partite giocate all’insegna di una sorta di movida, senza senso e senza scopo – nello sport si vince e si perde – quanto il modo irritante di porsi da parte di professionisti confusi e sbandati. Incapaci i protagonisti del miserevole spettacolo di dare una spiegazione qualsiasi, tutti autoassoltisi. Dal ministro dello sport Abodi al presidente della Figc Gravina, al commissario tecnico Spalletti, ad ogni singolo giocatore, non uno che si sia assunto la responsabilità di quello che è successo, che abbia avuto la faccia di spiegare agli italiani perché si è voluto umiliare una maglia adornata di fregi stellari in più di un secolo di storia.
Si può anche perdere, intendiamoci. Abbiamo visto altre nazionali perdere, ma solo dopo essersi impegnate allo spasimo, dando l’impressione di non poter dare più od altro del loro corpo e del loro spirito. Abbiamo visto giocatori di altre nazioni che in Italia addirittura militano in squadre di serie B correre e dare l’anima per onorare la maglia e la propria Nazione. I loro tifosi hanno continuato ad applaudirli e ad incitarli anche dopo. Noi, invece, con la testa abbassata, siamo usciti dal campo, suonati dagli svizzeri, neppure consapevoli del gran danno fatto all’immagine della Nazione.
Abbiamo dimostrato di essere un popolo di festivalieri e di scanzonati, più affini a Vasco che a Paolo Rossi. Nel corso degli Europei abbiamo visto riproporsi alla televisione spot pubblicitari con il commissario tecnico e alcuni giocatori come se stessero in vacanza. Giustamente Aldo Grasso sul Corsera del 2 luglio ha stigmatizzato la leggerezza, l’inopportunità dell’esibizione pubblicitaria. Invece di studiare tattiche e formazioni, come evitare di prendere gol e di farne, si sono distratti a fare pubblicità televisiva. Altri soldi sono entrati nelle loro “povere” tasche.
Ora non è il caso di dar ragione a Churchill, il quale diceva che gli italiani considerano una partita di calcio come la guerra e la guerra come una partita di calcio, ma non si può neppure far finta di niente. Oggi una parola fuori posto di un politico o di una personalità fa discutere per giorni e giorni, magari anche esagerando, può far nascere un incidente diplomatico. Una debacle come quella subita dalla Nazionale di calcio deve avere una risposta appropriata da parte di chi all’immagine del Paese dice di tenere come tiene allo stesso bilancio dello Stato.
Alla specifica domanda che Paolo Del Debbio su Rete 4 ha fatto alla premier Meloni se aveva visto le partite e che cosa pensava della figuraccia ha risposto in politichese, andando a dire che la colpa degli assonnati giocatori italiani andrebbe cercata nel fatto che nel campionato italiano ci sono troppi giocatori stranieri. E questo giustifica il loro comportamento in campo? In campo militare quella sarebbe chiamata con un nome soltanto: diserzione.
Ora, come se nulla fosse successo, ci avviamo a tentare la qualificazione per i prossimi Mondiali, a cui non partecipiamo da due edizioni, saltate per non essere riusciti a qualificarci. Che intendono fare le autorità? Anzitutto dovrebbero prendere atto della crisi che attraversa il settore, mettere da parte i responsabili delle ultime figuracce e cercare di riorganizzarci con spirito nuovo. Per fortuna in Italia non mancano i settori sportivi in cui abbiamo autentiche eccellenze, da porsi come riferimenti da emulare: atletica, tennis, nuoto, sci, scherma, volley, pallanuoto, automobilismo, motociclismo con uomini e donne imporsi ai massimi livelli. Sta prevalendo lo sport a prestazione individuale. E questo significa che non siamo un popolo di brocchi, che quando siamo chiamati individualmente diamo il meglio di noi non potendo scaricare le colpe di cattive prestazioni sugli altri. Dobbiamo recuperare lo spirito di corpo, saperci fare responsabili anche delle colpe degli altri. Le autorità del nostro calcio dicono che fallire per la terza volta la qualificazione ai mondiali sarebbe devastante anche dal punto di vista economico. E, allora, lasciamo stare la “coorte” di Mameli e facciamo squadra per vincere.
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