sabato 20 aprile 2024

Meloni rifiuti il prezzo dell'onore

Nel corso della mia lunga carriera giornalistica, accompagnata sempre dall’etica scolastica di docente, che mi rende diverso dai giornalisti-giornalisti, sono stato querelato più di una volta come direttore di un periodico locale per diffamazione a mezzo stampa. In tanti anni di esercizio, ben 39, può capitare. Il più delle volte la denuncia era speciosa. Il querelante, che era sempre il partito comunista, per decisione dei suoi dirigenti locali, non era per niente convinto, ma si costituiva parte civile lo stesso. Salvo poi a proporre la remissione di querela davanti al giudice. Accettare voleva dire comunque pagare l’avvocato e le spese processuali, che in lire potevano raggiungere il milione. Perché un simile incomprensibile atteggiamento? Per la semplice ragione che lo scopo dei querelanti era di infliggere al giornale un danno economico, che voleva dire la crisi del giornale e la chiusura. Si dirà, ma che c’entrano simili piccolezze a fronte di una querela, per esempio, della leader di un partito e poi premier nei confronti di un mostro sacro della cultura? Si parva licet… Veniamo al dunque. Giorgia Meloni, quando ancora non era premier, fu definita dal professor Luciano Canfora “neonazista nell’animo”, “poveretta”, “pericolosissima” e “mentecatta”. Qui non c’è niente da dimostrare, né da interpretare. Si tratta di ingiurie, violente, categoriche, giunte alla destinataria come mazzate. Diffamanti? Non lo ha creduto gran parte degli italiani che l’ha voluta Presidente del Consiglio dei Ministri. Alla faccia di Canfora. Meloni non è accusata di aver compiuto qualcosa di disdicevole che lei non ha compiuto, allora sì che ci sarebbe stata diffamazione, è stata solo ingiuriata da un avversario politico, benché di lusso. Buon senso vuole che ognuno si astenga dal suggerire alla Meloni le parole giuste, posto che ne abbia bisogno, per saldare il conto con Canfora sullo stesso piano, occhio per occhio, dente per dente. Che si può fare, allora, di fronte a simili offese? Penalmente, mettere in carcere un vecchio ultraottantenne? Non lo vuole la legge e non lo vuole neppure la Meloni. Civilmente, fargli sborsare 20mila euro? Tanto vale in Italia l’onore del capo del governo in carica? La questione potrebbe essere risolta nel più banale dei modi: Canfora si rende conto di aver sbagliato, chiede scusa e dichiara solennemente che non pensa affatto che la Meloni sia quella da lui sconsideratamente definita; Meloni, da parte sua, ritira la querela e alla fine un bel selfie e applausi da tutti e per tutti. Ma Canfora probabilmente non ci sta, forte del suo rango culturale e di tutta la claque che gli sta attorno, fatta di comunisti mai pentiti ma non più gradassi e spocchiosi. I comunisti vanno capiti. Hanno goduto in Italia di importanti privilegi, tenuti in gran considerazione, grazie al fatto che avevano sconfitto il fascismo e il nazismo. Erano quasi lì lì per mettere le mani sul potere quando sono precipitati giù come il disgraziato Sisifo. Di qui la rabbia che acceca perfino persone di elevato rango culturale come Canfora. Purtroppo c’è poco altro da fare, per non dire che da fare non c’è un bel niente. Questo, come tanti altri similari episodi, ricorda un raccontino del filosofo greco del II sec. d. Cristo Luciano di Samosata. Toh, ha lo stesso nome di Canfora. Narra il filosofo che Menippo di Gadara muore e si presenta davanti al guardiano del regno dei morti. Come di prassi questi gli chiede la monetina per farlo passare dall’altra parte, ma quello non ce l’ha. E, allora, gli risponde agitato il guardiano, senza monetina non ti faccio passare. Ah no? gli replica quello. E allora, benché morto, resto da questa parte coi vivi. Quale il senso di questa storiella? Che ci sono situazioni che la legge stessa impedisce di risolvere. Luciano Canfora-Menippo si rifiuta di pentirsi, tanto non gli si può far nulla. E alla Meloni non resta che lasciar perdere con tutte le ingiurie ricevute. Ma su Luciano Canfora, onorato e colto cittadino, non è finita. Resta da chiedersi perché un paese come l’Italia, che ha tanta bella gente come lui, ha poi una Presidente del Consiglio come Giorgia Meloni. La quale, per fortuna, è ben lontana dall’essere come i Canfora e gli a lui assimilabili la considerano. Se fosse quel democratico che dice di essere, Canfora dovrebbe avere più rispetto per la volontà del popolo espressa come la legge ha voluto. Socrate per coerenza e rispetto della legge preferì bere la cicuta. A Canfora non si chiede di bere neppure un po’ di rosolio se gli resta sullo stomaco, ma di ammettere che certe cose non si dicono, non solo e non tanto perché non sono vere, ma principalmente perché offensive di un intero paese.

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