sabato 4 novembre 2023

Intelligenza artificiale e scrittura

Non ho competenze per parlare dell’intelligenza artificiale e delle sue miracolose applicazioni e utilizzazioni. Confesso di avere idiosincrasia per tutte le strabilianti novità dei nostrissimi tempi, tranne che per tutto ciò che serve a salvare vite umane o ad alleviarne le sofferenze. Se mi offrissero gratis un viaggio nello spazio direi no grazie, preferisco farmi una passeggiata a piedi per scoprire luoghi urbani o naturali, a seconda dell’umore. Ecco, l’umore è nelle potenzialità dell’intelligenza artificiale? Ne dubito e nello stesso tempo ne sono confortato. C’è ancora dove rifugiarsi. Mi pare di aver sentito dire che fra le tante meraviglie che può fare c’è la scrittura di un testo, di un saggio, addirittura di una poesia o di un romanzo. Una cosa che così mi viene di capire: combinati i dati, come degli ingredienti per una ricetta, tanto di e tanto da, l’intelligenza artificiale ti scodella il prodotto. Si dice perfino che può scrivere una poesia alla Leopardi o alla Manzoni. Sarebbe interessante di questi tempi conoscere il pensiero di Leopardi su Fiorello e sul suo demenziale “Viva Rai Due”, il cui spot televisivo spesso segue subito dopo le macellerie di Gaza; o Manzoni dell’attuale conflitto israelo-palestinese, lui che scrisse per la causa italiana “Marzo 1821” dedicandola al poeta tedesco Koerner caduto a Lipsia contro Napoleone. Per stare nel settore giornalismo, si può ipotizzare che messi tutti i dati di una notizia di cronaca in questa sorta di frullatore intelligente, eccoti servito l’articolo. Immagino che già di suo l’arnese intelligente abbia in sé inserito il politicamente corretto. E così il giornalista che firma il pezzo è garantito da qualche involontario strafalcione lessicale in danno delle specie protette della società, che col passare degli anni aumentano sempre di più. La vasta applicazione dell’intelligenza artificiale va oltre l’immaginazione e non lascia prevedere quali possano essere tutte le ricadute positive e negative sull’uomo in quanto individuo unico e irripetibile. Non c’è dubbio, a quel che si dice, che essa potrebbe far rivivere Indro Montanelli e Oriana Fallaci, Fabrizio De Andrè e Domenico Modugno e magari Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi. Ma quanto questi ultramoderni Frankenstein sarebbero paragonabili agli originali? Nel campo della poesia e della letteratura in genere i risultati sarebbero fallimentari, a meno che l’intelligenza artificiale non venga talmente arricchita da avere nelle sue potenzialità anche l’immaginazione e quello che i tedeschi chiamano lo Streben. Potrebbero mai i prodotti dell’intelligenza artificiale contenere nostalgia, tensione, struggimento? In verità, al netto delle mie incompetenze in materia, che tengo a ribadire, a correre seri rischi sarebbero gli uomini per così dire normali, senza alcuna particolare qualifica, i quali finirebbero per essere sostituiti in tutto e per tutto. Essi sarebbero destinati perfino a perdere le prerogative fisiche normalmente impiegate nel lavoro e nella vita di tutti i giorni. Non accadrebbe dall’oggi al domani evidentemente, ma nel prosieguo dei tempi. L’uomo d’oggi non è certo l’uomo di Neanderthal. Così l’uomo di domani, cui non è peregrino associare l’intelligenza artificiale, non sarà quello di oggi. Quanto alla scrittura va da sé che per sopravvivere al comunismo delle menti chi scrive deve cercare di puntare allo stile e al linguaggio, che sono contraddistinguibili, attribuibili alla persona specifica. Essa deve allontanarsi da tutto ciò che omologa, che appiattisce. Deve rifiutare come dannoso quello che è riproducibile da qualsiasiasi macchina. Contro l’intelligenza artificiale l’uomo deve far uscire da sé il suo quid, che lo rende unico; deve far valere la sua ironia, il suo cinismo, la sua imprevedibilità o su altro registro la sua bontà, il suo pietismo, la sua capacità di emozionare. Chiaro che ciò che appartiene troppo ad un individuo può piacere o non piacere, provoca reazioni, divide, al contrario delle regolarità che lasciano indifferenti, che si limitano ad informare in maniera asettica. Non si tratta tanto dell’essere pro o contro qualcuno o qualcosa, ma del modo come lo si è, come si descrive la propria condivisione o contrarietà; il come deve divertire o commuovere, far arrabbiare o compiacere, mai lasciare il lettore indifferente. Non si può scrivere un editoriale, un pezzo di critica come non si può scrivere una novella o un racconto, come un foglietto illustrativo di un medicinale. Non condivido quello che uno scrive, ma mi piace come lo fa, perché lascia pensare che dietro c’è l’intelligenza umana.

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