sabato 6 marzo 2021

Il Movimento 5 Stelle e la politica del tutto si tiene

La delusione è forte. Quella provata dai Cinquestelle per la svolta “moderata e liberale”, come l’ha definita Luigi Di Maio. Come è noto, il Movimento ha risposto positivamente all’appello del Presidente della Repubblica Mattarella e si è intruppato nella compagine governativa di Mario Draghi, il “banchiere” draculesco verbalmente giocando, insieme a Berlusconi, Salvini e il reprobo Renzi. La gran parte l’ha assorbita, se n’è fatta una ragione, anzi l’ha definita una tappa di maturità, quasi una cosa non imposta dagli eventi ma attentamente perseguita. Un’altra, di gran lunga minoritaria, no, non è proprio riuscita. E si è ribellata, votando contro le decisioni della maggioranza, verificata anche dal voto sulla piattaforma Rousseau. Non stiamo parlando degli elettori grillini, ma degli eletti e dei quadri dirigenti, per i quali vale la distinzione politologica di “credenti” e “carrieristi”.

Bisogna partire da lontano, non da molto lontano, ma se consideriamo l’età del Movimento, meno di dodici anni, sembra che sia passato un secolo. Ma “un secolo fa” grillino era di totale opposizione a tutto ciò che sapeva di establishment, a suon di vaffa, di ingiurie, insulti e anatemi tra i più volgari che mai linguaggio politico abbia conosciuto qui in Italia. Molti dei grillini erano figli di missini sfegatati (vedi Di Battista, vedi Di Maio), dei fascisti irriducibili, erano contro il sistema; e, come i loro padri, non intendevano piegarsi alle sirene del potere condiviso. Con la differenza che i missini erano esclusi, i grillini si autoescludevano e si mettevano come D’Artagnan, uno contro tutti, un po’ come la Meloni oggi. Nel 2013 rifiutarono di entrare in un governo col Pd, allora guidato da Luigi Bersani.

Ora essi, non è che non abbiano ragione, ne hanno da vendere, solo che la loro è una merce senza mercato. Nel giro di pochi anni si ritrovano in uno stesso governo con gli odiati nemici. Non nemici qualsiasi, ma nemici strutturali. Il Movimento era nato contro di loro, si giustificava contro di loro e si finalizzava annientandoli. Con Berlusconi nemmeno un saluto da lontano. Ce lo ricordiamo tutti lo psiconano! Accettare ora che stiano insieme, tutti appassionatamente, è da folli. Addirittura un tradimento colossale il doversi piegare alla “maturità” del Movimento. Come a dire: ora che si è tutti insieme il Movimento dimostra di essere finalmente maturo, moderato e liberale. Ma le ragioni dei “dissidenti” finiscono qui, con le loro ragioni in bacheca, come trofei di cui inorgoglirsi.

Quello che essi non capiscono – non si tratta che non vogliano capire, che è cosa diversa! – è che tutto ciò che si pianta nel terreno politico finisce per tralignare in qualcos’altro. È inevitabile. In meno di una legislatura il Movimento ha conosciuto le giravolte più acrobatiche. Dall’alleanza con la Lega (2018-2019) a quella con Pd, Italia Viva e Leu (2019-2020), ossia dalla destra più estrema alla sinistra edulcorata, fino all’odierno assemblearismo mattarelliano.

Nel frattempo si erano aperte crepe nel Movimento. Non sempre per nobili motivi. Alcuni non hanno inteso versare le quote mensili e per questo sono stati espulsi, andando ad ingrossare i gruppi misti di Camera e Senato, qualcuno è approdato ad altri lidi. La tanto decantata democrazia diretta, attraverso Rousseau, si è rivelata in tutta la sua inconsistenza, per l’esiguità dei votanti. Una sproporzione enorme se si considera che i gruppi parlamentari del Movimento sono ancora di gran lunga maggioritari in entrambi i rami del Parlamento. Altra cosa sono gli espulsi per disobbedienza politica.

I dissidenti vogliono organizzarsi in gruppi con tanto di nome. Hanno creato “l’alternativa c’è”, che è come un volersi radicare alle ragioni primigenie e compiacersi di un’opposizione fine a se stessa, senza sbocchi, fuori dai giochi politici che movimentano le dinamiche democratiche. In realtà in politica chi non accetta i mutamenti, può avere anche ragione sul piano etico e ricevere tutta la simpatia di questo mondo, ma dimostra di avere la sindrome di Peter Pan, ossia quella patologia secondo la quale non si vuole crescere ma piuttosto rimanere fanciulli, com’era appunto il personaggio di James M. Barrie.

Anche in questo il Movimento, almeno la componente ribelle, che non ha votato Draghi e rifiuta il moderatismo e il liberalismo di Di Maio, ricorda l’altro Movimento, il Sociale Italiano, che, in quanto reduce del fascismo, si compiaceva di stare all’opposizione in una sorta di mistica della sconfitta. Anche nel Movimento Sociale non ci volle molto per far cambiare idea a moltissimi, i quali finirono per apprezzare l’ingresso al potere nella prima metà degli anni Novanta (Fini, Berlusconi, Bossi). “Che ne abbiamo avuto – dicevano – per tanti anni all’opposizione? Ci guardavamo allo specchio e ci dicevamo: ma come siamo onesti e puliti!, mentre gli altri s’ingozzavano e si sbrodolavano”.

Ora qui non si vuol dire che la politica in Italia è solo gozzoviglio diffuso. Ci mancherebbe altro! Ma i missini di ieri e i grillini di oggi, limitatamente ai loro periodi di opposizione netta e radicale, hanno offerto un servizio al Paese e alla Politica, sì quella con la P maiuscola. Perché sarà pure vero che i missini si compiacevano dell’opposizione e i grillini della loro diversità, ma è anche vero che essi hanno dimostrato che si può fare politica con nobili intenti. Nessuna opposizione è sterile ed ogni opposizione in politica svolge un ruolo fondamentale. La realtà, purtroppo, finisce sempre per premiare i più spregiudicati, i più rotti a qualsiasi compromesso. I quali, tuttavia, non bisogna mai dimenticarlo, costituiscono la parte più pragmatica e realistica della politica e con la loro spregiudicatezza ma anche col loro impegno si fanno carico dei problemi del Paese. La politica è estrema bellezza ed estrema bruttezza. Entrambe indispensabili.          

 

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