sabato 13 marzo 2021

Draghi, Letta e il momento degli indiscutibili

 

La chiamata di Enrico Letta al capezzale del moribondo Pd somiglia alla chiamata di Mario Draghi al capezzale della moribonda Italia: due autorevoli indiscutibili. Entrambi chiamati per mettere fine al caos delle contrapposizioni e dei reciproci sospetti dei protagonisti del dibattito politico-governativo. Mario Draghi ha messo d’accordo i partiti, ad eccezione di Fratelli d’Italia, che è rimasto fuori del concerto; Enrico Letta dovrebbe mettere d’accordo le correnti interne del Pd. Due uomini d’ordine, insomma. La forza di entrambi sta nell’essere indiscutibili, almeno in apparenza e all’inizio, nell’essere cioè accettati da tutti come arbitri sovrani, e soprattutto nella considerazione che lo stato attuale delle cose, la pandemia per l’Italia e la crisi del Pd, impone il sacrificio per un po’ di tempo del dibattito politico. Dopo, si vedrà.

Una cosa va detta subito per entrambi: nessuno dei due ha poteri taumaturgici. I cambiamenti che ci saranno appariranno lenti e quasi impercettibili. E difatti Giorgia Meloni e la stampa avversa a Draghi nostalgica di Giuseppe Conte (Il fatto quotidiano) sottolineano che finora non c’è stato nessun cambio di passo e che è solo cambiato il direttore d’orchestra mentre lo spartito e parte dei musicanti sono gli stessi. Enrico Letta ha richiamato l’attenzione dell’assemblea Pd di domenica 14 marzo sulle sue parole, su ciò che dirà, e ha suggerito di non coltivare franche ed esagerate aspettative. L’uno e l’altro invitano a tenere i piedi per terra.

Il dato più rilevante sotto l’aspetto politico è che da un po’ di anni in Italia per sbrogliare momenti difficili si ricorre all’eroe, al salvatore della patria, all’uomo della provvidenza, all’indiscutibile, al demiurgo. Questo si giustifica col fallimento della politica che sembra essersi incartata dopo la tormenta di Tangentopoli e i vari tentativi di trovare il bandolo della nuova matassa, che si può sintetizzare nell’idea berlusconiana del Popolo delle Libertà e in quella prodiana dell’Ulivo, due formazioni composite, la prima di centrodestra, la seconda di centrosinistra. Entrambe nate dalla crisi dei partiti tradizionali.

Il compito di Draghi per l’Italia sembra più facile di quello di Letta per il Pd benché incomparabili per importanza siano i due “assistiti”. Se, come si spera, si riuscirà entro l’estate a vaccinare una parte sufficiente degli italiani al punto da far raggiungere loro l’immunità di gregge, si può dire che la battaglia di Draghi è vinta. Questo obiettivo è più appariscente, meno manipolabile come risultato. Gli altri obiettivi, Recovery Plan e riforme, sono alla portata e più stemperabili; comunque secondari in ossequio al detto latino primum vivere deinde philosophari. Se Draghi riuscirà nel primo intento, cioè di vivere, ancor meglio dovrebbe riuscire nel secondo e nel terzo, cioè nel philosophari. Anche se col passare del tempo potrebbe affievolirsi la carica iniziale e potrebbero maturare nuovi scontri e intolleranze fra partiti da mettere in crisi la pax voluta da Mattarella. Due grandi eventi attendono il futuro di Draghi: l’elezione del Presidente della Repubblica e le probabili elezioni anticipate. Due eventi carichi di incognite.

Più o meno, ma su scala ridotta, è la situazione di Letta, il quale dovrà far decantare il partito, fargli raggiungere una certa normalità dialettica in vista del congresso che si annuncia per il 2023, quando le parti avranno raggiunto una certa serenità e dato alcune risposte, fra cui, la più importante, il rapporto col M5S. L’accusa che è stata fatta a Zingaretti, non del tutto destituita di fondamento, è di non aver avuto mai l’iniziativa, di essersi sempre accodato alle scelte di altri e di aver quasi subordinato il Pd al M5S. Letta perciò dovrà prima di tutto recuperare la centralità nel rapporto con l’alleato e la capacità di indicare una direzione seguita poi dagli altri. Molto del risultato della sua credibilità dipenderà da questo. Va detto che il compito non è facile stante la frammentarietà del partito che presenta più capi che sèguiti. Una situazione davvero paradossale se si pensa che l’uscita di Bersani (Leu, corrente di sinistra), e poi quella di Renzi (Italia Viva, corrente per così dire di destra), avevano lasciato più compatto quello che doveva essere il nucleo centrale del partito, non più frazionabile. Si consideri tuttavia che ormai Pd e M5S hanno intrapreso un cammino insieme e che i loro destini ormai si incrociano. Il Pd non dispera di fagocitare il M5S, magari giungendo ad una nuova formazione che li comprendesse entrambi. Da parte sua Beppe Grillo, che aveva capito dove si sarebbe potuti andare a parare, provocatoriamente, ma non troppo, aveva suggerito, prima della scelta di Letta, di essere lui il segretario del Pd. Evidente l’intento da parte di entrambi, Pd e M5S, di fare di questi due partiti una sola cosa.  

Anche per questo il compito di Letta, di salvare il Pd, è più proibitivo di quello di Draghi, di salvare l’Italia: il Pd ci può essere e non ci può essere e comunque si può discutere, l’Italia no, l’Italia è il principio e il fine di tutto.      

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