domenica 19 marzo 2017

Senza programmi non c'è politica


Dice un proverbio che i mali non arrivano mai da soli. Viviamo in piena crisi di tutto, soprattutto di idee e di valori. Ci consoliamo dicendo che ormai tutto è in trasformazione e che la globalizzazione sta agitando il mondo come sulle etichette di certi prodotti è scritto “agitare prima dell’uso”. Il mondo è agitato, per quale uso non si sa. E soprattutto non si sa chi o che cosa lo agita. La teoria di Bauman, secondo cui la società è liquida, non è una prescrizione, è una constatazione. Bauman non ha detto che la società per il meglio di se stessa deve essere liquida; ha detto che è liquida. Per il peggio di se stessa si può aggiungere.
Martedì, 14 marzo – le idi, tanto per ricordare! – due eminenti personalità del mondo della cultura, due autentici punti di riferimento, peraltro di collocazione politica opposta, Giuseppe De Rita e Giuseppe Vacca, ci hanno detto che programmare o avere orizzonti non serve.
De Rita lo ha fatto dal “Corriere della Sera” (Mettete i programmi in soffitta). Dice il Presidente del Censis: “scrivere un programma, metterlo sul tavolo, confrontarlo con le altre parti e presentarlo successivamente agli elettori, come piattaforma di intenzioni e di volontà politiche…è una tentazione che rischia di perdersi in qualche palude pericolosa”.  Il termine programma – spiega De Rita – è invecchiato; i programmi si riducono ad elenchi di parole percepite dai cittadini come stanche e inerti; e infine perché al momento non riusciamo a conoscere e a interpretare la realtà che stiamo vivendo, cui un programa dovrebbe ispirarsi.
Intendiamoci, De Rita non ha torto, ma rinunciare del tutto a programmare, a pensare cosa può produrre un intervento, un provvedimento qualsiasi oltre all’immediato, è come fare calcio all’oratorio, palla fai tu.
Giuseppe Vacca lo ha fatto nella serata dello stesso giorno dal salottino di Lilli Gruber, a “Otto e mezzo” su “La Sette”. In conversazione con l’On. Alfredo D’Attorre e con lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, il direttore della Fondazione Gramsci ha detto che non bisogna guardare all’orizzonte, come suggeriva D’Attorre, perché lui, essendo nato in una città di mare (è di Bari), sa che più ci si avvicina all’orizzonte e più questo s’allontana.
Il concetto è lo stesso: niente programma, niente orizzonte. Più ragionato De Rita, più banale Vacca. Ma se lo dicono due come De Rita e Vacca… Invece ci sono buone ragioni per dissentire, rischiando la lesa maestà.
Intanto i programmi possono essere a breve o a lunga scadenza. Il discorso di De Rita – ma lo stesso è per l’orizzonte di Vacca – vale per i programmi a lunga scadenza. La situazione odierna non consente di guardare oltre un certo limite temporale, dato che tutto appare provvisorio e tutto muta nel breve volgere di tempo. Ma un programma a breve scadenza, “di scopo” come spesso si dice per un governo, non solo è possibile ma anche necessario. Non si tratta solo di sapere dove si va e come e perché si va, ma anche per un elementare senso di democrazia. I cittadini devono essere informati. I programmi rispondono ad un bisogno di informazione, prima di essere un percorso politico-amministrativo, più o meno credibile quando annunciato.
I programmi inoltre sono la carta d’identità dei partiti e dei politici. Prima di tutto la scelta delle priorità. E’ chiaro che un partito di centrosinistra dà priorità a certe cose rispetto ad un partito di centrodestra; e viceversa. Anche la risposta al perché è importante per capire con chi si ha a che fare, per valutare se quel partito è credibile o meno. E perfino il come è importante, dato che nessuno può garantire di fare una certa cosa senza averne i mezzi e senza avere le giuste competenze.
Ridurre tutto ad un empirico e improvvisato fare, come farebbero pensare De Rita e Vacca, significa assestare il colpo di grazia alla politica e alla democrazia, che della politica è l’espressione più alta.
Stupisce soprattutto lo storico Vacca per la sua storia personale di intellettuale comunista. Non è, infatti, una cosa decorativa la presidenza della Fondazione Gramsci: è il riconoscimento di autorevolezza culturale e dottrinale. Che l’orizzonte esalti la relatività è perfino banale: ogni persona ha il suo orizzonte fisico. Inteso come programma, però, l’orizzonte segna il punto da raggiungere se non per sedercisi sopra almeno per vederlo e ripartire.
Le affermazioni di De Rita e Vacca sono gravi tanto più se cadono in un momento in cui la politica è ai minimi termini. Ma mai come in questo momento la voce delle persone autorevoli – e De Rita e Vacca lo sono – dovrebbe farsi sentire forte per il recupero di certi valori. Se invece questa voce si unisce al coro, davvero si aggiunge male al male.

Da Berlusconi a Renzi è stato uno scivolare verso un modo di essere in politica alla buona, all’insegna dello slogan e della battuta, del qualunquismo e del populismo più beceri. I cittadini sono stati considerati come pecore al pascolo. Esse hanno bisogno di brucare, non di pensare né di guardare oltre il pascolo; dunque facciomole mangiare. Niente programmi, niente orizzonti. Tutto qui ed ora. Un gran brutto momento!       

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