domenica 12 marzo 2017

Donne: il fallimento dell'8 marzo 2017


Martedì 7 marzo, i telegiornali di tutte le reti annunciano che in Italia continua il calo demografico. La popolazione residente in Italia alla data del 1° gennaio 2017 è di 60.579.000 abitanti, meno 86mila rispetto all’anno precedente. Lo dice l’Istat. Le nascite nel 2016, 474mila, sono meno rispetto al 2015, 486mila. I decessi nello stesso periodo sono diminuiti: 648mila nel 2015, 608mila nel 2016, meno 40mila. Il saldo naturale, nascite meno decessi, è di 135mila. Un trend, che se dovesse continuare, porterebbe ad un invecchiamento della popolazione e poi ad una deriva demografica vera e propria. Le donne non vogliono più fare figli; quando li fanno sono mediamente ultratrentenni. Non è un fenomeno solo italiano, ma questo non deve consolarci.
Mercoledì 8 marzo, i telegiornali di tutte le reti sono quasi interamente dedicati alla cosiddetta festa della donna. Si parla diffusamente dello sciopero delle donne in tutto il mondo. Il messaggio è chiaro: vogliono la parità con gli uomini, la libertà, la sicurezza. Basta con le sottomissioni, basta con i femminicidi, basta con le disparità lavorative ed economiche. Il messaggio meno gridato è però un altro: basta coi figli. E’ questa, per natura, l’inalienabile “sottomissione” femminile. Se le donne non vogliono fare figli è per sentirsi più libere di lavorare, di fare carriera, di fare politica, di fare cultura, arte, giornalismo, ovvero conquistare tutte le posizioni tradizionalmente maschili.
Se il giorno prima – 7 marzo – ci si preoccupava del calo delle nascite, il giorno dopo – 8 marzo –  si faceva passare il messaggio che le nascite sono da ascriversi alle tante subalternità femminili, a cui bisogna dire basta. Il giorno prima preoccupazione, il giorno dopo osanna alle cause della preoccupazione.
Esemplificazioni quanto si vuole, ma questa è la logica conclusione. Mai come in questo caso vale il detto della botte piena e della moglie ubriaca. La botte piena sarebbe la società, la popolazione, la moglie ubriaca sarebbe la donna libera da qualsiasi impegno. Ma, come è facile arguire, con una moglie ubriaca di ideologia non si può riempire la botte di figli.
Il nostro mondo purtroppo diventa sempre più sconnesso. La cultura delle società democratiche occidentali sta portando la sua civiltà alla deriva. Senza le donne nel loro ruolo naturale e sociale per l’Occidente è la fine. A forza di rivendicare improbabili libertà sono giunte a distruggere qualsiasi collante sociale. La seconda metà del Novecento si è caratterizzata per una cultura esclusiva, disgregatrice, destruens. Per questo sono state inventate nuove “classi” da contrapporre l’una all’altra. Il ’68 s’inventò la classe degli studenti che rivendica la libertà dalla classe dei professori. I risultati si sono visti: un nuovo analfabetismo si è diffuso in ogni strato sociale, appena appena attenuato dall’abilità di uso dei social. Oggi la classe delle donne è contro non si sa chi. Contro la classe degli uomini? Contro la classe del potere, che pure, maschile è? Lo sciopero dell’8 marzo è stato un assurdo sociale, tanto più per la partecipazione degli uomini, ormai mentalmente asserviti al dio diritto individuale, al faccio quello che voglio.
Non c’è alcun dubbio che l’individualismo, con tutte le sue rivendicazioni di diritti, ha portato alla disintegrazione di ogni forma di società, dalla micro della famiglia alla macro della nazione. Oggi esiste l’umanità, intesa come sommatoria di uno sterminato numero di individui, i quali hanno tutti i diritti possibili e immaginabili a prescindere dalle necessità di ogni insieme. Non conta più il popolo, non la società, non la famiglia, non lo Stato. Conta l’individuo, come è nella sua dimensione psichica e fisica.
Ma la salvezza delle società occidentali passa inevitabilmente dal recupero delle donne ai loro compiti naturali e sociali. Sembra un’utopia regressiva, ma una soluzione diversa non c’è. Certo, deve essere chiaro che non deve trattarsi di un salto all’indietro, ma di una consapevole riparazione di alcune ingiustizie e di alcuni danni subiti nei millenni dalle donne, partendo dal presupposto però che quanto è avvenuto nel passato non è ascrivibile alla natura malvagia dell’uomo ma ad una serie di fattori e di circostanze. Non è più il tempo di quando i nostri padri dicevano alle mogli: taci e fa’ la fèmmina! Allora non c’era la cultura di oggi. Era tutto un altro mondo. Oggi in famiglia c’è più collaborazione, intesa, partecipazione. Semmai, laddove si registra un deficit di tutto questo bisognerebbe insistere con l’educazione. La scuola è l’agenzia principale per un obiettivo del genere. Tendere ad unire, non a contrapporre, a separare; evidenziando gli aspetti buoni dello stare insieme e la ricaduta positiva di qualche inevitabile rinuncia. Se è vero che le lotte femministe fino ad oggi hanno portato indiscutibilmente ad un miglioramento delle loro condizioni, è vero anche che ciò è stato possibile grazie all’avanzamento complessivo delle condizioni culturali, politiche ed economiche. Ma oggi, senza per questo porre dei paletti ad un processo di promozione sociale, si sta andando oltre ogni comprensibile rivendicazione e si sta prendendo la strada del disastro. Occorre avere la consapevolezza che non c’è sviluppo che prima o poi non arrivi alla negazione stessa di ogni principio di ragionevolezza.

Le donne, che continuano ostinatamente a lottare contro gli uomini, non si rendono conto di porsi fuori della società, di perdersi in una bolla ideologica senza via d’uscita. Non si tratta di fare il  Menenio Agrippa della situazione, ma di rendersi conto che ormai come coesione sociale siamo in discesa a rotta di collo. Ecco perché l’8 marzo di quest’anno, che doveva essere una festa, è stato un fallimento.    

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