domenica 12 febbraio 2017

La chiesa dei poveri non è chiesa


A Roma la mattina del 4 febbraio i romani potevano leggere affisso sui muri della città un manifesto anonimo con accuse a Papa Francesco. A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato i Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?”. Una pasquinata, i contenuti della quale però rivelano una fonte più alta, in quanto riferiscono provvedimenti relativi ai piani alti della chiesa: congregazioni, ordini religiosi, cardinali. Per stare nello schema della comunicazione, popolare non è il messaggio, ma il mezzo e il destinatario. La protesta anti Bergoglio è passata dalle sale e dai corridoi dei palazzi vaticani alle strade di Roma.
Da tempo si parla di opposizione al verbo bergogliano tra teologi, ecclesiastici, gerarchie vaticane. Conservatori e reazionari, come vengono chiamati dai progressisti coloro che difendono l’ortodossia, scontenti delle cosiddette aperture del papa sudamericano, considerate vere e proprie svendite dottrinali: gay, divorziati, unioni civili, aborti e via permettendo dietro il carro che in Italia è tirato da radicali, sinistra estrema e centri sociali, hanno deciso di portare nelle piazze le ragioni del dissenso.
Quale la materia del contendere? E soprattutto che cosa lega le cosiddette aperture di Bergoglio coi suoi provvedimenti nei confronti di congregazioni e ordini? 
Fatti salvi gli aspetti marginali del modo di essere e di apparire di Papa Francesco, che riguardano la sfera caratteriale, questo papa, nella sua politica inclusiva di peccatori, sacrifica punti cardine della dottrina cattolica, fino a mettere in discussione perfino il concetto di peccato. E va oltre quando afferma che la sua è la chiesa dei poveri, con ciò dandole una connotazione esclusiva. Ne consegue che i ricchi, solo per essere tali, sono esclusi dalla sua chiesa. E così quelli che ricchi non sono ma vorrebbero esserlo. Ma una chiesa di parte non può rappresentare la chiesa che, per definizione, è “assemblea”, perciò di tutti. Bergoglio vuole una chiesa-partito. Il suo proclama sembra fare il paio con quello engels-marxista “poveri di tutto il mondo unitevi”; anzi “peccatori di tutto il mondo unitevi, purché siate poveri”, la chiesa vi accoglie, in nome della misericordia. I peccati dei poveri non sono peccati.
Papa Francesco, fin dal suo primo pantofolato ingresso nel mondo dell’ecumene cristiana, “buonasera”, si è proposto come il capo dell’internazionale dei poveri, non per far loro cambiare condizione ma per esaltarne le virtù. Il suo atteggiamento mentale è di esaltazione della povertà. In lui la condizione di povero non deve essere considerata fase da superare verso la ricchezza secondo un ordine naturale e universale – gli uomini da sempre tendono a vivere meglio – ma uno stato di felicità da conservare e coltivare. In contrasto, chi è ricco e soprattutto chi cerca di essere ricco, per Papa Bergoglio è un malvagio. Rispetto all’elogio della povertà del poverello d’Assisi, che non esecrava chi era ricco o chi cercava di esserlo, Papa Bergoglio si pone come un autentico leader politico o sindacale. Viva la povertà, morte alla ricchezza! E’ qui il corto circuito.
I suoi continui attacchi al capitalismo, in quanto pensiero e prassi dell’accumulo e dell’investimento a fini economici per migliorare e potenziare le strutture del sistema, in cui trovano miglioramenti di vita il singolo e la società, mettono fuori della chiesa persone che, fino a prova contraria - basterebbe una lettura più critica della storia - hanno dato vita ad un progressivo benessere individuale e sociale. Il capitalismo si è realizzato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ha provocato guerre e devastazioni. Questo è indiscutibile, ma ha anche promosso la civiltà di cui tutti nel mondo, sia pure in maniera e misura diversa, godono i benefici.
Quando si combatte il capitalismo per i suoi effetti negativi, per i suoi eccessi e le sue storture, occorre tener presente che nessun progresso sarebbe stato possibile senza il suo formarsi, senza il suo esercizio. Sarebbe come se davanti ad una grande e meravigliosa opera d’arte ci si soffermasse esclusivamente a considerare la fatica fisica costata al suo artefice e ai tanti lavoratori che hanno contribuito a realizzarla. Se non ci fosse stato lo sfruttamento, perfino animalesco, di quei lavoratori, evidentemente non ci sarebbe stata l’opera bella e meravigliosa. Sono considerazioni banali, che dovrebbero essere capite già alla prima elementare. Invece abbiamo ancora oggi colti e finissimi storici dell’arte e critici d’arte, che mentre si estasiano davanti alla bellezza di un’opera d’arte, predicano contro la ricchezza che quell’opera ha prodotto.
Chi critica e maledice la ricchezza e il capitalismo ha ragione di farlo purché sia consequenziale. Nessuno può beatificare l’effetto maledicendo la causa. La povertà è una condizione che va superata. In questo la ricchezza ha un ruolo fondamentale, in quanto è l’unica che possiede i mezzi per aiutare i poveri a soffrire di meno le conseguenze della povertà o a farli diventare meno poveri o addirittura ricchi. Ma tutto ciò è secondario, non è lo scopo precipuo dell’economia, che, come la politica, è autonoma con le sue leggi. La carità non può essere lo scopo dell’economia; essa si basa e tende al profitto; la carità rende ancor più importante e nobile la funzione. 
Un papa, chiunque esso sia, deve saper rappresentare tutti i cristiani, poveri e ricchi, dicendo ai primi di non rassegnarsi e di impegnarsi ad uscire dalla loro condizione e convincere i ricchi a fornire ai poveri tutti gli aiuti di cui hanno bisogno. “Chi ha avuto in copia – dice il Manzoni ne “La pentecoste” – doni con volto amico / con quel tacer pudico / che lieto il don ti fa”. Ai tempi del Manzoni si poteva parlare di “dono”, oggi quel dono va inteso come condizione che lo Stato e la Società pongono al servizio del cittadino per migliorarsi.

Il comunismo di Bergoglio è viscerale e si pone fuori da ogni dialettica. La sua cultura qui da noi è stata ampiamente superata, non sui libri ma nella realtà della vita. A ben riflettere la sua posizione di apologeta della povertà e di iconoclasta della ricchezza, a lungo andare penalizza i poveri e favorisce i ricchi. Negli uni spegne ogni forza di guardare oltre la propria condizione; negli altri rafforza le loro difese mettendoli al riparo da quelle minacce che la storia ha sempre prodotto col pensiero, la volontà e la forza dei poveri e dei bisognosi. 

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