Se oggi vuoi insultare uno,
chiamalo populista. Ma se vuoi elogiarlo, chiamalo sempre populista. Il termine, che deriva da populismo, è ambivalente. Nella sua accezione
politica in Italia è recente.
Il punto fondamentale è chiarire
sulla soglia d’ingresso della questione che cosa s’intende per populista.
Stando al tema della parola e alla sua desinenza, viene di pensare che
populista è chi pensa e agisce in favore del popolo. Così inteso, tutti dovrebbero
essere populisti; ma può indicare anche chi pensa e agisce come il popolo. In
questo secondo caso c’è chi mena vanto di esserlo e chi, invece, respinge
l’attributo e pone un distinguo: chi pensa e agisce come il popolo non sempre
pensa e agisce in suo favore. Di più o meno populisti e addirittura di antipopulisti se ne trovano nelle
due grandi aree politiche; perfino nella chiesa, dove papa Francesco populista
lo è senza se e senza ma.
Ovvio che la distinzione è di
servizio, serve solo per rendere l’idea. Come per il colesterolo, c’è dunque un
populismo positivo e un populismo negativo. I populisti positivi sono quelli
che, pur usando metodi impopolari, pensano e agiscono per migliorare le
condizioni del popolo. I populisti negativi – stiamo parlando sempre di
politici, intellettuali e scrittori, di quelli cioè che creano opinione – sono
quelli che cavalcano la tigre del popolo, che pensano e agiscono come il popolo
vorrebbe che agissero: immediati, sommari, generalizzanti.
Prendiamo l’esempio oggi più
speso dai populisti. Ci sono flussi migratori che arrivano da noi? Bene,
costruiamo muri e innalziamo reticolati, come fanno altri paesi, per impedirne
l’accesso e siccome noi siamo circondati dall’acqua e non dalla terra, i muri
facciamoli di navi. Già si sono verificati casi di sindaci che hanno respinto
gli arrivi dei migranti nei loro paesi disposti dalla Prefettura ed altri che
hanno impedito materialmente l’accesso ostruendo le strade.
Il popolo vede l’immediato, non sceglie, ma opera e difficilmente connette le conseguenze che ne derivano. Per restare
nell’esempio dei migranti, non si considera che ci sono tanti italiani sparsi nel mondo, che
così vengono esposti a rappresaglie, che s’interrompono i rapporti commerciali
con molti altri paesi, che si acuiscono i conflitti che da politici possono
diventare militari e via di seguito. Gli antipopulisti, pur comprendendo il
malumore del popolo, sostengono le ragioni del governo che gestisce il problema
in maniera dilatoria, liquida, anche truffaldina – diciamola tutta! – per un
verso dando ad intendere che non si può fare proprio nulla e per un altro
propagandando qualche espulsione e rimpatrio di soggetti particolarmente
pericolosi, come gli estremisti islamici: un gettare nelle fauci di Cerbero un
po’ di fango.
E’ quanto ha fatto l’Italia in
questi ultimi anni, sia coi governi di centrodestra che con quelli di
centrosinistra; parole a parte.
Per capire l’importanza del populismo
e soprattutto le differenze tra chi pensa e agisce per il popolo e chi pensa e
agisce come il popolo, si consideri l’esercizio professionale di un insegnante.
Questi, applicando la formula populista, che per comodità lessicale chiamiamo
studentista, dovrebbe comportarsi come uno che, piuttosto che insegnare avendo
come punto di riferimento il sapere, la formazione del cittadino e del
professionista, cercasse di tenere contenti gli studenti. Lo studentismo come
il populismo. Una scuola studentista sarebbe nefasta sul piano personale e
sociale. Da una simile scuola verrebbero fuori soggetti di difficile
definizione civica, di approssimative capacità professionali, di nessuna
formazione.
Allora bisognerebbe insegnare
contro gli studenti o prescindere da essi? Assolutamente no. Stabiliti contenuti,
metodi, criteri e obiettivi, tutti improntati e tesi alla formazione del
cittadino e del professionista, lo studentismo dovrebbe giustificarsi entro
queste coordinate. Allo stesso modo il populismo non dovrebbe uscire dalle
coordinate costituzionali.
Sano operato è quello
dell’insegnante che conosce i suoi alunni e cerca di guidarli con l’esempio e
la dottrina verso obiettivi importanti per l’individuo e per le istituzioni.
Così, sano populismo è quello che capisce le esigenze del popolo e opera per
soddisfarle ma nello stesso tempo non rinuncia ad educarlo.
Il “popolo bambino” è una recente
trovata dello storico Antonio Gibelli per significare come il regime fascista
considerava il popolo; ma non bisogna considerare la formula nella sua
accezione negativa. In un certo senso ogni buon governo, nelle leggi e negli interventi,
non dovrebbe rinunciare mai alla sua funzione pedagogica.
Non si tratta di avere una
visione pessimistica dell’uomo e del popolo, ma di non escludere che in
determinati periodi di crisi e di emergenza, il popolo va guidato verso approdi
favorevoli, per evitare che si facesse male da sé pensando di farsi del bene.
Gli antipopulisti a volte sono i
veri populisti: antipopulisti a parole; populistissimi nei fatti. Attori,
cantanti, uomini dello spettacolo, che in tutto l’Occidente si professano
antipopulisti – si consideri quel che hanno detto e fatto per il caso Trump negli
Stati Uniti d’America! – in realtà sono autentici populisti, della specie più
cinica, che è sempre quella bottegaia. Davvero cantanti e attori, che fanno
soldi a palate col pubblico che paga per osannarli, non sono interessati a
mostrarsi antipopulisti? Chi andrebbe a vedere i loro film, a seguire i loro
spettacoli, a comprare i loro prodotti? Essi, difendendo le fasce sociali più
numerose e basse, in realtà difendono il proprio mercato.
Non si sottovaluti un dato
importantissimo nella società di oggi, nella quale chi detta la morale, la
moda, il costume, il pensiero, i gusti sono i cantanti. Vasco Rossi, Ligabue e
Jovannotti – tanto per citare alcuni dei nostri – contano più di quanto
contavano Croce, Gentile e Bobbio nella loro società. Essi non erano né
populisti né antipopulisti, ma convinti assertori che non si deve andare contro
il popolo, ma neppure blandirlo o assecondarlo, e che il popolo aveva bisogno
di loro assai di più di quanto loro non avessero bisogno del popolo. Oggi il
rapporto è rovesciato: i nuovi educatori hanno bisogno degli educandi come un
supermercato ha bisogno di clienti. Che è un po’ il populismo da scaffale. Vedi
il caso di Partigiano reggiano di
Zucchero, parodistico quanto si vuole ma marchio di rara efficacia e
suggestione.
Nessun commento:
Posta un commento