domenica 19 febbraio 2017

Due tre cose sul populismo


Se oggi vuoi insultare uno, chiamalo populista. Ma se vuoi elogiarlo, chiamalo sempre populista. Il termine, che deriva da populismo, è ambivalente. Nella sua accezione politica in Italia è recente.   
Il punto fondamentale è chiarire sulla soglia d’ingresso della questione che cosa s’intende per populista. Stando al tema della parola e alla sua desinenza, viene di pensare che populista è chi pensa e agisce in favore del popolo. Così inteso, tutti dovrebbero essere populisti; ma può indicare anche chi pensa e agisce come il popolo. In questo secondo caso c’è chi mena vanto di esserlo e chi, invece, respinge l’attributo e pone un distinguo: chi pensa e agisce come il popolo non sempre pensa e agisce in suo favore. Di più o meno populisti e addirittura di antipopulisti se ne trovano nelle due grandi aree politiche; perfino nella chiesa, dove papa Francesco populista lo è senza se e senza ma.
Ovvio che la distinzione è di servizio, serve solo per rendere l’idea. Come per il colesterolo, c’è dunque un populismo positivo e un populismo negativo. I populisti positivi sono quelli che, pur usando metodi impopolari, pensano e agiscono per migliorare le condizioni del popolo. I populisti negativi – stiamo parlando sempre di politici, intellettuali e scrittori, di quelli cioè che creano opinione – sono quelli che cavalcano la tigre del popolo, che pensano e agiscono come il popolo vorrebbe che agissero: immediati, sommari, generalizzanti.  
Prendiamo l’esempio oggi più speso dai populisti. Ci sono flussi migratori che arrivano da noi? Bene, costruiamo muri e innalziamo reticolati, come fanno altri paesi, per impedirne l’accesso e siccome noi siamo circondati dall’acqua e non dalla terra, i muri facciamoli di navi. Già si sono verificati casi di sindaci che hanno respinto gli arrivi dei migranti nei loro paesi disposti dalla Prefettura ed altri che hanno impedito materialmente l’accesso ostruendo le strade.
Il popolo vede l’immediato, non sceglie, ma opera e difficilmente connette le conseguenze che ne derivano. Per restare nell’esempio dei migranti, non si considera che ci sono tanti italiani sparsi nel mondo, che così vengono esposti a rappresaglie, che s’interrompono i rapporti commerciali con molti altri paesi, che si acuiscono i conflitti che da politici possono diventare militari e via di seguito. Gli antipopulisti, pur comprendendo il malumore del popolo, sostengono le ragioni del governo che gestisce il problema in maniera dilatoria, liquida, anche truffaldina – diciamola tutta! – per un verso dando ad intendere che non si può fare proprio nulla e per un altro propagandando qualche espulsione e rimpatrio di soggetti particolarmente pericolosi, come gli estremisti islamici: un gettare nelle fauci di Cerbero un po’ di fango.
E’ quanto ha fatto l’Italia in questi ultimi anni, sia coi governi di centrodestra che con quelli di centrosinistra; parole a parte.
Per capire l’importanza del populismo e soprattutto le differenze tra chi pensa e agisce per il popolo e chi pensa e agisce come il popolo, si consideri l’esercizio professionale di un insegnante. Questi, applicando la formula populista, che per comodità lessicale chiamiamo studentista, dovrebbe comportarsi come uno che, piuttosto che insegnare avendo come punto di riferimento il sapere, la formazione del cittadino e del professionista, cercasse di tenere contenti gli studenti. Lo studentismo come il populismo. Una scuola studentista sarebbe nefasta sul piano personale e sociale. Da una simile scuola verrebbero fuori soggetti di difficile definizione civica, di approssimative capacità professionali, di nessuna formazione.
Allora bisognerebbe insegnare contro gli studenti o prescindere da essi? Assolutamente no. Stabiliti contenuti, metodi, criteri e obiettivi, tutti improntati e tesi alla formazione del cittadino e del professionista, lo studentismo dovrebbe giustificarsi entro queste coordinate. Allo stesso modo il populismo non dovrebbe uscire dalle coordinate costituzionali.
Sano operato è quello dell’insegnante che conosce i suoi alunni e cerca di guidarli con l’esempio e la dottrina verso obiettivi importanti per l’individuo e per le istituzioni. Così, sano populismo è quello che capisce le esigenze del popolo e opera per soddisfarle ma nello stesso tempo non rinuncia ad educarlo.
Il “popolo bambino” è una recente trovata dello storico Antonio Gibelli per significare come il regime fascista considerava il popolo; ma non bisogna considerare la formula nella sua accezione negativa. In un certo senso ogni buon governo, nelle leggi e negli interventi, non dovrebbe rinunciare mai alla sua funzione pedagogica.
Non si tratta di avere una visione pessimistica dell’uomo e del popolo, ma di non escludere che in determinati periodi di crisi e di emergenza, il popolo va guidato verso approdi favorevoli, per evitare che si facesse male da sé pensando di farsi del bene.  
Gli antipopulisti a volte sono i veri populisti: antipopulisti a parole; populistissimi nei fatti. Attori, cantanti, uomini dello spettacolo, che in tutto l’Occidente si professano antipopulisti – si consideri quel che hanno detto e fatto per il caso Trump negli Stati Uniti d’America! – in realtà sono autentici populisti, della specie più cinica, che è sempre quella bottegaia. Davvero cantanti e attori, che fanno soldi a palate col pubblico che paga per osannarli, non sono interessati a mostrarsi antipopulisti? Chi andrebbe a vedere i loro film, a seguire i loro spettacoli, a comprare i loro prodotti? Essi, difendendo le fasce sociali più numerose e basse, in realtà difendono il proprio mercato.

Non si sottovaluti un dato importantissimo nella società di oggi, nella quale chi detta la morale, la moda, il costume, il pensiero, i gusti sono i cantanti. Vasco Rossi, Ligabue e Jovannotti – tanto per citare alcuni dei nostri – contano più di quanto contavano Croce, Gentile e Bobbio nella loro società. Essi non erano né populisti né antipopulisti, ma convinti assertori che non si deve andare contro il popolo, ma neppure blandirlo o assecondarlo, e che il popolo aveva bisogno di loro assai di più di quanto loro non avessero bisogno del popolo. Oggi il rapporto è rovesciato: i nuovi educatori hanno bisogno degli educandi come un supermercato ha bisogno di clienti. Che è un po’ il populismo da scaffale. Vedi il caso di Partigiano reggiano di Zucchero, parodistico quanto si vuole ma marchio di rara efficacia e suggestione. 

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