L’enormità della nevicata in
Puglia, che dura dal 6 gennaio, ha fatto dire al Governatore della Regione Michele
Emiliano, che per trovare un precedente occorre andare indietro di più di cent’anni.
Ce l’ha portata la befana o sono stati gli hakker di Putin, dato che la
perturbazione che l’ha causata viene dai Balcani? Ovvio, mi va di scherzare.
La neve è pur sempre un evento
giù da noi, una festa per i bambini che si mettono a fare subito pupazzi e a
battagliare con le palle; ma anche per gli adulti che se ne vanno in giro con
gli smartphone per immortalare i paesaggi urbani, i giardini e le persone, a
partire dai propri famigliari ed amici.
Scherzo, perché di fronte a certe
situazioni forse è l’unica cosa seria che si può fare. Obama è convinto che
Putin abbia fatto vincere le elezioni a Trump per mezzo dei suoi hakker. E
addirittura mette in guardia quegli Europei, che nel corso di quest’anno devono
rinnovare la classe politica. Vuole far credere l’ormai ex Presidente degli
Stati Uniti che corriamo seri pericoli, che la democrazia corre seri pericoli;
che in Italia o in Germania vince chi vuole Putin. Fosse vero, non bisognerebbe
dirlo; ma agire di conseguenza.
Che la più grande potenza
politica, economica e militare della Terra si pieghi a mettere in giro voci del
genere fa pensare che ormai è tutto post-verità. Più verosimilmente è lo choc
per aver perso le elezioni. C’era forse un disegno in Obama: ora vince la
Clinton e poi magari la
Michelle. Si sa, gli appetiti vengono mangiando. L’irruzione
di Trump sulla scena, ritenuta da moltissimi oscena, ha rovinato i piani. Non
può essere che colpa di un malvagio. E oggi non ci sono dubbi: è lui, Putin.
Ma torniamo alla neve in Puglia. A
dire il vero è un po’ tutto il Mezzogiorno d’Italia nella morsa della neve e
del freddo; perfino la Sicilia.
Nel Salento la neve è caduta
abbondante, ma non è montata che trenta centimetri. Cosa assai lontana dai tre
metri, di cui ha parlato Emiliano per l'alta Puglia. Da noi c’è il mare da tre parti. Siamo una
penisola attaccata alla penisola. L’aria del mare ha mitigato gli effetti delle
precipitazioni. Ma i danni ci sono anche da noi. Coltivazioni tipiche dei climi
caldi hanno subito conseguenze gravi. Le pale dei fichi d’India sono come
lessate. Le piante grasse sono come riempite di liquido nero. Hanno cambiato
colore i ficus. Le fontane hanno smesso di dare acqua, le farfalle dei
rubinetti sono come saldate. Alcuni tubi sono esplosi. Altri hanno lasciato
uscire acqua rossastra. Le strade sono impraticabili. Le scuole chiuse. Molti
negozi e uffici chiusi. Molti, appena migliorato il tempo, hanno preso d’assalto
i supermercati per fare provviste per chissà quale emergenza.
Ho trascorso due anni della mia
adolescenza a Berna, in Svizzera. La città, col suo fiume Aar, è come sul fondo
di un catino, circondata dalle montagne dello Jura bernese. Lì nevica da
ottobre ad aprile e tutto funziona. Le scuole sono aperte, così i negozi e gli
uffici. Le persone, di ogni età e condizione, si alzano regolarmente la mattina
e vanno dove devono andare. Lì nessuno si sognerebbe di parlare di danni o di
condizioni straordinarie. Come in Svizzera, anche in Germania, in Austria e in
tanti altri paesi europei, dalla cintola in su.
L’Europa è anche questa: un
fenomeno in Italia è poco meno di un terremoto, in un paese della Mitteleuropa
è la
quotidianità. Purtroppo a governare questo mostro dalle tante
teste, dalle tante braccia e dalle tante gambe, che è l’Europa, sono più quelli
del Nord che noi del Sud. Le teste più importanti della politica europea – a parte
Mario Draghi, che comunque è un tecnico – sono tedesche, belghe, francesi,
olandesi, lussemburghesi e su dicendo. Italiani, Spagnoli, Greci contano assai
poco; e così Polacchi, Ungheresi e paesi balcanici.
La neve fa riflettere, proprio per la sua leggerezza e piacevolezza; sembra al di sopra di ogni sospetto di antieuropeismo. Noi
Europei siamo diversi, non c’è niente da fare. Lo stare insieme, processo ormai
irreversibile, almeno nei medi e lunghi tempi, mette in risalto le differenze
e, purtroppo, seleziona la classe dirigente. L’Europa doveva essere fatta
diversamente, nel rispetto delle tante diversità. Questo non significa che, per
esemplificare, le cose buone dei paesi nordici dovevano rimanere buone, e le
cose cattive dei paesi meridionali dovevano rimanere cattive. L’unione, si sa,
attiva fenomeni di omologazione, purché si riconosca che in partenza si è
diversi e che per stare bene insieme occorre togliere di qua e aggiungere di là
in processi di lunga durata. Invece è accaduto l’assurdo. Si è detto: siamo tutti
europei come in genere si dice siamo tutti figli di Dio. Non è stato solo un
caso che in Europa ci abbia portato Romano Prodi, l’uomo politico italiano più
simile ad un predicatore quaresimale. E invece di partire diversi per somigliarci
sempre più; siamo partiti simili per diventare sempre più diversi. E, mentre si
continua a dire che siamo tutti d’accordo – e non lo siamo – basta una forte
nevicata, che altrove è fenomeno banalissimo, per far emergere resistenti
differenze.
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