lunedì 9 gennaio 2017

Europa: la neve di Puglia fa la differenza


L’enormità della nevicata in Puglia, che dura dal 6 gennaio, ha fatto dire al Governatore della Regione Michele Emiliano, che per trovare un precedente occorre andare indietro di più di cent’anni. Ce l’ha portata la befana o sono stati gli hakker di Putin, dato che la perturbazione che l’ha causata viene dai Balcani? Ovvio, mi va di scherzare.
La neve è pur sempre un evento giù da noi, una festa per i bambini che si mettono a fare subito pupazzi e a battagliare con le palle; ma anche per gli adulti che se ne vanno in giro con gli smartphone per immortalare i paesaggi urbani, i giardini e le persone, a partire dai propri famigliari ed amici.
Scherzo, perché di fronte a certe situazioni forse è l’unica cosa seria che si può fare. Obama è convinto che Putin abbia fatto vincere le elezioni a Trump per mezzo dei suoi hakker. E addirittura mette in guardia quegli Europei, che nel corso di quest’anno devono rinnovare la classe politica. Vuole far credere l’ormai ex Presidente degli Stati Uniti che corriamo seri pericoli, che la democrazia corre seri pericoli; che in Italia o in Germania vince chi vuole Putin. Fosse vero, non bisognerebbe dirlo; ma agire di conseguenza.
Che la più grande potenza politica, economica e militare della Terra si pieghi a mettere in giro voci del genere fa pensare che ormai è tutto post-verità. Più verosimilmente è lo choc per aver perso le elezioni. C’era forse un disegno in Obama: ora vince la Clinton e poi magari la Michelle. Si sa, gli appetiti vengono mangiando. L’irruzione di Trump sulla scena, ritenuta da moltissimi oscena, ha rovinato i piani. Non può essere che colpa di un malvagio. E oggi non ci sono dubbi: è lui, Putin.
Ma torniamo alla neve in Puglia. A dire il vero è un po’ tutto il Mezzogiorno d’Italia nella morsa della neve e del freddo; perfino la Sicilia.
Nel Salento la neve è caduta abbondante, ma non è montata che trenta centimetri. Cosa assai lontana dai tre metri, di cui ha parlato Emiliano per l'alta Puglia. Da noi c’è il mare da tre parti. Siamo una penisola attaccata alla penisola. L’aria del mare ha mitigato gli effetti delle precipitazioni. Ma i danni ci sono anche da noi. Coltivazioni tipiche dei climi caldi hanno subito conseguenze gravi. Le pale dei fichi d’India sono come lessate. Le piante grasse sono come riempite di liquido nero. Hanno cambiato colore i ficus. Le fontane hanno smesso di dare acqua, le farfalle dei rubinetti sono come saldate. Alcuni tubi sono esplosi. Altri hanno lasciato uscire acqua rossastra. Le strade sono impraticabili. Le scuole chiuse. Molti negozi e uffici chiusi. Molti, appena migliorato il tempo, hanno preso d’assalto i supermercati per fare provviste per chissà quale emergenza.
Ho trascorso due anni della mia adolescenza a Berna, in Svizzera. La città, col suo fiume Aar, è come sul fondo di un catino, circondata dalle montagne dello Jura bernese. Lì nevica da ottobre ad aprile e tutto funziona. Le scuole sono aperte, così i negozi e gli uffici. Le persone, di ogni età e condizione, si alzano regolarmente la mattina e vanno dove devono andare. Lì nessuno si sognerebbe di parlare di danni o di condizioni straordinarie. Come in Svizzera, anche in Germania, in Austria e in tanti altri paesi europei, dalla cintola in su.
L’Europa è anche questa: un fenomeno in Italia è poco meno di un terremoto, in un paese della Mitteleuropa è la quotidianità. Purtroppo a governare questo mostro dalle tante teste, dalle tante braccia e dalle tante gambe, che è l’Europa, sono più quelli del Nord che noi del Sud. Le teste più importanti della politica europea – a parte Mario Draghi, che comunque è un tecnico – sono tedesche, belghe, francesi, olandesi, lussemburghesi e su dicendo. Italiani, Spagnoli, Greci contano assai poco; e così Polacchi, Ungheresi e paesi balcanici.
La neve fa riflettere, proprio per la sua leggerezza e piacevolezza; sembra al di sopra di ogni sospetto di antieuropeismo. Noi Europei siamo diversi, non c’è niente da fare. Lo stare insieme, processo ormai irreversibile, almeno nei medi e lunghi tempi, mette in risalto le differenze e, purtroppo, seleziona la classe dirigente. L’Europa doveva essere fatta diversamente, nel rispetto delle tante diversità. Questo non significa che, per esemplificare, le cose buone dei paesi nordici dovevano rimanere buone, e le cose cattive dei paesi meridionali dovevano rimanere cattive. L’unione, si sa, attiva fenomeni di omologazione, purché si riconosca che in partenza si è diversi e che per stare bene insieme occorre togliere di qua e aggiungere di là in processi di lunga durata. Invece è accaduto l’assurdo. Si è detto: siamo tutti europei come in genere si dice siamo tutti figli di Dio. Non è stato solo un caso che in Europa ci abbia portato Romano Prodi, l’uomo politico italiano più simile ad un predicatore quaresimale. E invece di partire diversi per somigliarci sempre più; siamo partiti simili per diventare sempre più diversi. E, mentre si continua a dire che siamo tutti d’accordo – e non lo siamo – basta una forte nevicata, che altrove è fenomeno banalissimo, per far emergere resistenti differenze.

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