Lo spettacolo offerto da Matteo
Renzi nei dibattiti sostenuti per il referendum del 4 dicembre ha dato l’idea
di quanto ormai il “trumpetto” fiorentino sia cotto. Non è riuscito una sola
volta a scartare il malloppo della sua riforma, quasi avesse paura di far
vedere cosa nasconde nel cartoccio. Slogan e slogan, ripetuti come mantra: chi
vuole che tutto cambi, voti sì; chi vuole che nulla cambi, voti no. Ha ammesso
di aver sbagliato a personalizzare il voto referendario. Il che, se per un
verso gli fa onore – è sempre bene ammettere gli errori – per un altro dà
ragione a quanti avevano visto in lui un nuovo temerario Fetonte. E, del resto,
a trent’anni, cosa poteva aver appreso dalla vita e dai suoi saperi? Tanti ne
aveva quando è saltato sul carro del Sole. Ha fatto il presidente della
provincia e il sindaco di Firenze – cose non da poco, intendiamoci – ma
assurgere a capo di governo, senza passare dall’esperienza elettiva, è un’altra
cosa. Lo dimostra nel suo essere rimasto un provincialotto che ancora non crede
dove si trova. Spesso “sculetta” con la faccia e si volta indietro per vedere
se qualcuno lo guarda, come una ragazza civettuola e stupida. L’altro errore
marchiano è aver appoggiato la Clinton alle elezioni americane. Non è stato un
errore di valutazione, ma di metodo, tipico di chi non ha esperienza.
La questione dell’età per un
politico non è senza conseguenze. A proposito della riforma, in particolare del
Senato e della sua riduzione risarcitoria per politici di serie inferiore, è
inevitabile che la questione si ampli. Il Senato – lo dicono la storia e la
filologia – è l’assemblea degli anziani o dei saggi, come una volta si diceva, comunque
di persone mature che per età ed esperienze possono dare all’azione
amministrativa di un paese contributi di saggezza, di prudenza e di equilibrio. Il fatto che
per essere eletti, secondo la Costituzione, occorra avere un minimo di
quarant’anni ne spiega la ratio che è
alla base. Il Senato bilancia la Camera dei deputati, un’assemblea formata da
persone più giovani, eleggibili con un minimo di venticinque anni. L’equilibrio
sta tutto qui, oltre al rapporto numerico, 315 senatori contro 630 deputati. E
lasciamo stare camera alta, una volta di nomina regia, e camera bassa elettiva.
In passato l’età era fondamentale per tutto.
Oggi è il trionfo del
giovanilismo. Gli anni non compiscono più i panni, ma aggiungono malanni e
…danni. Questa sembra essere oggi la nuova valutazione della vita. L’età non
solo non conta ma addirittura è un fattore negativo. Si ritiene che l’esperienza,
che una volta non poteva venire che dagli anni, oggi sia come un decoder
incorporato; non viene dalle prove della vita, ma dalla fabbrica, ovvero dalla
nascita. Per cui, o ce l’hai o non ce l’hai. E se ce l’hai, va sempre più
scemando man mano che passano gli anni. Insomma: Vae senioribus! E’
un’autentica rivoluzione: la Camera alta diventa Camera nana e la Camera bassa
diventa Camera unica.
Ma – si dice – a che serve un
Senato che fa le stesse cose della Camera? Un doppione che quando va bene è
inutile e quando va male frena l’azione del governo, anzi ne può provocare la
fine, gettando il paese nella precarietà? Oggi le condizioni sono assai diverse
da quelle del 1946; anche se ci sarebbe da dire assai sulle cause delle
lungaggini italiane. Allora, via il bicameralismo perfetto. Si scopre che
perfino i Padri Costituenti erano dello stesso parere e che a questo sistema si
piegarono per paura che il Pci vincesse le elezioni a danno della Dc e del
paese.
Ora, ci sta pure che il Senato
venga addirittura abolito; a questo punto sarebbe anche meglio. Non ci sta che
venga mortificato e fatto scadere in non si capisce che ruolo. Basti
considerare che poiché i senatori per effetto della riforma vengono nominati
tra i consiglieri regionali, per i quali basta avere diciotto anni per essere
eletti, potremmo ritrovarci con senatori con un’età addirittura inferiore a
quella dei deputati. Sarebbe come se i padri fossero più giovani dei figli;
come se i figli nominassero i padri. Ma, quando si capita in mano a ragazzini –
dice un noto proverbio dialettale – si finisce “o cacati o pisciati”. E i
luminari del diritto costituzionale favorevoli al Sì dove stanno?
La demolizione del Senato si
carica perciò di valenze simboliche importanti, che afferiscono una visione
della vita assai più complessa. Il Senato poteva rimanere, semmai ridotto di
numero, ma con un compito preciso e importante. Si poteva privarlo del voto di
fiducia al governo, ma era importante lasciarlo elettivo. Invece si è pensato
di invalidare la volontà sovrana del popolo privandolo del diritto di eleggere
i senatori che vuole. Essi, in quanto persone di quarant’anni, non devono
contare: questo è il punto. E se si osserva che i quarant’anni di oggi sono i
trenta di ieri, a maggior ragione la dirigenza politica non va affidata, senza
contrappesi, a persone di trent’anni, che corrispondono a chi prima ne aveva venti.
Questa mania di azzerare tutto, di uniformare tutto, sta sconvolgendo la
società: non ci sono più maschi e femmine, non ci sono più giovani e anziani;
tutti sono tutto. E’ un arricchimento o è un impoverimento? Ai posteri –
direbbe Manzoni – l’ardua sentenza. Noi, che difficilmente saremo posteri, lo
diciamo oggi: è un gravissimo impoverimento. Chi vivrà, vedrà. Di avere torto
non si deve aver paura. La società ha bisogno di ritrovare il suo equilibrio di
diseguaglianze, di dissimiglianze, di generi, di età, di competenze e di ruoli,
su una base di diritti universali, condivisi. Il caos può essere il ritorno
all’inizio; ma passa sicuramente dalla fine.
Per tornare a Renzi, che un po’
di simpatia la fa con quell’aria di chi avverte la batosta, si può dire che
abbia già perso, perché comunqe il paese dal referendum uscirà spaccato. Non
dice cosa farà all’indomani del voto; ma è ormai di tutta evidenza che dovrà
recarsi dal Presidente della Repubblica, a prescindere dall’esito, per essere o
mandato a casa o reincaricato per fare un nuovo governo. Ecco, questo sì
dipenderebbe da chi vince. Ma, a quel punto, ridotto ormai ad una patata lessa,
Renzi può esser buono solo per un’altra insalata, alla nazarena.