Alla VI edizione della sua
invenzione politica, a Firenze, Renzi ha detto che senza la Leopolda non
sarebbe diventato capo del governo, che non ci sarebbe stato quel cambio
politico generazionale che è sotto gli occhi di tutti. L’orgoglio delle proprie
imprese in politica è comprensibile. Quanto però un successo politico dipenda
da esse o da un insieme di circostanze diverse è assai più complesso
dimostrarlo; ma diamo a Renzi quel che è di Renzi. Oggi è l’uomo politico
italiano più importante, con una prospettiva assai più importante del suo
trascorso. La Leopolda - ha detto - è il futuro. La Leopolda, insomma, come il socialismo, il fascismo, il comunismo: un sistema di idee e di fatti epocale. Bum!
Renzi, però, esagerazioni a parte, sembra l’uomo giusto nel
momento giusto. Se così non la pensassi non sarei quell’hegeliano che mi son
sempre professato. Nell’era dei social,
del chiacchiericcio mediatico, dei ciarlatani e degli uomini di plastica, Renzi
è un simbolo prima ancora di essere un rappresentante; un prodotto più che un
artefice.
Questo non significa che è
positivo tutto quello che fa; piuttosto che non ha competitori, che è come un
concorrente in pista senza avversari, che arriva primo e ultimo al traguardo.
Fa quello che fa perché nessuno lo contrasta, lo condiziona, lo sminuisce, lo
costringe al compromesso. D’Alema, Bersani, Cuperlo, Fassina, Civati, Vendola
sono neige d’antan, per dirla col
Villon, quello della ballata degli impiccati.
La Leopolda non è un partito e
non è una corrente del partito cui Renzi appartiene. Lo ha detto chiaro e
tondo. Ipse dixit. E, allora, che
cos’è? Pare una bolla d’aria, una “trovata” propagandistica, tra il
pubblicitario e il politico. Un altro segno dei tempi, prima o poi qualcuno le
darà l’importanza che non ha.
Passiamo al concreto. E’ la
politica estera renziana – in verità evanescente fino alla mortificazione – che
spiega ogni altra politica di questo governo, da quella economica a quella
scolastica, da quella della sicurezza a quella delle stesse riforme. Quando
Renzi si incontra coi suoi omologhi europei e mondiali lo vediamo in disinvolta
conversazione con essi e in amichevoli pacche sulle spalle, sorrisi e scambi di
battute. Sembra quasi che tutti lo cerchino; tutti gli sorridono, lo coccolano,
come in genere si fa con l’ultimo arrivato, il figlio piccolo di famiglia. Si
compiace a fare il cacanido. Ovvio,
la televisione seleziona le immagini e mostra quello che conviene, che fa
propaganda.
Quando torna in Italia fa la voce
grossa: noi non bombardiamo e quelli che lo fanno sbagliano, non sanno neppure
che cosa bombardano e perché; l’Europa non ha una strategia. L’Europa non ci
deve dire quello che dobbiamo o non dobbiamo fare.
Beh, concediamogli pure il
contentino. Non ci costa niente. Ma ammettiamo anche che uno come Renzi, il
boy-scout nazionale, oggi come oggi fa al caso nostro: chi vuole la guerra in
Italia? Ma stiamo scherzando? La posizione del governo esprime alla perfezione
il punto di vista più diffuso nel Paese. Ma da qui a dire che l’Italia è in
prima linea, come fanno Renzi e compagni, che dopo gli Stati Uniti è il Paese
che ha più militari in missioni all’estero, ne corre. Il nostro disimpegno
andrebbe spiegato, senza vergognarsi, senza pezze propagandistiche che
fanno male, senza ruffianismi con i paesi da dove vengono i migranti, ai quali
non si prendono le impronte come vogliono le norme europee. L’Italia è come
papa Francesco la vuole: una chiesa da campo, prima accogliamo e curiamo e poi,
se è il caso o se c’è tempo, certifichiamo l’identità.
La nostra politica estera è
sostanzialmente ruffiana e mira ad un trattamento di favore perfino dai
terroristi. Ai quali si dice o si fa capire che noi non siamo come i Francesi,
come i Russi, come gli Inglesi, come gli Americani; noi siamo brava gente:
basta che c’è la salute.
Renzi perciò fa davvero al caso.
Non c’è che dire. La stampa lo asseconda. Perfino quella più ostile ormai tace
e se pure accenna a qualcosa di spiacevole, lo fa col preservativo
anti-Salvini, sparando in premessa contro la destra impresentabile.
Il decreto salva-banche, fatto
per salvare le quattro banche fallite, è la prova più lampante di un Paese,
che, senza o con Renzi, non cambia. Le banche semplicemente non dovrebbero
fallire. C’è una legge del 1926 che le mette tutte sotto il controllo della
Banca d’Italia. Se falliscono è perché qualcuno o più di uno ha delle
responsabilità; e pertanto dovrebbe pagare. I risparmiatori, furbi o
fessacchiotti, non dovrebbero essere truffati. In banca non si va come al Casino a puntare, se esce rosso vinco se
esce nero perdo. In banca si va a mettere al sicuro i propri risparmi
nell’eventualità di un bisogno, di un’esigenza, nella prospettiva di realizzare
qualcosa per i figli. Che governo è quello che lascia alla mercé di ladri e
truffatori i cittadini, provveduti o meno che siano? Il decreto salva-banche
del governo doveva anzitutto tutelare gli interessi dei risparmiatori. Non
devono essere sempre i cittadini ignari a pagare per le manchevolezze delle
istituzioni. Invece, ancora una volta, propaganda: col decreto abbiamo salvato
migliaia di posti di lavoro. Tra i posti di lavoro salvati ci sono quelli di
quegli impiegati che hanno truffato i risparmiatori con le obbligazioni
inadatte facendo perdere loro i risparmi di una vita.
Col decreto salva-banche è stata
salvata, con le altre tre, anche la banca di cui è vicepresidente il padre
della ministra per le riforme, Elena Boschi. Dove starebbe la panacea renziana
se in Italia accadono esattamente le stesse cose che sono sempre accadute? Dove
il nuovo uomo della provvidenza?
La “buona scuola” è l’altra
solenne minchiata, per come noi salentini e siciliani intendiamo il termine;
ossia una volgare presa in giro. Propaganda bella e buona: un provvedimento di
tipo economico fatto passare per provvedimento educativo e formativo. E’ la più
grande infornata di massa di insegnanti mai avuta in Italia. Gli effetti si
vedranno a breve.
La politica economica del
governo, nonostante il fiume di soldi che Renzi ha messo in circolo, non
raggiunge neppure un punto in percentuale. Ha detto il sociologo Giuseppe De
Rita, presidente del Censis, che l’Italia è sospesa, che è una cosa un po’
penosa dover valutare una ripresa economica fiacca basata sugli zero virgola.
Probabilmente questo governo
durerà quanto vuole, paradossalmente anche oltre la normale scadenza, se lo
vuole, perché la politica è morta e quei pochi politici che ancora sono in giro sono
impresentabili, spaventapasseri in una landa deserta. Deserta perfino di
passeri, dato che l’astensionismo degli elettori non sembra fermarsi.
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