domenica 13 dicembre 2015

Renzi e la Leopolda


Alla VI edizione della sua invenzione politica, a Firenze, Renzi ha detto che senza la Leopolda non sarebbe diventato capo del governo, che non ci sarebbe stato quel cambio politico generazionale che è sotto gli occhi di tutti. L’orgoglio delle proprie imprese in politica è comprensibile. Quanto però un successo politico dipenda da esse o da un insieme di circostanze diverse è assai più complesso dimostrarlo; ma diamo a Renzi quel che è di Renzi. Oggi è l’uomo politico italiano più importante, con una prospettiva assai più importante del suo trascorso. La Leopolda - ha detto - è il futuro. La Leopolda, insomma, come il socialismo, il fascismo, il comunismo: un sistema di idee e di fatti epocale. Bum!
Renzi, però, esagerazioni a parte, sembra l’uomo giusto nel momento giusto. Se così non la pensassi non sarei quell’hegeliano che mi son sempre professato. Nell’era dei social, del chiacchiericcio mediatico, dei ciarlatani e degli uomini di plastica, Renzi è un simbolo prima ancora di essere un rappresentante; un prodotto più che un artefice.
Questo non significa che è positivo tutto quello che fa; piuttosto che non ha competitori, che è come un concorrente in pista senza avversari, che arriva primo e ultimo al traguardo. Fa quello che fa perché nessuno lo contrasta, lo condiziona, lo sminuisce, lo costringe al compromesso. D’Alema, Bersani, Cuperlo, Fassina, Civati, Vendola sono neige d’antan, per dirla col Villon, quello della ballata degli impiccati.
La Leopolda non è un partito e non è una corrente del partito cui Renzi appartiene. Lo ha detto chiaro e tondo. Ipse dixit. E, allora, che cos’è? Pare una bolla d’aria, una “trovata” propagandistica, tra il pubblicitario e il politico. Un altro segno dei tempi, prima o poi qualcuno le darà l’importanza che non ha. 
Passiamo al concreto. E’ la politica estera renziana – in verità evanescente fino alla mortificazione – che spiega ogni altra politica di questo governo, da quella economica a quella scolastica, da quella della sicurezza a quella delle stesse riforme. Quando Renzi si incontra coi suoi omologhi europei e mondiali lo vediamo in disinvolta conversazione con essi e in amichevoli pacche sulle spalle, sorrisi e scambi di battute. Sembra quasi che tutti lo cerchino; tutti gli sorridono, lo coccolano, come in genere si fa con l’ultimo arrivato, il figlio piccolo di famiglia. Si compiace a fare il cacanido. Ovvio, la televisione seleziona le immagini e mostra quello che conviene, che fa propaganda.
Quando torna in Italia fa la voce grossa: noi non bombardiamo e quelli che lo fanno sbagliano, non sanno neppure che cosa bombardano e perché; l’Europa non ha una strategia. L’Europa non ci deve dire quello che dobbiamo o non dobbiamo fare.
Beh, concediamogli pure il contentino. Non ci costa niente. Ma ammettiamo anche che uno come Renzi, il boy-scout nazionale, oggi come oggi fa al caso nostro: chi vuole la guerra in Italia? Ma stiamo scherzando? La posizione del governo esprime alla perfezione il punto di vista più diffuso nel Paese. Ma da qui a dire che l’Italia è in prima linea, come fanno Renzi e compagni, che dopo gli Stati Uniti è il Paese che ha più militari in missioni all’estero, ne corre. Il nostro disimpegno andrebbe spiegato, senza vergognarsi, senza pezze propagandistiche che fanno male, senza ruffianismi con i paesi da dove vengono i migranti, ai quali non si prendono le impronte come vogliono le norme europee. L’Italia è come papa Francesco la vuole: una chiesa da campo, prima accogliamo e curiamo e poi, se è il caso o se c’è tempo, certifichiamo l’identità.
La nostra politica estera è sostanzialmente ruffiana e mira ad un trattamento di favore perfino dai terroristi. Ai quali si dice o si fa capire che noi non siamo come i Francesi, come i Russi, come gli Inglesi, come gli Americani; noi siamo brava gente: basta che c’è la salute.
Renzi perciò fa davvero al caso. Non c’è che dire. La stampa lo asseconda. Perfino quella più ostile ormai tace e se pure accenna a qualcosa di spiacevole, lo fa col preservativo anti-Salvini, sparando in premessa contro la destra impresentabile.
Il decreto salva-banche, fatto per salvare le quattro banche fallite, è la prova più lampante di un Paese, che, senza o con Renzi, non cambia. Le banche semplicemente non dovrebbero fallire. C’è una legge del 1926 che le mette tutte sotto il controllo della Banca d’Italia. Se falliscono è perché qualcuno o più di uno ha delle responsabilità; e pertanto dovrebbe pagare. I risparmiatori, furbi o fessacchiotti, non dovrebbero essere truffati. In banca non si va come al Casino a puntare, se esce rosso vinco se esce nero perdo. In banca si va a mettere al sicuro i propri risparmi nell’eventualità di un bisogno, di un’esigenza, nella prospettiva di realizzare qualcosa per i figli. Che governo è quello che lascia alla mercé di ladri e truffatori i cittadini, provveduti o meno che siano? Il decreto salva-banche del governo doveva anzitutto tutelare gli interessi dei risparmiatori. Non devono essere sempre i cittadini ignari a pagare per le manchevolezze delle istituzioni. Invece, ancora una volta, propaganda: col decreto abbiamo salvato migliaia di posti di lavoro. Tra i posti di lavoro salvati ci sono quelli di quegli impiegati che hanno truffato i risparmiatori con le obbligazioni inadatte facendo perdere loro i risparmi di una vita.
Col decreto salva-banche è stata salvata, con le altre tre, anche la banca di cui è vicepresidente il padre della ministra per le riforme, Elena Boschi. Dove starebbe la panacea renziana se in Italia accadono esattamente le stesse cose che sono sempre accadute? Dove il nuovo uomo della provvidenza?
La “buona scuola” è l’altra solenne minchiata, per come noi salentini e siciliani intendiamo il termine; ossia una volgare presa in giro. Propaganda bella e buona: un provvedimento di tipo economico fatto passare per provvedimento educativo e formativo. E’ la più grande infornata di massa di insegnanti mai avuta in Italia. Gli effetti si vedranno a breve.
La politica economica del governo, nonostante il fiume di soldi che Renzi ha messo in circolo, non raggiunge neppure un punto in percentuale. Ha detto il sociologo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, che l’Italia è sospesa, che è una cosa un po’ penosa dover valutare una ripresa economica fiacca basata sugli zero virgola.

Probabilmente questo governo durerà quanto vuole, paradossalmente anche oltre la normale scadenza, se lo vuole, perché la politica è morta e quei pochi politici che ancora sono in giro sono impresentabili, spaventapasseri in una landa deserta. Deserta perfino di passeri, dato che l’astensionismo degli elettori non sembra fermarsi.

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