domenica 20 dicembre 2015

Cristiani e musulmani nel paese "fai da te"


In questo nostro Paese, lasciato allo spontaneismo più diffuso e alle iniziative più strampalate ed estemporanee, accade di tutto; c’è da aspettarsi di tutto.
A Pontoglio, comune in provincia di Brescia, il Sindaco di centrodestra Alessandro Seghezzi, ha aggiunto sotto le due targhe d’ingresso al paese una terza targa, in cui si avvisa che trattasi di «Paese a cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana» e che «Chi non intende rispettare la cultura e le tradizioni locali è invitato ad andarsene». Già la seconda targa traduceva Pontoglio in “Pontoi”, a dire che in quel paese si è bilingui, italiano e dialetto bresciano, da intendersi, questo, di pari dignità comunicativa. E’ come se all’ingresso del mio paese, Taurisano, si aggiungesse una seconda targa per tradurlo nel dialetto “Tarusanu”. E perché, poi? L’italiano ci va stretto? Sarebbe forse assai più opportuno che questi neonazionalisti di Pontoglio e dintorni curassero di più l’italianità del loro essere geografico, politico e culturale, invece di chiudersi nelle gabbie dell’incomprensione.
Ma, dopo le prese di posizione di sconsiderati dirigenti scolastici di impedire a scuola lo svolgimento delle tradizioni natalizie cristiane per non offendere chi cristiano non è, ma, senza ipocrisie, in riferimento esclusivo ai musulmani, c’era da aspettarsi che alle cretinate di una parte si contrapponessero cretinate dall’altra. Anzi, doppie cretinate.
Errore rinunciare alle proprie tradizioni, millenarie, nella presunzione o nella paura di offendere degli stranieri, i quali non hanno mai chiesto finora di non essere offesi, né si sono mai lamentati di esserlo stati da un presepe o da un concerto di canti natalizi. Perché creare un problema quando non ne esistono i presupposti?  Già, perché? Perché si è fessi! Verrebbe di dire.
Ancor più grave – e qui mi riferisco al Sindaco di Pontoglio – quando dai ad intendere di avere tu un problema dalla presenza di migranti, i quali hanno tutto il diritto di essere musulmani o d’altro credo. Non solo il problema non esiste, ma inventarselo per angustiarsi e minacciare è ancora più da fessi.
Ricordo che tra gli anni Cinquanta e i Sessanta del Novecento l’Europa era piena di migranti italiani. Ce n’erano in Svizzera, in Francia, in Germania, in Olanda, in Belgio. E nella maggior parte erano lombardi, emiliani, friulani, veneti. C’erano pure i meridionali, i quali finirono per essere chiamati “cìncali” omologati ai settentrionali che, giocando a morra nei ristoranti, si facevano notare per come pronunciavano il cinque: <cinq>. Per cui tutti gli italiani erano <cìncali>, un diminutivo per indicare piccoli italiani; come noi abbiamo chiamato anni addietro i <vu’ cumprà>, dall’approccio con cui i venditori ambulanti di origine africana si proponevano.
A scuola nei primi anni Sessanta – frequentavo la scuola pubblica a Berna – nella mia classe c’erano un campano della provincia di Avellino, due salentini (io e un ragazzo di Aradeo) e un piemontese della provincia di Alessandria. Nell’ora di religione, che cadeva nella prima di ogni lunedì, noi cattolici entravamo un’ora dopo, perché la religione che si osservava in quella scuola era protestante. Nessuno si sentiva offensore e nessuno si sentiva offeso.
E’ ben vero che noi italiani rispettavamo tutto quello che c’era da rispettare, pubblico e privato; e gli svizzeri nei nostri confronti erano tolleranti nella rigorosa tutela delle loro cose, morali e materiali. La cultura, quando non è solo somma di saperi e di nozioni, aiuta e anzi promuove la convivenza.
Ora gli italiani del Nord si sono arricchiti, stanno bene, molto meglio di quelli del Sud – a parte qualche problema economico passeggero – si sono insuperbiti, hanno la puzza sotto il naso, dicono allo straniero: se non rispetti il mio Dio te ne vai. Fino a ieri o all’altro ieri certe cose le dicevano perfino a noi meridionali: non si affittano camere ai meridionali.
C’è in questa gente, per molti altri aspetti ammirevole, una sorta di tendenza ad una giustizia fai da te, ad un rifiuto di accettare le regole della nazione, che non può ragionare in alcun modo come il sindaco di Pontoglio. Lo Stato interloquisce con altri Stati, deve porre domande e deve dare risposte assai più importanti e responsabili.
Si dirà: oggi esiste un problema, che è sbagliato far finta che non esiste; ed è quello di una società che va sempre più multiculturalizzandosi senza una guida sicura da parte delle istituzioni. Voglio dire che l’immigrazione è un fenomeno molto serio, sia per i risvolti economici sia per quelli politici e culturali. Sarebbe una tragedia se diventasse serio anche per l’ordine pubblico.

Quale indicazione dà lo Stato per gestire il processo senza che questo se ne vada per sue direzioni? Nessuna. Nella più bella tradizione italica si lascia che tutto scorra spontaneamente. Non so se si tratti di una scelta calcolata o di una condizione immodificabile o inevitabile. Sta di fatto che lo Stato, mentre lascia che l’immigrazione faccia il suo corso senza alcun limite e senza alcun freno, non aiuta né le nostre istituzioni né i cittadini ad accogliere i migranti; né riconosce ai migranti diritti e doveri ben definiti. Così da un lato le città si riempiono di moschee abusive e adattate in locali di fortuna, incontrollate e incontrollabili, da un altro si permette a dirigenti scolastici e a sindaci di prendere iniziative, in un senso o nell’altro, ma sempre discutibili quando non vietabili e sanzionabili.     

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