In un’intervista sul “Corriere
del Mezzogiorno” del 18 febbraio Franco Cassano ha detto che ora con l’arrivo
in Libia delle bande armate dell’Isis le due sponde del Mediterraneo si
allontanano. Pensiero meridiano, addio? E’ assai difficile che uno ripudi la
sua creatura intellettiva, nel caso in specie che un pensatore dichiari fallita
la sua idea del mondo, sulla quale ha tanto puntato. Ma che prenda atto di una
realtà improvvisamente mutata è importante.
Cassano fa iniziare tutto il
disastro dalla guerra americana all’Iraq dopo l’abbattimento delle Torri
Gemelle dell’11 settembre 2001. Guerra che seguì quella più diretta
all’Afghanistan, dove aveva il quartier generale Osama Ben Laden. Partire da un
punto preciso è importante per un ragionamento, ma spesso è la premessa di un
ragionamento sbagliato.
In realtà si tratta di vedere se
l’idea meridiana di Cassano era più utopica prima che dopo quella guerra, che
mise fine alla dittatura di Saddam Hussein. Dopo, tra il 2010 e il 2011, ci
furono le cosiddette “primavere arabe”, che hanno destabilizzato gran parte
dell’Africa mediterranea, ad eccezione dell’Egitto, che è riuscito a recuperare
l’inverno arabo – tanto per stare nel linguaggio metaforico delle stagioni – e
della Siria, che non ha ceduto a refoli primaverili, rischiando un intervento
armato della comunità internazionale guidata dai soliti americani.
Quali potevano essere gli
avvicinamenti tra un’Europa illuminista, razionale e democratica e le dittature
islamiche fondamentaliste dell’Iraq e della Libia? E che idea si può avere
dell’avvicinamento quando si parte dal presupposto di dover civilizzare
l’altro? Di volerlo educare alla democrazia? Quando l’altro non ha nessuna
intenzione di essere civilizzato e anzi cerca di rendere pan per focaccia? In
verità non c’era nessuna concreta ipotesi di avvicinamento. L’unico rapporto di
vicinanza era di coltivare affari reciproci rimanendo ognuno sovrano in casa propria.
Saddam Hussein e Gheddafi garantivano col loro sistema di potere un certo
ordine politico, che era garanzia di pace per l’Europa, a parte le teatrali
sparate tipiche di tutti i dittatori, tra il folklore e un bisogno personale di
autocompiacersi. Da questo punto di vista gli accordi italo-libici erano
esemplari di una collaborazione utilitaristica tra i due paesi: io do una cosa
a te e tu dai una cosa a me, magari anche con un contorno di baciamano da parte
di Berlusconi a Gheddafi, che provocò sussulti dei morti nella tomba e rivolgimenti
di stomachi nei vivi. Del resto la simpatia con cui l’Occidente accolse le
“primavere arabe” era espressione di una speranza di diverso avvicinamento tra
le due sponde del Mediterraneo, che in verità non erano lontanissime. Caduti i
regimi-gendarmi di Hussein e di Gheddafi la situazione è progressivamente e
rovinosamente precipitata, fino al punto che oggi l’Occidente percepisce una
minaccia che al momento non si può dire quanto vicina e quanto concreta. Ma è
indubbio che le due sponde si sono allontanate.
Cassano teme che un nuovo
interventismo dell’Occidente possa allontanare ancora di più la sponda africana
e si augura che sia nuovo, nel senso che non sia militare. Ma non considera che
dall’altra parte c’è gente, che, a torto o a ragione, non è disposta a nessun
tipo di incontro. Rispondendogli alcuni giorni dopo, il filosofo Biagio de
Giovanni, sempre sul “Corriere del Mezzogiorno”, si chiede: «E se non ci fosse
alternativa? Possiamo baloccarci con le categorie di “vecchio” e “nuovo”?
Possiamo fare che la nostra giusta ostilità alla guerra diventi la premessa di
un’autodistruzione?» (21 febbraio).
Onestamente non ci riconosciamo
nella cultura dei due insigni dialoganti. Abbiamo una visione del mondo più
realistica, che è tipica della destra, e riteniamo che ognuno si organizzi come
meglio crede al suo interno e rispetti gli accordi con l’esterno, senza palesi
o occulte interferenze. Proprio per questa ragione riteniamo che l’eliminazione
dei due stati, dell’Iraq e della Libia, sia stato non un errore, ma un crimine,
il secondo peggiore del primo. Oggi si spera che non si arrivi all’uso delle
armi, per quanto gli uomini del cosiddetto Califfato abbiano commesso crimini
per i quali meriterebbero una punizione, concedendo loro l’unica cortesia
dell’uso della loro “lingua”.
Non farsi illusioni, però, è
importante. Una sterzata dell’Italia, paese più direttamente minacciato, è
urgente e richiede concretezza. Primo: interrompere il flusso di immigrati,
andando a distruggere sulle coste libiche le imbarcazioni usate da questa
criminale agenzia di trasporti. Secondo: far capire che l’uso delle armi è
un’opzione concreta, che non è affatto confliggente con l’articolo 11 della
nostra Costituzione – l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa –
giacché l’Italia non fa la guerra per offendere gli altri ma per difendere se
stessa. Sarebbe auspicabile che l’intervento avvenisse nell’ambito dell’Onu o
della Nato, come recita sempre l’art. 11, che affida la soluzione delle
controversie internazionali alle organizzazioni rivolte a tale scopo. Le
esperienze di questi anni, però, insegnano che molte risoluzioni dell’Onu
vengono disattese da una o da entrambe le parti. Figurarsi se una delle due
parti è un’organizzazione come l’Isis senza rappresentanza legale alcuna. Le
argomentazioni dette o solo pensate e fatte capire di chi la pensa come
Cassano fanno pensare all’epilogo drammatico di chi sceglie il “suicidio” per
mano del suo nemico solo perché riconosce di avere antichi torti nei suoi
confronti.