Mi è capitato in questi giorni di
parlare con amici di tutt’altro indirizzo politico del mio, che, come sa chi mi
conosce e mi segue, è di destra, di quella destra sociale che per quarant’anni
si è identificata nel Msi, partito neofascista tout-court. Si capisce: uso il lessico convenzionale. Né, a dire la
verità, mi disturba più di tanto essere considerato fascista. Non mi omologo
fra quanti oggi si schermiscono se chiamati comunisti. Posso coniugare i verbi
della politica che mi riguardano al presente e al passato senza nessuna
difficoltà; e non dico anche per il futuro, per un senso di pudore verso me
stesso.
Oggetto delle discussioni è
l’ennesimo schifo della politica, quello di Roma, che ha mostrato urbi et orbi – è proprio il caso di
dirlo – un marcio spaventoso, scoraggiante, da depressione nazionale. Con tutta la buona volontà di questo mondo
questi miei amici, istruiti e direi anche un po’ colti – per carità, non si confondano
le due cose – non riescono proprio a scorgere vie d’uscita. Un certo imbarazzo
li porta a rimuovere le loro appartenenze e fa loro ipotizzare gruppi nuovi,
partiti nuovi, uomini nuovi. Qualcuno cita i grillini, i quali, però, non si
sono dimostrati all’altezza del compito e nemmeno all’altezza di un sub
compito. Ovvio, si sfarfalla intorno alle cose, perché dopo tutto, imbarazzo a
parte, è sotto gli occhi di tutti il fallimento delle loro idee, dei loro
partiti, dei loro movimenti, democratici e antifascisti. Nessuno, infatti,
dice: il mio partito ha fallito; anzi alcuni di loro continuano a bazzicarvi
dentro o nei dintorni.
Né io sarei tanto avventato da
pensare che il mio partito è stato l’unico a non fallire. Come potrei, di
fronte ai casi che si sono susseguiti dal 1994 in poi? Chi ancora
nutre dubbi su Gianfranco Fini, che non è riuscito nemmeno a sottrarsi alla
miserabile appropriazione di una casa donata da una nobildonna per la causa
missina? Chi ancora ha dei dubbi su Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, genero
di Pino Rauti, indegno rappresentante di un partito che aveva tutto per
proporsi, se non proprio come rinnovatore, come moralizzatore esemplare? Chi
nutre ancora dubbi sulla Polverini, ex presidente della Regione Lazio? Si
potrebbe continuare con tutta quella “bella” gente che prometteva palingenesi
se mai fosse approdata al potere.
Dunque, ho votato e fatto votare
gentaglia, ho contribuito anch’io allo schifo imperante oggi ad ogni livello.
No, non mi pento – non ha senso pentirsi: il pentimento è dei pusillanimi – non
mi dò con la pietra in petto; ma affermo di essere stato ingannato o piuttosto
di essermi ingannato da solo.
C’è, però, una piccola luce in
fondo al tunnel nel quale sento di essermi cacciato, insieme a tanti altri
italiani: è la luce di quella riserva che abbiamo sempre avuto noi missini o
fascisti nei confronti di una democrazia, che non era possibile non accettare.
E’ la luce di quel fascismo che altro non era e non è se non ordine, legge,
giustizia. Che è oggi l'unica forma di fascismo possibile.
Ricordo che una delle questioni
più dibattute nel Msi, ai tempi felici degli Almirante e dei Rauti, era come
comportarci noi fascisti in democrazia. E la risposta era chiara: dovevamo
accettare la democrazia, non solo e non tanto perché non potevamo non
accettarla, ma soprattutto perché attraverso il percorso democratico noi
potevamo dimostrare di non essere quelli che gli altri dicevano di noi e di non
essere come gli altri. Sissignori, una doppia sfida, che doveva concludersi non
a randellate in testa ai nostri avversari, stile fascista, ma con un paio di
schiaffi morali a chi ci aveva per anni e anni discriminati ed esclusi, stile
neofascista, nel quale credevamo.
E’ accaduto, invece, che
finalmente siamo stati accolti nel gran mercato dei democratici, noi confusi
con tanti che avevamo avversato, i democristiani, i socialisti, i comunisti; e
lo siamo stati non in ragione delle nostre sbandierate virtù ma per quei
caratteri della loro democrazia: organizzazione di delinquenti, di malfattori,
di ladri, di pendagli da forca.
Per cui oggi credo di non esagerare
se invoco un po’ di quel fascismo che poneva al di sopra di tutto la legge,
dura, con tutti quegli aspetti anche negativi, ma che sono necessari nei
periodi di emergenza, come indubbiamente è l’attuale. L’età mi consente di
ricordare che fino a qualche anno fa c’erano sfrontati giovinotti e inebetiti
anzianotti, i quali quando ricordavi loro i benefici dell’ordine e della legge,
anche per rispettare le più elementari regole del vivere civile, ti
rispondevano stupidamente: e che ti credi, che siamo ai tempi di Mussolini?
Ecco, se avessimo la possibilità
di trasferirci all’estero, in qualche paese dell’Europa centrosettentrionale,
ci accorgeremmo che quella che in Italia è considerata repressione, fascismo,
dittatura, in quei paesi è normale, spontanea, condivisa democrazia. Ci
accorgeremmo che sarebbe più esatto dire: e che ti credi che siamo in Svizzera
o in Austria, in Svezia o in Olanda? Proprio così. In questi paesi ci possono
pure essere delinquenti, ma sono cani sciolti, non appartengono a culture e a
pratiche malavitose, delinquenziali, criminali; a sistemi cupolari di malavita;
non attingono la vita civile, sociale, politica.
E’ fascismo pensare ad un sistema
di governo che metta da parte pietà e misericordia e castighi quanti attentano
ad ogni forma di bene pubblico, fisico o morale che sia? E’ fascismo
ripristinare l’uso corretto e rapido della legge, che faccia giustizia dei
torti che il singolo cittadino o l’intero popolo italiano subiscono? E’ fascismo far funzionare il paese come è
accaduto in Italia fino alla disgraziata guerra perduta, magari chiamandolo con
un altro nome per tenere contenti tutti, fascisti e antifascisti? Non so, me lo
chiedo; e aggiungo: me lo auspico.
Se non riusciamo a trovare la
quadra di questa disfatta nazionale, va finire che sarà l’Europa a costringerci
a trovarla. E già non so come abbia fatto finora a non mandarci via, a calci in
culo.
Nessun commento:
Posta un commento