domenica 21 dicembre 2014

Italiani double face: Benigni di fuori, maligni di dentro


Certo che noi italiani non finiamo mai di stupire, pur ripetendoci con una coerenza degna di materia scientifica. L’esibizione di Roberto Benigni su Rai Uno nelle due serate del 15-16 dicembre sui Dieci Comandamenti ha fatto esplodere di entusiasmo gli esegeti dell’italica impudenza e impenitenza.
A sentirne alcuni, pare che il Decalogo lo abbia scritto Benigni o che lo abbia ricevuto lui non Mosè dalle mani del Signore, tanta è la lode in suo onore. E’ la fatica più recente del comico toscano dopo  la Divina Commedia, l’Inno di Mameli e la Costituzione della Repubblica, che per la vulgata dei “saputi” sarebbe “la più bella del mondo”. Quando ci si mettono, gli intellettuali italiani riescono a identificare tanto autori e interpreti da non saperli più distinguere. Ricordo l’identificazione Mussolini-Veltro dantesco ai tempi del Duce. Benigni diventa, volta per volta, Dante, Mameli e Padre costituente, anzi l’unico e solo autore della Costituzione. E, dopo tanto, Benigni Padreterno! 
A sentirli, gli apologeti della comicità pedagogica di Benigni, un popolo di dieci milioni di telespettatori è rinsavito, è pronto ad una crociata in difesa dei valori laici della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Perché, gira e rigira, sempre di questo si tratta, anche se si parla di Dio o del padre e della madre. Si sono tanto calati a glorificare Benigni che si sono dimenticati perfino di contestargli il fatto che non più di padre e di madre bisogna parlare al giorno d’oggi, ma di genitore uno e di genitore due, come essi sostengono. Sono gli stessi che propugnano libertà ad libitum e che ritengono la chiesa cattolica la più oppressiva e oscurantista del mondo perché non apre ai gay, alle famiglie allargate, all’eutanasia, ai preti-donne e ad ogni ritrovato del “ciò che piace è lecito”. Sarebbe stato interessante che Benigni relazionasse simili diritti rivendicati coi relativi comandamenti. Ma non attacchiamoci ai cavilli! Benigni ha compensato Buzzi, Carminati e via ingalerando. La reputazione dell'Italia è salva.
Di colpo, dunque, dieci milioni di italiani sono diventati franceschi e jacoponi. Alcuni si sono subito liberati del denaro che avevano in tasca, delle loro carte di credito, si sono spogliati, hanno gettato via cardigan e cachemir, rolex e gioielli, e si sono subito sposati con madonna povertà. Altri hanno incominciato ad invocare punizioni bibliche sui loro corpi colpevoli di godurie peccaminose: Oh Signor, per cortesia, manname  la malsanìa! Gli italiani, quando vogliono, non hanno che il problema della scelta: l’umiltà di Francesco o la furia di Jacopone. A chiacchiere, ovviamente.
Altri commentatori si sono limitati a denunciare la ridondanza di un eloquio sensazionalistico, in verità prolisso e ripetitivo, del predicatore toscano, già comico di vaglia. Per ogni comandamento Benigni ha scomodato superlativi assoluti e relativi: è il più importante di tutti, è quello che tutti gli altri riassume, e via superlativizzando, come a dimenticare quanto aveva già detto per il comandamento precedente.   
Le cose bisogna prenderle per quello che sono. Benigni è un grande del palcoscenico, rende tutto molto bello, chiaro e divertente. Lui sì che miscet utile dulci, come raccomandava Orazio. E’ un grande volgarizzatore, esemplificatore e chiarificatore anche di concetti difficili. Ha il grande pregio di aver fatto capire la Divina Commedia anche ad un pubblico semplice e illetterato; lo stesso ha fatto con l’Inno nazionale e la Costituzione. Gli siano perciò riconosciuti onore e merito.
Personalmente, in occasione dei Dieci Comandamenti, l’ho trovato logorroico; penso che una serata sarebbe bastata a spiegarli. Ma è un dettaglio che butto così, non avendo io la competenza di un critico televisivo, come Aldo Grasso o di un competente come Carlo Freccero.
Ma, detto questo e mi scuso per il poco che questo rappresenta nei meriti che sicuramente ha Benigni, aggiungo che altra è la considerazione critica che va fatta sugli italiani, intesi sia come cittadini qualunque, sia come intellettuali.
In Italia non c’è bisogno che qualcuno ricordi i Dieci Comandamenti. Qualche anno fa lo fece Enzo Biagi col Cardinale Ersilio Tonini, sempre alla Rai, “I Dieci Comandamenti all’italiana”, e lo spettacolo, quanto a qualità e a resa educativa, non fu inferiore a quello offerto da Benigni; anzi.
In Italia oggi c’è bisogno di giudici severi che colpiscano i trasgressori dei comandamenti. E, invece, che abbiamo? Un Papa, che pensa a fare il diplomatico mondiale, disinteressandosi completamente delle anime dei suoi credenti: chi sono io per giudicare? Già, chi è lui? Qualcuno glielo dovrebbe dire. Abbiamo un mondo politico ed educativo, ovvero politica e scuola, che definire permissivo è dire niente, dal momento che vuole depenalizzare tutto. Ai tempi del ’68 “era vietato vietare”; ma si era consapevoli che la si sparava grossa. Oggi vietato vietare è minimalismo.
Allora mi chiedo: davvero i dieci milioni di spettatori hanno tratto qualche insegnamento da Benigni? Non sono i soliti italiani che applaudono entusiasti a chi ricorda loro come dovrebbero comportarsi nella vita, per poi continuare a fare i propri comodi, dimentichi o indifferenti ai moniti? Ricordiamo tutti, fin dalla fanciullezza, il lupo che andò a confessare i suoi peccati contro le pecore e non ancora assolto dal prete gli chiese di sbrigarsi perché aveva sentito belare per strada. Non sono forse gli italiani tanti lupi, Benigni di fuori, divertiti e compiaciuti dei moniti, e…maligni di dentro, pronti a ricominciare a spettacolo finito? Non so. Me lo chiedo!

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