Certo che noi italiani non finiamo
mai di stupire, pur ripetendoci con una coerenza degna di materia scientifica.
L’esibizione di Roberto Benigni su Rai Uno nelle due serate del 15-16 dicembre
sui Dieci Comandamenti ha fatto esplodere di entusiasmo gli esegeti
dell’italica impudenza e impenitenza.
A sentirne alcuni, pare che il
Decalogo lo abbia scritto Benigni o che lo abbia ricevuto lui non Mosè dalle
mani del Signore, tanta è la lode in suo onore. E’ la fatica più recente del
comico toscano dopo la Divina Commedia , l’Inno di
Mameli e la Costituzione
della Repubblica, che per la vulgata dei “saputi” sarebbe “la più bella del
mondo”. Quando ci si mettono, gli intellettuali italiani riescono a identificare
tanto autori e interpreti da non saperli più distinguere. Ricordo
l’identificazione Mussolini-Veltro dantesco ai tempi del Duce. Benigni diventa,
volta per volta, Dante, Mameli e Padre costituente, anzi l’unico e solo autore
della Costituzione. E, dopo tanto, Benigni Padreterno!
A sentirli, gli apologeti della
comicità pedagogica di Benigni, un popolo di dieci milioni di telespettatori è
rinsavito, è pronto ad una crociata in difesa dei valori laici della libertà, dell’uguaglianza
e della fraternità. Perché, gira e rigira, sempre di questo si tratta, anche se
si parla di Dio o del padre e della madre. Si sono tanto calati a glorificare
Benigni che si sono dimenticati perfino di contestargli il fatto che non più di
padre e di madre bisogna parlare al giorno d’oggi, ma di genitore uno e di
genitore due, come essi sostengono. Sono gli stessi che propugnano libertà ad libitum e che ritengono la chiesa
cattolica la più oppressiva e oscurantista del mondo perché non apre ai gay,
alle famiglie allargate, all’eutanasia, ai preti-donne e ad ogni ritrovato del
“ciò che piace è lecito”. Sarebbe stato interessante che Benigni relazionasse
simili diritti rivendicati coi relativi comandamenti. Ma non attacchiamoci ai
cavilli! Benigni ha compensato Buzzi, Carminati e via ingalerando. La reputazione dell'Italia è salva.
Di colpo, dunque, dieci milioni
di italiani sono diventati franceschi e jacoponi. Alcuni si sono subito liberati
del denaro che avevano in tasca, delle loro carte di credito, si sono
spogliati, hanno gettato via cardigan e cachemir, rolex e gioielli, e si sono
subito sposati con madonna povertà. Altri hanno incominciato ad invocare punizioni
bibliche sui loro corpi colpevoli di godurie peccaminose: Oh Signor, per cortesia, manname
la malsanìa! Gli italiani, quando vogliono, non hanno che il
problema della scelta: l’umiltà di Francesco o la furia di Jacopone. A
chiacchiere, ovviamente.
Altri commentatori si sono
limitati a denunciare la ridondanza di un eloquio sensazionalistico, in verità
prolisso e ripetitivo, del predicatore toscano, già comico di vaglia. Per ogni
comandamento Benigni ha scomodato superlativi assoluti e relativi: è il più
importante di tutti, è quello che tutti gli altri riassume, e via
superlativizzando, come a dimenticare quanto aveva già detto per il
comandamento precedente.
Le cose bisogna prenderle per
quello che sono. Benigni è un grande del palcoscenico, rende tutto molto bello,
chiaro e divertente. Lui sì che miscet utile
dulci, come raccomandava Orazio. E’ un grande volgarizzatore,
esemplificatore e chiarificatore anche di concetti difficili. Ha il grande
pregio di aver fatto capire la Divina
Commedia anche ad un pubblico semplice e illetterato; lo
stesso ha fatto con l’Inno nazionale e la Costituzione. Gli
siano perciò riconosciuti onore e merito.
Personalmente, in occasione dei
Dieci Comandamenti, l’ho trovato logorroico; penso che una serata sarebbe
bastata a spiegarli. Ma è un dettaglio che butto così, non avendo io la
competenza di un critico televisivo, come Aldo Grasso o di un competente come Carlo
Freccero.
Ma, detto questo e mi scuso per
il poco che questo rappresenta nei meriti che sicuramente ha Benigni, aggiungo
che altra è la considerazione critica che va fatta sugli italiani, intesi sia
come cittadini qualunque, sia come intellettuali.
In Italia non c’è bisogno che
qualcuno ricordi i Dieci Comandamenti. Qualche anno fa lo fece Enzo Biagi col
Cardinale Ersilio Tonini, sempre alla Rai, “I Dieci Comandamenti all’italiana”,
e lo spettacolo, quanto a qualità e a resa educativa, non fu inferiore a quello
offerto da Benigni; anzi.
In Italia oggi c’è bisogno di
giudici severi che colpiscano i trasgressori dei comandamenti. E, invece, che
abbiamo? Un Papa, che pensa a fare il diplomatico mondiale, disinteressandosi
completamente delle anime dei suoi credenti: chi sono io per giudicare? Già,
chi è lui? Qualcuno glielo dovrebbe dire. Abbiamo un mondo politico ed
educativo, ovvero politica e scuola, che definire permissivo è dire niente, dal
momento che vuole depenalizzare tutto. Ai tempi del ’68 “era vietato vietare”;
ma si era consapevoli che la si sparava grossa. Oggi vietato vietare è
minimalismo.
Allora mi chiedo: davvero i dieci milioni di spettatori hanno tratto
qualche insegnamento da Benigni? Non sono i soliti italiani che applaudono
entusiasti a chi ricorda loro come dovrebbero comportarsi nella vita, per poi
continuare a fare i propri comodi, dimentichi o indifferenti ai moniti?
Ricordiamo tutti, fin dalla fanciullezza, il lupo che andò a confessare i suoi
peccati contro le pecore e non ancora assolto dal prete gli chiese di sbrigarsi
perché aveva sentito belare per strada. Non sono forse gli italiani tanti lupi,
Benigni di fuori, divertiti e compiaciuti dei moniti, e…maligni di dentro, pronti
a ricominciare a spettacolo finito? Non so. Me lo chiedo!
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