domenica 14 dicembre 2014

Evviva la politica! Abbasso i politici corrotti!

Lino Patruno, già direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, ha scritto un fondo su questo giornale intitolato «La colpa della politica, le colpe di tutti noi» (12 dicembre, pp. 1 e 23). Tema: l’attuale crisi romana o, come la chiamano i giornali, della “mafia capitale”, con le vicende di Alemanno, Buzzi e Carminati, per un verso, di Marino, Orfini e compagni per un altro; per concludere che i politici hanno delle colpe e che delle colpe abbiamo noi.
Noi, chi? Probabilmente noi della società civile e, per essa, noi operatori dell’informazione. Le argomentazioni addotte le condivido da cima a fondo; ma questo non era neppure importante dirlo.
Quel che qui mi piace sottolineare, invece, è la questione che potrebbe definirsi di lana caprina, espressione che non si usa più per indicare qualcosa di banalotto e di nessuna importanza, ma che di lana caprina non è.
Quale? Quella che in qualche modo è stata attinta dal Presidente Napolitano nella sua allocuzione del 10 dicembre, quando ha condannato la “patologia eversiva dell’antipolitica” e quanti, anche del mondo dell’informazione, le danno spago. Proprio così.
Sono sicuro che Patruno è d’accordo col Presidente Napolitano, come lo sono io e come lo sono tantissimi cittadini e giornalisti. Ma Patruno ha involontariamente contribuito a screditare la politica con una piccola dose di veleno antipolitico col titolo del suo fondo, di cui in apertura. Probabilmente il titolo non è suo; sarà del titolista, come usano i giornali. Ma questo non cambia nulla al merito del discorso che qui si vuole fare.
Perché «Le colpe della politica»? L’obiezione è scontata: qui per “politica” s’intende “dei politici”. Ma non è la stessa cosa! Dire “colpe della politica” s’ingenera un equivoco, che andrebbe scongiurato. La politica, intesa come insieme di individuazione di problemi pubblici e loro soluzione attraverso il concorso elettorale per raggiungere i luoghi di dibattito e di decisione, non può avere che meriti; le sono talmente propri che metterli in discussione significa, come giustamente Napolitano ha detto, cadere nella patologia eversiva dell’antipolitica. Perché il ragionamento è semplice: le colpe sono della politica? Allora occorre l’antipolitica. Ma l’antipolitica è l’opposto dell’individuazione-soluzione dei problemi pubblici. L’antipolitica è solo destruens per definizione, mai construens.
L’equivoco non è tutto qui. Patruno lo ha detto chiaramente: ci sono colpe “di tutti noi”. Noi, infatti, piuttosto che chiamare in causa i singoli politici responsabili con nome e cognome, parliamo genericamente di politica, quasi che i meschini hanno avuto la disgrazia di cadere in una trappola, quella politica, come nelle sabbie mobili, dalle quali non è possibile uscire. Una sorta di fatalità. Nei confronti degli stessi perciò bisogna avere pietas, che di fatto si traduce in omissione, mascheramento, politicamente corretto – usiamo tutte le espressione che vogliamo – per significare quel detto cattolico: ti dico il peccato e non il peccatore. Bisognerebbe invece proporsi il contrario: ti dico il peccatore, che tu, conoscendolo, sai già il peccato. Ma siamo cattolici!  Che cerchiamo indulgenze nell’orto di Lutero? Tanto poi ci scateniamo in orge di condanne quando il tacere i nomi non è più possibile; e neppure allora ci preoccupiamo di non distillare veleno antipolitico. Torna anche qui la morale cattolica: non giudicare per non essere giudicato, il fuscello dell’occhio altrui e la trave nel mio, e via evangelando. Per pietas non facciamo nome e cognome del peccatore nel momento in cui veniamo a conoscenza del peccato compiuto, e sempre per pietas insistiamo prioritariamente sul peccato, la politica, come luogo dove non è possibile non peccare. Sono queste le colpe di tutti noi.
Non è solo questione formale. Si sa che dietro la forma c’è la sostanza. Noi dobbiamo recuperare il senso delle cose e delle persone, senza pietismi, cattolicesimi, umanitarismi, buonismi. Chi si occupa della cosa pubblica deve sapere che se “pecca” deve essere castigato. Non dico punito, dico castigato. E chi, vuoi da semplice cittadino vuoi da operatore dell’informazione, soprattutto da operatore dell’informazione, viene a conoscenza di un peccato e del suo peccatore, deve immediatamente denunciarli. Non deve aspettare che sia la Procura della Repubblica, la Guardia di Finanza o i Carabinieri a far esplodere il caso. Quando ciò si verifica non è più informazione corretta e produttiva, ma inutile pornografia e masturbazione.
Patruno chiama in causa – e fa bene – anche quei politici puliti e onesti, che vedono, sentono e sanno, ma restano in silenzio perché non è conveniente parlare, denunciare. Forse è proprio in questa identificazione silenzio-convenienza che s’incardina la fatalità secondo cui chi sta in politica fatalmente o pecca direttamente o pecca per omissione di vigilanza. Culpa in vigilando si dice in gergo forense. Nella sua brutalità espressiva Grillo ha rimproverato a Napolitano proprio questo: ma tu dove stavi quando tutto ciò accadeva, su Marte? E’ proprio questo che Patruno rimprovera ad Orfini, commissario del Pd romano con l’impossible mission di pulizia.

Se ben ricordiamo, alla vigilia dell’esplosione del caso romano, il Pd stava cercando di far fuori il suo stesso sindaco Marino. Allora non si capiva bene perché. Oggi si capisce fin troppo bene. Si cercava di salvare i politici per far cadere la colpa sulla politica. Già, more solito!           

Nessun commento:

Posta un commento