Lino Patruno, già direttore de “La Gazzetta del Mezzogiorno”,
ha scritto un fondo su questo giornale intitolato «La colpa della politica, le
colpe di tutti noi» (12 dicembre, pp. 1 e 23). Tema: l’attuale crisi romana o,
come la chiamano i giornali, della “mafia capitale”, con le vicende di
Alemanno, Buzzi e Carminati, per un verso, di Marino, Orfini e compagni per un
altro; per concludere che i politici hanno delle colpe e che delle colpe abbiamo
noi.
Noi, chi? Probabilmente noi della
società civile e, per essa, noi operatori dell’informazione. Le argomentazioni
addotte le condivido da cima a fondo; ma questo non era neppure importante
dirlo.
Quel che qui mi piace
sottolineare, invece, è la questione che potrebbe definirsi di lana caprina,
espressione che non si usa più per indicare qualcosa di banalotto e di nessuna
importanza, ma che di lana caprina non è.
Quale? Quella che in qualche modo
è stata attinta dal Presidente Napolitano nella sua allocuzione del 10 dicembre,
quando ha condannato la “patologia eversiva dell’antipolitica” e quanti, anche
del mondo dell’informazione, le danno spago. Proprio così.
Sono sicuro che Patruno è
d’accordo col Presidente Napolitano, come lo sono io e come lo sono tantissimi
cittadini e giornalisti. Ma Patruno ha involontariamente contribuito a
screditare la politica con una piccola dose di veleno antipolitico col titolo
del suo fondo, di cui in apertura. Probabilmente il titolo non è suo; sarà del
titolista, come usano i giornali. Ma questo non cambia nulla al merito del
discorso che qui si vuole fare.
Perché «Le colpe della politica»?
L’obiezione è scontata: qui per “politica” s’intende “dei politici”. Ma non è
la stessa cosa! Dire “colpe della politica” s’ingenera un equivoco, che
andrebbe scongiurato. La politica, intesa come insieme di individuazione di
problemi pubblici e loro soluzione attraverso il concorso elettorale per
raggiungere i luoghi di dibattito e di decisione, non può avere che meriti; le
sono talmente propri che metterli in discussione significa, come giustamente
Napolitano ha detto, cadere nella patologia eversiva dell’antipolitica. Perché
il ragionamento è semplice: le colpe sono della politica? Allora occorre
l’antipolitica. Ma l’antipolitica è l’opposto dell’individuazione-soluzione dei
problemi pubblici. L’antipolitica è solo destruens
per definizione, mai construens.
L’equivoco non è tutto qui.
Patruno lo ha detto chiaramente: ci sono colpe “di tutti noi”. Noi, infatti,
piuttosto che chiamare in causa i singoli politici responsabili con nome e
cognome, parliamo genericamente di politica, quasi che i meschini hanno avuto
la disgrazia di cadere in una trappola, quella politica, come nelle sabbie
mobili, dalle quali non è possibile uscire. Una sorta di fatalità. Nei
confronti degli stessi perciò bisogna avere pietas,
che di fatto si traduce in omissione, mascheramento, politicamente corretto –
usiamo tutte le espressione che vogliamo – per significare quel detto
cattolico: ti dico il peccato e non il peccatore. Bisognerebbe invece proporsi il
contrario: ti dico il peccatore, che tu, conoscendolo, sai già il peccato. Ma
siamo cattolici! Che cerchiamo
indulgenze nell’orto di Lutero? Tanto poi ci scateniamo in orge di condanne quando
il tacere i nomi non è più possibile; e neppure allora ci preoccupiamo di non
distillare veleno antipolitico. Torna anche qui la morale cattolica: non
giudicare per non essere giudicato, il fuscello dell’occhio altrui e la trave
nel mio, e via evangelando. Per pietas
non facciamo nome e cognome del peccatore nel momento in cui veniamo a
conoscenza del peccato compiuto, e sempre per pietas insistiamo prioritariamente sul peccato, la politica, come
luogo dove non è possibile non peccare. Sono queste le colpe di tutti noi.
Non è solo questione formale. Si
sa che dietro la forma c’è la sostanza. Noi dobbiamo recuperare il senso delle
cose e delle persone, senza pietismi, cattolicesimi, umanitarismi, buonismi.
Chi si occupa della cosa pubblica deve sapere che se “pecca” deve essere
castigato. Non dico punito, dico castigato. E chi, vuoi da semplice cittadino
vuoi da operatore dell’informazione, soprattutto da operatore
dell’informazione, viene a conoscenza di un peccato e del suo peccatore, deve
immediatamente denunciarli. Non deve aspettare che sia la Procura della Repubblica, la Guardia di Finanza o i
Carabinieri a far esplodere il caso. Quando ciò si verifica non è più
informazione corretta e produttiva, ma inutile pornografia e masturbazione.
Patruno chiama in causa – e fa
bene – anche quei politici puliti e onesti, che vedono, sentono e sanno, ma
restano in silenzio perché non è conveniente parlare, denunciare. Forse è
proprio in questa identificazione silenzio-convenienza che s’incardina la
fatalità secondo cui chi sta in politica fatalmente o pecca direttamente o
pecca per omissione di vigilanza. Culpa
in vigilando si dice in gergo forense. Nella sua brutalità espressiva
Grillo ha rimproverato a Napolitano proprio questo: ma tu dove stavi quando
tutto ciò accadeva, su Marte? E’ proprio questo che Patruno rimprovera ad
Orfini, commissario del Pd romano con l’impossible
mission di pulizia.
Se ben ricordiamo, alla vigilia
dell’esplosione del caso romano, il Pd stava cercando di far fuori il suo
stesso sindaco Marino. Allora non si capiva bene perché. Oggi si capisce fin
troppo bene. Si cercava di salvare i politici per far cadere la colpa sulla
politica. Già, more solito!
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