mercoledì 9 settembre 2009

Santa Maria delle Battaglie Raffaele Nigro e l'epos dei disperanti

Per certi aspetti il prosimetro di Raffaele Nigro, Santa Maria delle Battaglie (Rizzoli, 2009), s’inscrive nella tradizione del romanzo realistico greco, col viaggio in mare sostituito dal viaggio nel tempo. Lo sfondo è storico. Egli compie un’operazione di rovesciamento narrativo: la materia da narrare diventa soggetto narrante attraverso una statua lignea intagliata agli inizi del ‘500 da un falegname di Perugia raffigurante una madonna, Santa Maria delle Battaglie o delle…disgrazie. L’autore “riserva” a sé la cornice, coi brevi raccordi introduttivi e il finale infelice. La statua è la metafora della condizione popolare, spopolata di angeli e madonne. Nella sua staticità essa esprime già in partenza l’incapacità di determinare alcunché dall’esterno in un mondo che pure crede in lei ma va avanti senza fine alcuno, fatto dopo fatto, seguendo istinti e bisogni. L’uomo è solo. Tutto accade per meccanismi, cui nessuna forza provvidenziale può nulla. Nessuno è felice e contento.
«Noi siamo liberi di fare o non fare – dice Isengrino da Montemagno, un francescano che per amore della stessa suora uccide un confratello in convento – tuttavia ognuno deve sapere che se incontra un uomo armato deve sparare per primo, se cade la neve deve cercarsi una grotta, se vuole qualcosa se la deve pigliare con le unghie. E’ la legge delle volpi e delle faine, non solo dei gigli e degli uccelli. E’ una legge che non concede rimorsi ma neppure rimpianti». E’ il tempo di Machiavelli.
Si parte da un fatto di cronaca attuale, la cornice, appunto. Una ragazza, Federica Cacciante, erede di una famiglia della nobiltà feudale pugliese, in seguito ad un incidente stradale, è in coma. La statua, posta nella sua stanza, di fronte, sul ripiano di uno scaffale, cerca di risvegliarla narrandole la storia di alcuni suoi antenati, che rimanda alla fine del ‘400, discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, e avventura dopo avventura, si dipana per quattro generazioni, attraversando eventi, la guerra tra francesi e spagnoli, la peste, la guerra tra cristiani e musulmani, e personaggi del mondo politico e culturale, Carlo V, il Soldano, Pomponazzi, Nifo, Lutero, Marsilio Ficino, Vittoria Colonna, Savonarola e molti altri, facendo nuotare il lettore nel mare magnum delle credenze popolari. Ma un pezzo di legno non parla neppure se rappresenta la Madonna; e chi è in coma non sente. Simboli tragici di un’umanità abbandonata, disperante.
Il racconto della statua s’intreccia con le ottave di tale Colantonio Occhiostracciato, un cantastorie tanto simile ad Omero da far pensare ad una sorta di parodia. Come nel poeta greco gli dei si occupavano delle faccende umane e nei loro conviti ne chiacchieravano, così nel romanzo di Nigro: angeli e santi intrecciano i loro pensieri con quelli degli uomini; e come nulla potevano gli dei per cambiare le vicende umane, sottoposte al fato, così in Nigro nulla possono santi e madonne, perché tutto è sottoposto alla scienza; o piuttosto, alla storia definalizzata. I miracoli non esistono.
E il Padreterno? Al termine di un convegno si apparta con San Pietro e gli confessa di non sentirsi bene, di essere stanco e non più capace di fare miracoli; decide di ritirarsi in un eremo nei Balcani, dove si pensava ci fosse il paradiso. Differenza: gli dei omerici somigliavano agli uomini nella forza, quelli di Nigro nella debolezza.
Un pessimismo di fondo invita a vivere la vita come viene e come va, senza regole e senza aspettarsi niente da nessuno. Maria Trafitta Cantarella vuole diventare medico e concepisce un figlio con lo zio. Il figlio di costei Braccio Cacciante, che ne vien fuori, stupra dove gli capita e uccide dove occorre, da brigante diventa capitano dei cristiani e addirittura da morto vien fatto beato. Il padre-zio Laviero Plantamura fa il pomponazziano e il libertino: «solo gli occhi malevoli del mondo fanno di un avvenimento uno scandalo». Il padre di Federica pensa che «se Federica dovesse rimanere com’è, forse potrebbe rivelarsi un bene per lei».
Ma se sul piano estetico il romanzo di Nigro affascina e suggestiona, incanta e rapisce, informa e diverte, come una volta i cunti intorno alla lanterna nelle notti d’estate sull’aia, che sembravano non finire mai, come in fondo non finisce mai la vita, sul piano etico fa riflettere.
Dobbiamo prendere atto che è toccato e tocca sempre a noi uomini di vedercela da soli con la vita? Sembrerebbe di sì. “Il vero miracolo al mondo – dice alla fine Omero-Occhiostracciato – era poter affidare alle parole la memoria delle cose che erano state”. Nigro è un taumaturgo.

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