sabato 18 ottobre 2025

C'era una volta il voto

C’era una volta il voto. Valeva quanto una pepita d’oro. Quando si contavano nello spoglio delle schede era un processo infinito ogni volta che per una incertezza grafica il voto veniva contestato. C’erano i rappresentanti di lista con occhi aperti e lingua pronta a rivendicarlo al proprio partito o ad annullarlo a seconda della convenienza. Erano così preziosi i voti? Certo. Era preziosa la politica. Erano preziosi i partiti. Erano preziosi i comizi, a cui partecipavano moltitudini di cittadini. Essi, a quei tempi, erano protagonisti; tali si sentivano. Le percentuali dei votanti erano altissime. Fino al conteggio dell’ultima scheda non si conoscevano gli esiti dei vari candidati. Oggi con le proiezioni si sanno dopo appena cento schede scrutinate. Il resto si potrebbe pure zavorrare. I recenti risultati elettorali delle Regionali di Marche, Calabria e Toscana hanno fatto registrare un ulteriore calo dei votanti. Più della metà degli elettori non è andata a votare. Nelle Marche e in Calabria ha vinto il candidato di centrodestra con largo margine sull’omologo del centrosinistra; in Toscana è accaduto il contrario: ha vinto il candidato del centrosinistra con largo margine sull’avversario di centrodestra. Viene di pensare che oggi una buona percentuale di votanti, sia di destra che di sinistra, non si rechi a votare perché lo ritiene inutile, a volte deluso dal proprio partito, altre volte nauseato dalla politica. Penserà: con me o senza di me non cambia nulla. Perché gli elettori di sinistra dovevano votare nelle Marche e in Calabria dal momento che era scontato che vincesse il candidato di destra? Così in Toscana, perché l’elettore di destra doveva andare a votare stante la certezza del successo del candidato di sinistra? In altri termini, nelle Marche e in Calabria gli elettori di sinistra hanno ritenuto che era inutile votare; altrettanto hanno pensato gli elettori di destra in Toscana. La pigrizia e un malinteso senso del voto hanno caratterizzato le elezioni. C’è evidentemente una questione psicologica dell’elettore che si sbaglia a non voler considerare in tutta la sua importanza. Un po’ è accaduto anche per la polarizzazione della politica. All’interno dei due poli gli elettori si sentono meno motivati e determinanti che se si votasse con la proporzionale per il proprio partito, come accadeva al tempo del proporzionalismo, quando i partiti si impegnavano coi loro elettori per raggiungere il miglior risultato possibile da spendere poi nelle formazioni governative che seguivano. Allora, non a caso, si parlava di patriottismo di partito, di orgoglio di appartenenza; di distintivi all’occhiello. Oggi i vari partiti che compongono il cartello, sia a destra che a sinistra, non si sentono motivati. Così ci sono partiti, la Lega a destra e il M5S a sinistra, che battono la fiacca. A destra la Lega spesso non si riconosce nelle posizioni dei Fratelli d’Italia e di Forza Italia e non si sente motivata a portare voti leghisti ad una coalizione nella quale occupa una posizione piuttosto defilata. Così accade nel Campo del centrosinistra. I cattivi risultati del M5S parlano chiaro, il partito non si riconosce appieno in una coalizione in cui a tenere il vertice è un altro partito, in questo caso il Pd. Perché portare acqua ad un mulino che non è il proprio? Il vero problema della nostra democrazia è la scarsa considerazione che i cittadini hanno del voto, non più pepita d’oro, ma pagliuzza. Ciò è accaduto per la loro crescente marginalità politica. Quando le campagne elettorali si facevano sulle piazze e i politici si rivolgevano direttamente ai cittadini, nel corso dei comizi, gli elettori si sentivano parte importante della politica fin dalla partecipazione al raduno. Oggi è come se tutto si svolgesse in un altrove non credibile, lontano, estraneo, come sono ormai i dibattiti disordinati nelle varie televisioni. I vari talk show di politici e giornalisti hanno tolto la scena ai cittadini, i quali si sentono esclusi dalla competizione politica. Quando si arriva al voto essi si sentono inutili, come se tutto dipendesse da altri fattori e non già dal voto espresso da ciascuno nella cabina elettorale. I sondaggi, peraltro, concorrono a convincere gli elettori che i giochi ormai sono fatti e che è del tutto inutile votare. Occorrerebbe, a questo punto, un sistema di consultazione elettorale che restituisse centralità ai partiti e concreto protagonismo agli elettori. Fino a quando non si trova bisogna accontentarsi di quel che passa il convento, sperando che prima o poi l’elettorato recuperi entusiasmo e motivazioni per votare.

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