domenica 12 ottobre 2025
Israele-Palestina...alla prossima!
Storica è storica, la data del 9 ottobre 2025. Segna la pace tra Israele e Palestina dopo due anni e due giorni di guerra. Donald Trump è riuscito a domare Netanyahu e a farlo desistere da propositi che ormai perfino l’opinione pubblica mondiale riteneva inaccettabili. Le manifestazioni di questi ultimi tempi di protesta pro Palestina e contro Israele hanno risvegliato nel mondo un preoccupante spirito antisemita.
Le cose che si son viste e sentite sulla guerra iniziata il 7 ottobre 2023 con la strage di 1200 israeliani e 251 ostaggi presi da parte palestinese ai danni degli israeliani e sulla reazione di questi con 67mila palestinesi morti e la distruzione di un’intera regione sono degne del proverbiale aggettivo biblico. In quella terra, santa o promessa come la si vuol chiamare, tutto quello che accade è biblico, enorme, ad un certo punto insopportabile. È accaduto anche questa volta che torto e ragione tra le due parti si sono intrecciati al punto che la ragione dell’uno si è trasformata in torto e viceversa. La tragedia di questi due popoli sta proprio nel fatto che hanno ragione e torto insieme. Di qui l’impossibilità di concludere con una pace convintamente accettata dai due contendenti. Tutto sarebbe più semplice se una delle due parti avesse ragione e l’altra torto. E invece si è svolto tutto secondo copione: alla fine a giganteggiare col suo colossale torto è stato Israele, che all’inizio era partito con la ragione a gonfiare le vele della sua giusta vendetta.
Ma è veramente pace quella raggiunta negli accordi di Sharm El Sheikh? Se non fosse enorme pensarlo sembrerebbe una messa in scena per convincere la commissione del Premio Nobel riunita a Oslo per conferire il Premio a Donald Trump per i suoi meriti nel far cessare il fuoco a Gaza e nella restituzione degli ostaggi israeliani, morti e vivi. Quanto meno è legittimo nutrire qualche dubbio. Si fa fatica a pensare che sarà cancellata Hamas e ancor più la possibilità che si dia concretezza allo Stato di Palestina, che a questo punto non si sa più dove collocarlo. Si sa che Israele è contrario alla sua esistenza e che il territorio, la Cisgiordania, storicamente della Palestina, è di fatto occupato dai coloni israeliani, che difendono contro le loro stesse autorità. Al di là delle parole e degli intenti, a cui si può credere o meno, c’è la realtà che rende tutto più complicato.
Ad un certo punto è apparso chiaro l’obiettivo di Netanyahu, cancellare ogni possibilità per i palestinesi di avere uno Stato. L’occasione per farla finita una volta per tutte era proprio questa guerra, nata per un indiscutibile torto subito col bliz palestinese del 7 ottobre 2023. Se non ora, quando? Deve aver pensato Netanyahu. Un obiettivo folle, perché un popolo non sparisce mai e quando i suoi rappresentanti altro non possono per farsi le proprie ragioni ricorrono al terrorismo, alla guerriglia urbana. Di esempi ne abbiamo visti tanti. Proprio i palestinesi si sono resi tristemente noti per i vari attentati compiuti sia in Israele sia in Europa, Italia compresa. Lo Stato di Palestina è perciò la condizione più importante per la sicurezza dello stesso Stato di Israele. Si tratta di trovare i confini precisi di questo Stato, anzi di questi due Stati, di giungere al reciproco riconoscimento, di accettare un modus vivendi che se non è proprio idilliaco quanto meno privo di pretese rivendicazionistiche.
Ma il fatto stesso che si insista sul “due popoli due stati” dopo oltre ottanta anni di guerre dà il senso di quanto sia difficile sbrogliare la matassa. Il negato reciproco riconoscimento rende unico questo conflitto. Prima ancora di spartirsi qualche cosa, in questo caso il territorio, c’è che i due contendenti non si riconoscono, si escludono a vicenda. Prima era la Palestina a non voler riconoscere lo Stato di Israele, ora è anche lo Stato di Israele a non voler riconoscere uno Stato della Palestina, mentre la carta geografica politica interna del Paese è stravolta. La Cisgiordania, territorio palestinese, è oggi occupata da insediamenti di coloni israeliani; mentre l’altra parte di territorio palestinese, la Striscia di Gaza, è stata letteralmente svuotata dei suoi legittimi abitanti. Questo dà l’idea di quanto sia difficile ipotizzare una vera pace tra i due popoli e i due Stati. Se alla fine Netanyahu ha ceduto alla soluzione di Trump lo ha fatto per mettere provvisoria fine ad un processo di massacro, quasi di genocidio, che ha prodotto nel mondo un’ondata di sdegno e di antisemitismo pericoloso. Obiettivi ebrei da colpire sono in tutto il mondo e un popolo di disperati, come quello dei palestinesi, non ha bisogno d’altro per riprendere la sua guerra.
sabato 4 ottobre 2025
La Flotilla ha fatto putsch
Alla fine non c’è più niente da scoprire. I manifestanti Pro Pal, scatenati nel loro “blocchiamo tutto” in accompagnamento dell’avventura della Flotilla, hanno rivelato la loro vera finalità: “Meloni dimissioni”. Il governo deve cadere! Lo gridano nei loro slogan mentre sciamano per le vie cittadine di gran parte delle città italiane. Sarà pure che la Flotilla era globale, con quarantaquattro nazioni rappresentate, ma la nutrita componente italiana aveva scopi ben diversi dagli altri compagni di avventura. In nessun paese europeo si è verificato quanto sta accadendo in Italia. Mobilitazioni spontanee e massicce in ogni città, sciopero generale, scene da guerriglia urbana in tutto il Paese, attacchi dell’opposizione al governo, come mai in precedenza.
All’indomani dell’ennesimo successo del centrodestra, questa volta nelle Marche, i suoi nemici hanno colto l’occasione di Gaza per tentare la spallata e mettere in crisi il governo. Desiderare non è reato, specialmente in politica, dove tutto si può chiedere e pretendere nella convinzione che è sempre troppo poco. Così si diceva nel ’68, anno che sembra avvicinarsi a salti tripli.
Dove non arrivano col voto “lor signori”, i democratici!, cercano di arrivarci con la violenza, col disordine, col caos. Roba vecchia, saputa e risaputa. Che quella di Gaza fosse una scusa, ghiotta, lo si era capito da tempo. I flotillanti sono stati costretti ad ammetterlo dopo gli interventi del Presidente della Repubblica Mattarella e del Cardinale Pizzaballa, primate di Gerusalemme, che suggerivano come far recapitare gli aiuti ai palestinesi di Gaza senza forzare il blocco navale degli israeliani. Senza volerlo, i saggi consigli di questi due santi uomini hanno rotto le uova nel paniere dei flotillanti costringendoli a dichiarare le loro vere finalità politiche.
Ah, perché – hanno detto – davvero quelli pensano che noi vogliamo portare gli aiuti ai palestinesi e poi tornarcene come se avessimo fatto una scampagnata? Il nostro ha un obiettivo politico con tutte le conseguenze che ne possono derivare. In Italia, soprattutto, paese che più di ogni altro al mondo ha adottato la bandiera della Palestina come la propria bandiera politica. I bambini che muoiono, la fame, il genocidio c’entrano, c’entrano; ma intanto servono alla causa italiana. Non è un caso che nella Flotilla c’erano quattro parlamentari dell’opposizione; di ogni componente, del Pd, del M5S e dell’Avs. Una presenza più che simbolica, qualificante, di appropriazione degli esiti quali fossero stati. E se nel mare operavano i nuovi ulissidi, sulla terra ferma operavano i loro omologhi. I parlamentari dell’opposizione continuavano a bersagliare il capo del governo, accusato di essere complice di genocidio, mentre Landini, segretario generale della Cgil minacciava lo sciopero generale. Il resto, i soliti a scatenare il terrore urbano. Tutto concertato.
La tecnica è sempre la stessa: occupazione delle università, assalto alle stazioni, agli aeroporti, invasione delle piazze, sfascio di tutto ciò che capita. Pensano: il governo sarà costretto a mostrare il suo vero volto, quello repressivo. È o non è fascista questo governo? E allora la cosa è fatta! Se poi resta con le mani in mano, tanto peggio per lui, dimostra di non essere in grado di garantire l’ordine e la sicurezza e perderà la faccia nei confronti dei suoi sostenitori e del mondo.
Il governo, invece, coi suoi ministri di competenza, Taiani e Crosetto, Esteri e Difesa, ha svolto un compito irreprensibile, tutelando i flotillanti nostri connazionali, col solo limite di non provocare incidenti diplomatici. Che più? Taiani è rimasto continuamente in contatto col suo omologo israeliano per avere informazioni e rassicurazioni. Crosetto ha inviato una nave della Marina Militare per quanti avessero voluto desistere ove la situazione fosse degenerata.
L’impresa per certi aspetti, all’inizio, mostrava di essere suggestiva. Si trattava di forzare un blocco navale su barche in festa di bandiere e di sventolii. Gaza sembrava una specie di Fiume, la città conquistata nel 1919 dai legionari d’annunziani, tanto che anche tra i giovani di destra serpeggiava qualche simpatia. Si è risolta in un esito scontato. I flotillanti si sono pacificamente arresi ancor prima di entrare in acque territoriali controllate dagli israeliani, appena i militari della stella di David hanno loro intimato di alzare le mani e di lasciarsi arrestare. Il resto è grigio protocollo, burocratico iter, fino al ritorno di ognuno a casa sua sano e salvo, come volevasi che accadesse. O forse no! Resta in Italia tra i “palestinesi” la delusione per non essere accaduto nulla di importante che giustificasse l’assalto alla nazione, come già se ne vedono le imprese.
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