mercoledì 8 luglio 2020

I giorni del Coronavirus 35



Domenica, 17 maggio. La situazione. In Italia: casi totali 224.760 (+ 875), attuali positivi 70.187 (- 1.883), guariti 122.810 (+ 2.605), deceduti 31.763 (+ 153). In Puglia: attuali positivi 2.104 (- 77), guariti 1.807 (+ 83), deceduti 463 (+ 2). Situazione decisamente tranquillizzante. Speriamo bene.

Incidente ieri sera nei pressi dell’Associazione Culturale “Pietre vive” tra il Comandante dei Vigili Urbani e alcuni soci che vi stazionavano vicino. All’invito del Comandante di allontanarsi per evitare assembramenti, tutti se ne sono andati, tranne G.P., il quale è rimasto seduto sulla panchina. Al rinnovato invito di andarsene, quello si è rifiutato, di qui la richiesta dei documenti e siccome non li aveva in tasca sono finiti a casa, dove, a quanto pare, a G.P. è stata fatta la multa. Probabilmente era stata segnalata ai Vigili l’abitudine di alcuni di fermarsi vicino all’Associazione per chiacchierare con altri che non sono soci. 

E’ morto Gigi Baglivo. Aveva 78 anni. Uomo simbolo di un’epoca, quella andata dall’adolescenza alla maturità. Lui era la piazza intesa nella maniera più piena e articolata: frequentazione, associazionismo, amicizia, lavoro, politica, pubblica amministrazione, svago, sport, tifo. Era tifosissimo dell’Inter. Era geometra e lo studio lo aveva avuto in due locali centralissimi in Corso Umberto I, all’altezza di Piazza Castello. Aveva un’impresa edile, che ha gestito fino a non moltissimi anni fa. Non c’era evento che non lo vedesse fra i suoi protagonisti. In gioventù era stato un buon calciatore, rapido ed estroso grazie ad un fisico minuto e scattante. I suoi campionati più importanti li aveva giocati nel Poggiardo nella seconda metà degli anni Sessanta; poi nel Taurisano, dove ha fatto anche l’allenatore. Essersene andato in un momento in cui ai suoi funerali non hanno potuto partecipare che poche persone, contate, per evitare assembramenti pericolosi per il Coronavirus, è stata una “scorrettezza” del destino, un’entrata a gamba tesa. Per lui ci sarebbe stato ben altro accompagno. Ma sono sicuro che tutto il suo mondo gli è stato vicino e lo ha accompagnato anche questa volta.

Lunedì, 18 maggio. La situazione. In Italia: casi totali 225.435 (+ 675), attualmente positivi 68.351 (- 1.836), guariti 125.176 (+ 2.366), deceduti 31.908 (+ 145). In Puglia: attualmente positivi 2.017 (- 87), guariti 1.892 (+ 85), deceduti 470 (+ 7). Situazione che continua a far sperare nella normalizzazione.

Da oggi si riapre. Negozi, bar, ristoranti, pizzerie, parrucchieri, estetisti, palestre. Ma è proprio una riapertura? Chiamiamola così. In effetti parte delle restrizioni continua ad esserci. Si ha l’obbligo di mascherina e soprattutto del distanziamento fisico, che rende alienante l’uscita, fastidiosa la vita di relazione. Posso incontrare gli amici, ma quanti e in che condizioni? Possiamo stare seduti allo stesso tavolo del bar? Sì, ma non in più di due e almeno alla distanza di un metro, che non è impossibile ma che è anche aleatorio dato che il distanziamento non è rigido. Le persone si muovono, si avvicinano, si allontanano a seconda di un “vento” fisiologico non governabile. Ma, comunque, meglio dei due mesi trascorsi in clausura. A me personalmente la riapertura cambia poco. Posso andare finalmente dal parrucchiere. E poi? 

Per me la clausura continua. Che esco a fare? Al bar non posso sostare come ho fatto per tutta la mia precedente vita. Fuori, sul marciapiede, devo stare attento a che non si fermi qualcuno e dare l’impressione di un assembramento, incorrendo in qualche reprimenda di vigili o di carabinieri. Allora resto a casa e non sapendo che fare leggo. Per fortuna ho una ricca biblioteca, provvista anche di romanzi della narrativa italiana e straniera. A pomeriggio ho letto il romanzo di Beppe Fenoglio, Una questione privata, considerato la prima importante opera dello scrittore piemontese. Un bel racconto, una prosa leggera, un vocabolario simbolico e soprattutto una narrazione della Resistenza fuori da intenti elogiativi, di giudizi di parte. E’ straordinario come l’autore riesca da una questione, appunto privata, trarre un bellissimo racconto, che, dato l’argomento, non può non coinvolgere i lettori oltre il dato letterario. 

Martedì, 19 maggio. La situazione. In Italia: casi totali 225.886 (+ 451), attualmente positivi 66.553 (- 1.798), guariti 127.326 (+ 2.150), deceduti 32.007 (+ 99). In Puglia: attualmente positivi 1.995 (- 22), guariti 1920 (+ 28), deceduti 471 (+ 1). Situazione in netto miglioramento.

Dalla finestra della mia stanza da letto, alzando la tapparella, ho visto i primi fiori del melograno. Mi ha fatto una bella impressione, un saluto, che mi ha riportato ai “bei vermigli fior” del Carducci. Speriamo che quest’anno mantenga i frutti, avendo io fatto liberare il terreno circostante da un albero di washingtonia che stava facendo tutt’intorno tabula rasa, perfino delle erbacce.

Questa riapertura non mi convince, forse perché c’è qualcosa in me che è morto definitivamente. E’ morto il mio costume di vita, le mie abitudini, il mio stare fra la gente a parlare, a chiacchierare, una frequentazione funzionale al mio giornale; è morto il mio antidoto contro la mia congenita ipocondria. Senza la gente non può sopravvivere nessuna iniziativa socializzante. E quel che è stato il mio mondo non credo che tornerà mai più. Occorrono forse degli anni, che io evidentemente non ho davanti. Anche in questo avvertire una fine, che per legge di natura è prossima, mi rende triste, inquieto, alienato da quella lama di vita che mi resta. Intorno non vedo motivi, men che di gioia, di consolazione.  

Oggi è toccato alla Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino. Cercavo Il partigiano Johnny di Fenoglio e non avendolo trovato, con mio sommo nervosismo – non trovo mai quello che cerco! –, ho preso Bufalino. Amo la narrativa siciliana. Questo romanzo l’ho trovato in sintonia con questi nostri tristi giorni dell’epidemia. Leggo: “Sai come si dice, nel mio dialetto, dare il contagio? Ammiscari, si dice. Cioè mescolare, mescolarsi con uno. Significa ch’è un travaso di sé nell’altro”.  La Rocca in Sicilia è un sanatorio dove vivono in attesa del peggio i malati di tubercolosi. La loro condizione è di chi sa di dover morire; e chi sa di dover morire, è già morto. Tutto quello che fanno e che pensano gli ospiti di quel sanatorio appartiene alla morte, perfino quei gesti e quei comportamenti che vogliono essere tenaci legami alla vita. Non mancano i personaggi della trasfigurazione siciliana, vere maschere espressionistiche, come il direttore del sanatorio, un medico che accredita la sua nobiltà con un inutile lunghissimo nome: Mariano Grifeo Cardona di Canicarao.

Nessun commento:

Posta un commento