I sostenitori della democrazia
parlamentare, dal suo pontefice massimo ai sacerdoti ai diaconi ai sagrestani
ai chierichetti alle perpetue, dovrebbero spiegare agli italiani com’è
possibile che un partito, in questo caso il Pd, perda le elezioni e poi si
ritrovi al governo nazionale; e perfino ai massimi livelli delle istituzioni
europee: presidenza del parlamento (Sassoli) e commissario per l’economia
(Gentiloni). Un trionfo assoluto, neppure se avesse stravinto le elezioni.
Non si suoni il disco graffiato
che in una democrazia parlamentare le maggioranze si fanno in Parlamento e
finché è possibile farne una non si va a nuove elezioni. Questo l’abbiamo
capito tutti. Non è il meccanismo che non si capisce, del resto abbastanza
chiaro; quel che non si capisce è come si continui a considerare democratico un
processo che porta al rovesciamento della ratio
stessa della democrazia, secondo la quale chi vince governa, chi perde sta
all’opposizione. Qui siamo in presenza di una situazione rovesciata: chi ha
vinto è all’opposizione, chi ha perso governa. Se tanto ci dà tanto si è
autorizzati a pensare che forse qualcosa in questa democrazia o negli uomini
che la rappresentano non va. E forse sarebbe il caso di rivedere alcune cose
dell’una e degli altri. Partiamo prima di tutto dalla comprensione del
fenomeno.
In buona sostanza non è un
partito che oggi è al governo, nonostante abbia perso le elezioni, mi riferisco
al Pd, ma il cosiddetto establishment, cioè quell’insieme di élite che dominano
nei vari settori del Paese, che quel partito ha egemonizzato e inglobato.
Parimenti ha fatto l’establishment nel momento in cui, accorgendosi che il Pd
non è più sufficiente, ha egemonizzato e inglobato il M5S, che pure era nato espressamente
contro di lui e che nel 2013 aveva resistito alle sue lusinghe. Il Moloch ha
avuto ancora una volta ragione dei suoi apprendisti stregoni che volevano
scalzarlo.
L’establishment è il vero “partito
dello Stato”, una sorta di partito “unico”, che per fas et nefas si perpetua al
potere. Così Ernesto Galli della Loggia ce lo spiega in un suo articolo sul
“Corriere della Sera” del 12 settembre, Il
Paese dei trasformismi: “Sotto l’etichetta della «difesa della
Costituzione» i Democratici sono diventati … il vero partito delle élite della penisola, quello che ne raccoglie in
misura maggiore il consenso elettorale (basta vedere come votano i quartieri
bene delle grandi città). I Dem sono il partito dell’europeismo ortodosso e dell’atlantismo
ufficiale, di tutte le magistrature, dell’alta burocrazia, della «Civiltà
cattolica» e delle altre gerarchie della Chiesa, dei «mercati», del vasto
stuolo dei professionisti della consulenza e degli incarichi pubblici ad
personam, dei vertici dei sindacati, delle forze armate e degli apparati di
sicurezza, nonché dell’assoluta
maggioranza di coloro che operano nel settore dell’elaborazione delle idee e
del consenso (letterati di successo,
accademici con ambizioni più ampie, giornalisti, pubblicitari, gente del
cinema, addetti di rango alla comunicazione di ogni tipo). In senso proprio può
dirsi che oggi il Pd è per antonomasia il «partito dello Stato»”. E ancora: “Ovviamente il «partito dello Stato»
e dell’establishment non può che avere un rapporto particolare con il capo
dello stesso”, che è “da molti anni il vero dominus incontrastato (anche perché
di fatto incontrastabile) di tutte le dinamiche politiche oltre che in vari
modi dell’accesso alle maggiori cariche pubbliche”.
Basterebbe questo per rendere
chiaro quanto è successo con la formazione del secondo governo Conte. Ma c’è
un’obiezione importante da fare: questo partito non vince le elezioni, vince il
dopoelezioni. E se le vince vuol dire che usa tutti i suoi potentissimi
strumenti per vanificare la volontà del popolo. Un fatto grave, tanto più grave
quanto più si rifletta sul fatto che il vecchio establishment, quello che
s’incardinava nella Democrazia cristiana, le elezioni le vinceva regolarmente.
Questo non riesce a vincerle in alcun modo, né regolarmente né irregolarmente.
Questo le perde sistematicamente e non se ne preoccupa, tanto al potere va lo
stesso, provvede Moloch a mangiarsi gli avversari, ancorché vincenti. Essi,
infatti, vengono volta per volta delegittimati in nome dell’antifascismo e
messi da parte. Quando nell’establishment parlano della destra, oggi leghista e
salviniana, ieri forzista e berlusconiana, l’altro ieri missina e almirantiana
e domani pincopalloniana, gli spaventatori di professione non parlano mai come
di una normale forza politica che si avvicenda nella conduzione del Paese, ma
come di Annibale alle porte di Roma, dei Turchi alla marina di Otranto, come di
una catastrofe imminente. Questi signori non escludono concettualmente la
destra, ma non sono mai della destra che c’è. Ricordate Montanelli? Diceva: io
sono di destra, ma non di questa riferendosi a quella reale.
Nelle due circostanze in cui la
destra nonostante tutto ha raggiunto il potere, con Berlusconi prima e con
Salvini dopo, in verità i suoi leader si sono prestati all’indignazione di
un’ampia parte del Paese, che, pur riconoscendosi nella loro politica, non ne condivideva
i comportamenti personali. Ma questo, lungi dal costituire la sostanza di una
politica, riguarda la facciata; dietro ci sono i problemi del Paese, che una
classe politica di sinistra cerca di risolvere in un modo e una classe politica
di destra cerca di risolverli in un altro. Nessuno che abbia votato Salvini
vota Zingaretti per le sconcezze del Papeete o per lo sbaciucchiamento della
Madonna. Allo stesso modo non si può delegittimare una parte politica per i
comportamenti del suo leader e surrettiziamente stravolgere la volontà del
popolo che l’ha eletta, sostituendola con la parte minoritaria e sconfitta del
Paese. Non si può applicare la regola dell’uno vale uno ad ogni maggioranza
parlamentare. Ci sono maggioranze e maggioranze. Quella che tiene insieme Pd e
M5S è una maggioranza numerica, un imbroglio parlamentare pur di non fare
elezioni anticipate, che avrebbero aperto le porte ai barbari, come li ha
chiamati Grillo il comico. La verità è che aveva ragione un altro Grillo, il
Marchese, il quale, rivolgendosi ad alcuni del popolo che non si spiegavano il
diverso trattamento della giustizia nei loro confronti, disse: “io so’ io e voi non siete un
cazzo”. Lo stesso tra il partito dello Stato e quello del Popolo!
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