mercoledì 18 settembre 2019

Lo Stato del Grillo...il Marchese




I sostenitori della democrazia parlamentare, dal suo pontefice massimo ai sacerdoti ai diaconi ai sagrestani ai chierichetti alle perpetue, dovrebbero spiegare agli italiani com’è possibile che un partito, in questo caso il Pd, perda le elezioni e poi si ritrovi al governo nazionale; e perfino ai massimi livelli delle istituzioni europee: presidenza del parlamento (Sassoli) e commissario per l’economia (Gentiloni). Un trionfo assoluto, neppure se avesse stravinto le elezioni.
Non si suoni il disco graffiato che in una democrazia parlamentare le maggioranze si fanno in Parlamento e finché è possibile farne una non si va a nuove elezioni. Questo l’abbiamo capito tutti. Non è il meccanismo che non si capisce, del resto abbastanza chiaro; quel che non si capisce è come si continui a considerare democratico un processo che porta al rovesciamento della ratio stessa della democrazia, secondo la quale chi vince governa, chi perde sta all’opposizione. Qui siamo in presenza di una situazione rovesciata: chi ha vinto è all’opposizione, chi ha perso governa. Se tanto ci dà tanto si è autorizzati a pensare che forse qualcosa in questa democrazia o negli uomini che la rappresentano non va. E forse sarebbe il caso di rivedere alcune cose dell’una e degli altri. Partiamo prima di tutto dalla comprensione del fenomeno.
In buona sostanza non è un partito che oggi è al governo, nonostante abbia perso le elezioni, mi riferisco al Pd, ma il cosiddetto establishment, cioè quell’insieme di élite che dominano nei vari settori del Paese, che quel partito ha egemonizzato e inglobato. Parimenti ha fatto l’establishment nel momento in cui, accorgendosi che il Pd non è più sufficiente, ha egemonizzato e inglobato il M5S, che pure era nato espressamente contro di lui e che nel 2013 aveva resistito alle sue lusinghe. Il Moloch ha avuto ancora una volta ragione dei suoi apprendisti stregoni che volevano scalzarlo.
L’establishment è il vero “partito dello Stato”, una sorta di partito “unico”, che per fas et nefas si perpetua al potere. Così Ernesto Galli della Loggia ce lo spiega in un suo articolo sul “Corriere della Sera” del 12 settembre, Il Paese dei trasformismi: “Sotto l’etichetta della «difesa della Costituzione» i Democratici sono diventati … il vero partito delle élite  della penisola, quello che ne raccoglie in misura maggiore il consenso elettorale (basta vedere come votano i quartieri bene delle grandi città). I Dem sono il partito dell’europeismo ortodosso e dell’atlantismo ufficiale, di tutte le magistrature, dell’alta burocrazia, della «Civiltà cattolica» e delle altre gerarchie della Chiesa, dei «mercati», del vasto stuolo dei professionisti della consulenza e degli incarichi pubblici ad personam, dei vertici dei sindacati, delle forze armate e degli apparati di sicurezza, nonché  dell’assoluta maggioranza di coloro che operano nel settore dell’elaborazione delle idee e del consenso (letterati di successo,  accademici con ambizioni più ampie, giornalisti, pubblicitari, gente del cinema, addetti di rango alla comunicazione di ogni tipo). In senso proprio può dirsi che oggi il Pd è per antonomasia il «partito dello Stato»”.  E ancora: “Ovviamente il «partito dello Stato» e dell’establishment non può che avere un rapporto particolare con il capo dello stesso”, che è “da molti anni il vero dominus incontrastato (anche perché di fatto incontrastabile) di tutte le dinamiche politiche oltre che in vari modi dell’accesso alle maggiori cariche pubbliche”.
Basterebbe questo per rendere chiaro quanto è successo con la formazione del secondo governo Conte. Ma c’è un’obiezione importante da fare: questo partito non vince le elezioni, vince il dopoelezioni. E se le vince vuol dire che usa tutti i suoi potentissimi strumenti per vanificare la volontà del popolo. Un fatto grave, tanto più grave quanto più si rifletta sul fatto che il vecchio establishment, quello che s’incardinava nella Democrazia cristiana, le elezioni le vinceva regolarmente. Questo non riesce a vincerle in alcun modo, né regolarmente né irregolarmente. Questo le perde sistematicamente e non se ne preoccupa, tanto al potere va lo stesso, provvede Moloch a mangiarsi gli avversari, ancorché vincenti. Essi, infatti, vengono volta per volta delegittimati in nome dell’antifascismo e messi da parte. Quando nell’establishment parlano della destra, oggi leghista e salviniana, ieri forzista e berlusconiana, l’altro ieri missina e almirantiana e domani pincopalloniana, gli spaventatori di professione non parlano mai come di una normale forza politica che si avvicenda nella conduzione del Paese, ma come di Annibale alle porte di Roma, dei Turchi alla marina di Otranto, come di una catastrofe imminente. Questi signori non escludono concettualmente la destra, ma non sono mai della destra che c’è. Ricordate Montanelli? Diceva: io sono di destra, ma non di questa riferendosi a  quella reale.
Nelle due circostanze in cui la destra nonostante tutto ha raggiunto il potere, con Berlusconi prima e con Salvini dopo, in verità i suoi leader si sono prestati all’indignazione di un’ampia parte del Paese, che, pur riconoscendosi nella loro politica, non ne condivideva i comportamenti personali. Ma questo, lungi dal costituire la sostanza di una politica, riguarda la facciata; dietro ci sono i problemi del Paese, che una classe politica di sinistra cerca di risolvere in un modo e una classe politica di destra cerca di risolverli in un altro. Nessuno che abbia votato Salvini vota Zingaretti per le sconcezze del Papeete o per lo sbaciucchiamento della Madonna. Allo stesso modo non si può delegittimare una parte politica per i comportamenti del suo leader e surrettiziamente stravolgere la volontà del popolo che l’ha eletta, sostituendola con la parte minoritaria e sconfitta del Paese. Non si può applicare la regola dell’uno vale uno ad ogni maggioranza parlamentare. Ci sono maggioranze e maggioranze. Quella che tiene insieme Pd e M5S è una maggioranza numerica, un imbroglio parlamentare pur di non fare elezioni anticipate, che avrebbero aperto le porte ai barbari, come li ha chiamati Grillo il comico. La verità è che aveva ragione un altro Grillo, il Marchese, il quale, rivolgendosi ad alcuni del popolo che non si spiegavano il diverso trattamento della giustizia nei loro confronti, disse: “io so’ io e voi non siete un cazzo”. Lo stesso tra il partito dello Stato e quello del Popolo!

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