Io i cinquestelle li ho
conosciuti in una mia precedente vita, allora si chiamavano missini; gli stessi
che oggi sono sgravati da orpelli nostalgici, duceschi, fascisti. Il papà di Di
Maio era missino, e non solo come semplice elettore; il papà di Di Battista lo
era e lo è ancora, anzi questo si autodefinisce “fascista”. Moltissimi che oggi
votano M5S o sono ex missini o figli di ex missini. Alcuni importanti
intellettuali missini, penso a Marco
Tarchi e a Pietrangelo Buttafuoco, oggi guardano ai
cinquestelle con simpatia. Nei paesi, dove tutti conoscono tutti, è ancor più
facile rendersi conto di questo fenomeno di trasmutazione.
Ora i missini hanno sempre
oscillato tra destra e sinistra, esattamente come il fascismo storico fu,
secondo la famosa distinzione defeliciana, regime e movimento.
Gli eredi del fascismo salodiano
– nominazione mai rifiutata – erano sistematicamente esclusi da alleanze
politiche e perciò erano particolarmente risentiti e aggressivi nei confronti
degli altri; ma quando potevano allearsi perfino coi comunisti, in regime di
partitocrazia, lo facevano senza tanti complimenti. Il caso siciliano, la
famosa giunta regionale milazziana (1958), non è il solo nella storia della
Repubblica.
Per non andare troppo lontano,
anche a Taurisano ci fu un’esperienza del genere tra il 1968 e il 1970, quando,
per far cadere un’amministrazione democristiana, tutti gli altri si misero
insieme, democristiani dissidenti, comunisti, socialisti e missini. A Ruffano,
uno dei più radicali missini della provincia, Ennio Licci, entrò a far parte
come vicesindaco di una giunta che comprendeva anche comunisti (1991). Di casi
simili ce ne saranno stati in Italia chissà quanti.
Non solo a livello di alleanze
amministrative, dove poteva prevalere l’opportunità del momento, ma anche a
quello più genuino di mentalità. A Taurisano ricordo, nella mia breve e
marginale esperienza politica nel Msi, che i consiglieri comunali missini negli
anni sessanta volevano mettere nel programma per le elezioni amministrative
l’istituzione di un panificio comunale per far pagare alla gente meno caro il
pane, che a quel tempo era quasi appannaggio esclusivo di un forno gestito da
un parente del sindaco democristiano. Io ero perplesso. Ma come, osservavo, non
sono i comunisti che vogliono comunizzare, che combattono il libero mercato?
Che c’entriamo noi con simili iniziative? Mi si obiettava che era una misura
che andava verso il popolo e che faceva crescere il consenso.
I cinquestelle si sono imposti
soprattutto come gli incorrotti e gli incorruttibili, quelli che non cambiano
mai, che non tradiscono la causa, che fanno giustizia di qualsiasi ingiustizia,
con atteggiamenti verbali radicali e violenti. Si sono imposti come quelli
della democrazia diretta, dell’uno vale uno. Molte di queste cose erano già
presenti nell’armamentario politico e ideologico dei missini. Del resto, non
erano essi gli eredi, duri e puri, del fascismo di Salò?
Soprattutto sul piano
temperamentale le affinità tra missini e cinquestelle sono sorprendenti. Anche
il transito di molti missini dal dipietrismo di mani pulite va collocato in
quest’ottica.
Molti ricorderanno i comizi di
Almirante, nel corso dei quali il segretario missino, peraltro figlio d’arte,
infilava esilaranti attacchi caricaturali nei confronti degli uomini di regime,
dai democristiani ai comunisti, dai socialisti ai repubblicani e ai liberali. I
comizi di Almirante erano uno spettacolo. Ad ascoltarlo si organizzavano
pullman da tutti i paesi. Il suo linguaggio non era violento e volgare come
quello di Grillo, ma puntava a screditare e a delegittimare gli avversari per
lo stesso fine strategico: convincere la gente dell’inadeguatezza degli
avversari prima dell’attacco politico vero e proprio.
Passare da Almirante a Grillo,
dal Msi al M5S, non è stata un’impresa difficile; anzi, a ben riflettere, è
stato come uno scivolare dall’opposizione al potere, dopo gli sconquassi
inclinati di tangentopoli e il berlusconismo. Una deriva che è stata favorita
dal crollo dei valori tradizionali e da una più diffusa ignoranza dei giovani,
sempre più lontani dai libri e sempre più incollati ai social.
Imparagonabili sul piano
dell’estremismo violento, missini e cinquestelle sono molto vicini sul piano
della contestazione radicale. Non più scontri fisici con gli avversari, ma
intolleranza nei confronti di qualsiasi dissidenza interna. Chi non sta nella
linea viene espulso. Non diversamente accadeva nel Msi, dove il dissenso veniva
interpretato come tradimento. Non ho mai assistito a congressi del Msi, a
livello provinciale, che non finissero a mazzate, perché si faceva presto a
degenerare.
Anche il famoso o famigerato
contratto del governo Cinquestelle-Lega denota una visione tutt’altro che
democratica. Un conto è, infatti, accordarsi sulla soluzione di ogni singolo
problema in maniera compromissoria, rinunciando a qualcosa, un altro è fondare
il contratto sulla realizzazione di cose non condivise, ma concesse all’altra
parte solo perché l’altra parte concede a te di farne altre, nei confronti
delle quali ha lo stesso rapporto di non condivisione. Del tipo: tu mi permetti
di chiudere i porti ai migranti ed io ti concedo di chiudere i cantieri agli
speculatori; e siccome tu non mi consenti di chiudere la Tav, io non ti cosento
di fare le autonomie regionali. Sarebbe stato più politico che avessero trovato
punti di convergenza su ciascuno dei problemi.
Spesso l’errore che si fa nelle
analisi politiche dei nostri giorni è il non voler prendere atto che sono
mutate tante categorie e che molti punti di riferimento certi non esistono più.
Nonostante le differenze, che ci sono e sono evidenti, cinquestelle e lega
fondano sul populismo le loro intese. Un populismo non più tattico, come quello
di Berlusconi, ma strategico, che rimanda ad esperienze politiche per ora tutte
da definire.
Nessun commento:
Posta un commento