domenica 3 marzo 2019

Io i Cinquestelle li ho conosciuti in un'altra vita




Io i cinquestelle li ho conosciuti in una mia precedente vita, allora si chiamavano missini; gli stessi che oggi sono sgravati da orpelli nostalgici, duceschi, fascisti. Il papà di Di Maio era missino, e non solo come semplice elettore; il papà di Di Battista lo era e lo è ancora, anzi questo si autodefinisce “fascista”. Moltissimi che oggi votano M5S o sono ex missini o figli di ex missini. Alcuni importanti intellettuali missini, penso a Marco Tarchi e a Pietrangelo Buttafuoco, oggi guardano ai cinquestelle con simpatia. Nei paesi, dove tutti conoscono tutti, è ancor più facile rendersi conto di questo fenomeno di trasmutazione.
Ora i missini hanno sempre oscillato tra destra e sinistra, esattamente come il fascismo storico fu, secondo la famosa distinzione defeliciana, regime e movimento.
Gli eredi del fascismo salodiano – nominazione mai rifiutata – erano sistematicamente esclusi da alleanze politiche e perciò erano particolarmente risentiti e aggressivi nei confronti degli altri; ma quando potevano allearsi perfino coi comunisti, in regime di partitocrazia, lo facevano senza tanti complimenti. Il caso siciliano, la famosa giunta regionale milazziana (1958), non è il solo nella storia della Repubblica.
Per non andare troppo lontano, anche a Taurisano ci fu un’esperienza del genere tra il 1968 e il 1970, quando, per far cadere un’amministrazione democristiana, tutti gli altri si misero insieme, democristiani dissidenti, comunisti, socialisti e missini. A Ruffano, uno dei più radicali missini della provincia, Ennio Licci, entrò a far parte come vicesindaco di una giunta che comprendeva anche comunisti (1991). Di casi simili ce ne saranno stati in Italia chissà quanti.
Non solo a livello di alleanze amministrative, dove poteva prevalere l’opportunità del momento, ma anche a quello più genuino di mentalità. A Taurisano ricordo, nella mia breve e marginale esperienza politica nel Msi, che i consiglieri comunali missini negli anni sessanta volevano mettere nel programma per le elezioni amministrative l’istituzione di un panificio comunale per far pagare alla gente meno caro il pane, che a quel tempo era quasi appannaggio esclusivo di un forno gestito da un parente del sindaco democristiano. Io ero perplesso. Ma come, osservavo, non sono i comunisti che vogliono comunizzare, che combattono il libero mercato? Che c’entriamo noi con simili iniziative? Mi si obiettava che era una misura che andava verso il popolo e che faceva crescere il consenso.
I cinquestelle si sono imposti soprattutto come gli incorrotti e gli incorruttibili, quelli che non cambiano mai, che non tradiscono la causa, che fanno giustizia di qualsiasi ingiustizia, con atteggiamenti verbali radicali e violenti. Si sono imposti come quelli della democrazia diretta, dell’uno vale uno. Molte di queste cose erano già presenti nell’armamentario politico e ideologico dei missini. Del resto, non erano essi gli eredi, duri e puri, del fascismo di Salò?
Soprattutto sul piano temperamentale le affinità tra missini e cinquestelle sono sorprendenti. Anche il transito di molti missini dal dipietrismo di mani pulite va collocato in quest’ottica.
Molti ricorderanno i comizi di Almirante, nel corso dei quali il segretario missino, peraltro figlio d’arte, infilava esilaranti attacchi caricaturali nei confronti degli uomini di regime, dai democristiani ai comunisti, dai socialisti ai repubblicani e ai liberali. I comizi di Almirante erano uno spettacolo. Ad ascoltarlo si organizzavano pullman da tutti i paesi. Il suo linguaggio non era violento e volgare come quello di Grillo, ma puntava a screditare e a delegittimare gli avversari per lo stesso fine strategico: convincere la gente dell’inadeguatezza degli avversari prima dell’attacco politico vero e proprio.
Passare da Almirante a Grillo, dal Msi al M5S, non è stata un’impresa difficile; anzi, a ben riflettere, è stato come uno scivolare dall’opposizione al potere, dopo gli sconquassi inclinati di tangentopoli e il berlusconismo. Una deriva che è stata favorita dal crollo dei valori tradizionali e da una più diffusa ignoranza dei giovani, sempre più lontani dai libri e sempre più incollati ai social.
Imparagonabili sul piano dell’estremismo violento, missini e cinquestelle sono molto vicini sul piano della contestazione radicale. Non più scontri fisici con gli avversari, ma intolleranza nei confronti di qualsiasi dissidenza interna. Chi non sta nella linea viene espulso. Non diversamente accadeva nel Msi, dove il dissenso veniva interpretato come tradimento. Non ho mai assistito a congressi del Msi, a livello provinciale, che non finissero a mazzate, perché si faceva presto a degenerare.
Anche il famoso o famigerato contratto del governo Cinquestelle-Lega denota una visione tutt’altro che democratica. Un conto è, infatti, accordarsi sulla soluzione di ogni singolo problema in maniera compromissoria, rinunciando a qualcosa, un altro è fondare il contratto sulla realizzazione di cose non condivise, ma concesse all’altra parte solo perché l’altra parte concede a te di farne altre, nei confronti delle quali ha lo stesso rapporto di non condivisione. Del tipo: tu mi permetti di chiudere i porti ai migranti ed io ti concedo di chiudere i cantieri agli speculatori; e siccome tu non mi consenti di chiudere la Tav, io non ti cosento di fare le autonomie regionali. Sarebbe stato più politico che avessero trovato punti di convergenza su ciascuno dei problemi.  
Spesso l’errore che si fa nelle analisi politiche dei nostri giorni è il non voler prendere atto che sono mutate tante categorie e che molti punti di riferimento certi non esistono più. Nonostante le differenze, che ci sono e sono evidenti, cinquestelle e lega fondano sul populismo le loro intese. Un populismo non più tattico, come quello di Berlusconi, ma strategico, che rimanda ad esperienze politiche per ora tutte da definire.      

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