L’inverno inclemente di
quest’inizio d’anno si è portato via Giulia Licci, la poetessa “bambina” di
Ruffano. Si è spenta il 26 gennaio. Aveva 94 anni e da tempo ci
deliziava con le sue periodiche eleganti plaquette di poesia, tutte
rigorosamente fatte uscire a primavera, tra il marzo e il maggio, fino
all’ultima dell’anno scorso intitolata Il
Pitòn. Quasi tutte presso l’editore
GRedizioni di Besana in Brianza.
Sembrava giocare e sognare, lei,
fin dai titoli. Perciò “bambina”. Solo per citarne alcuni: Ciondolino (2004), Boccioletto
(2005), Il micino (2008), Camillo (2012), Piripicchio ladro (2013), Il
pizzicato (2014). Parlava ai grandi col linguaggio dei piccoli, inventando
parole di efficace suggestione fonico-simbolica. Interessante lo studio critico
sulla sua poesia di Nicola G. De Donno, pubblicato come prefazione alla
raccolta Il branco del 1996, versione
forse più veritiera della famigerata casta. Il poeta e critico magliese ne
evidenziò gli aspetti satirici ed etici e ne studiò gli aspetti formali e
stilistici. Distintivo il suo ottonario con rime a caso, che rafforza l’idea
dello scherzo.
La sua poesia non era solo divertissement. Tale poteva sembrare. In
lei c’era impegno civile e a tratti militanza. Irridenti le sue metafore
anticorruzione politica, efficace la sua difesa dell’ambiente, dolci e sognanti
le sue contemplazioni della natura. Nella sua poesia ricorrevano temi culturali
e sociali importanti, svolti in forme ricercate ed erudite, che mettevano
distanza dalla poesia qualunquistica dei nostri tempi. Il femminismo, per
esempio, In libertà (2015) con la
copertina di Samantha Cristoforetti dedicato alla cugina Nadia. L’antirazzismo,
con I Ròm (2000).
Colta e raffinata – era una
professoressa di lettere – ha dedicato raccolte alla cultura di ogni tempo, con
richiamati echi scolastici: Nel paese di
Marino [Giambattista] (2001), In
libreria (omaggio a Manzoni) (2009), Il
cugin di don Rodrigo (2010), Lemme
lemme… (Omaggio a D’Annunzio) 2011), Monte
Ida (2017). Esteta della parola e dell’immagine, cantava le bellezze
naturali e artistiche: Pour la France
(2006), Napoli (2007).
La sua poesia aveva attratto
l’attenzione di critici importanti tanto da figurare ormai nei repertori e
nelle storie letterarie salentine. Nel 1998 l’editore milanese Scheiwiller la
consacrò poetessa tra le più importanti del Novecento pubblicandone la
raccolta, Poesie (1942-1998), nella
sua “all’insegna del pesce d’oro” con la stessa prefazione di De Donno.
Solo in questi ultimi trent’anni
ha avuto significativi, ma non adeguati, riconoscimenti. La sua vita appartata,
praticamente chiusa e isolata, non le ha consentito di avere la visibilità che
meritava, ma che lei – a dire il vero – non gradiva.
Beffardo e dispettoso con lei
questo 2019, che non le ha consentito un’ultima plaquette. Ma, chissà…la
primavera non è ancora cominciata e potrebbe riservarcene una postuma.
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