Diario d’agosto
1. Fuci fuci a lle talare
Piove quasi ogni giorno verso le
due pomeridiane in questo agosto 2018. Tuoni e lampi minacciano acquazzoni. Poi
piogge qua e là, in alcune parti del paese sì e in altre no.
E’ piovuto tanto anche a giugno:
piogge ben più consistenti. Una stagione balorda. I fichi sugli alberi si sono
aperti come fiori carnivori con bocche vermiglie spalancate. Guai a mangiarne!
Ti assale l’acidità allo stomaco.
Il clima mi ha ricordato certe
estati della mia fanciullezza, quando d’estate era un fuci fuci a lle talare. Avevamo i telai pieni di filze di tabacco
appese per essiccarlo in una campagna a duecento metri da dove abitavamo
d’estate.
In quella campagna c’era una
chiesa sconsacrata di proprietà della chiesa. Noi, che l’avevamo in affitto, la
adibivamo a rifugio. Era, invece, un’importante testimonianza paleocristiana. Vallo
a sapere! Oggi completamente demolita, non si sa da chi e perché.
Era intitolata a San Donato (cappedda te Santu Tunatu), in realtà il
titolo spettava a San Antonio Abate, il santo del fuoco. L’equivoco del nome
dipendeva dal fatto che si trovava al confine fra due contrade, Santu Tunatu e Sant’Antoni. Non escludo che quelli che abitavano in territorio di Sant’Antoni la chiamassero diversamente
da noi che abitavamo a Santu Tunatu.
C’era stato in passato tutto un
complesso abitativo contiguo alla chiesetta, già allora diroccato. Prova che
aveva conosciuto tempi migliori.
Era stata costruita con materiali
poveri, raccolti in loco, alla base e agli angoli aveva autentici megaliti
informi. Un contrafforte era stato costruito di recente all’esterno a rafforzare
la parete laterale sud-est perché non cedesse alla spinta.
Sull’ingresso vi era una bifora
murata. Un piccolo campanile a vela in alto poggiava sull’estremità destra. La
campana non c’era più. Il tetto a spiovente era coperto da embrici a capriata.
All’interno la copertura era a cannicciata, poggiava su un asse centrale e su
assi laterali di legno. Pochi fregi.
A destra, entrando, c’era una
colonnina monolite in pietra leccese con su una vaschetta, era la pila
dell’acqua santa o forse un rudimentale battisterio. In fondo nell’abside
semicircolare con volta a cupola l’altare a tre pezzi, tipo dolmen, due pezzi
laterali di sostegno e uno orizzontale da piano. L’abside, rivolta a oriente,
era affrescata con Dio Pantocrator, che dava l’idea di un abbraccio al mondo.
Le pareti laterali lo stesso, ma non ricordo più i santi e le scene, che si
vedevano e non si vedevano per lo stato di degrado dell’intonaco.
A sinistra, poco prima
dell’altare c’era l’ossario, una botola con una chianca per coperchio, che noi
ragazzini spostavamo per curiosarci dentro. In pieno imperversare della Spagnola nel 1918 aveva funto da
lazzaretto.
Quando la lasciammo noi, verso la
metà degli anni cinquanta, la chiesa venne trasformata dai nuovi affittuari in
una casupola nella quale tenevano tutti gli attrezzi di campagna ed anche le
bestie, un mulo e delle pecore. Le pareti furono picchettate per far aderire un
nuovo intonaco e coperte da uno strato di calce. Rimase in piedi fino agli anni
ottanta, poi giù com’altrui piacque.
In quella chiesa mettevamo al
sicuro in fretta e furia e talare te tabbaccu
per preservarle dalla pioggia. Guai se il tabacco, durante il processo di
essicazione, si bagnava! Alla consegna veniva scartato e bruciato. E addiu fatica te nn’annu!
Ma l’acqua d’estate è bugiarda e
isterica. A momenti pensi che ti debba sotterrare con un diluvio, poi tutto si
risolve in breve con quattro gocce svogliate. Ma non mancano forti acquazzoni
che lasciano il segno nelle campagne con muretti a secco che si sbriciolano e
alberi sradicati.
Qualche minuto dopo che avevamo messo
dentro il tabacco ecco che riusciva il sole, prepotente, bruciante. Ed era
ancora un fuci fuci a lle talare, per
riesporle al sole. A volte si andava e veniva due tre volte in questo fuci fuci tra sole e pioggia.
Nessun commento:
Posta un commento