domenica 19 agosto 2018

Diario d'agosto: 1. Fuci fuci a lle talare



Diario d’agosto

1. Fuci fuci a lle talare

Piove quasi ogni giorno verso le due pomeridiane in questo agosto 2018. Tuoni e lampi minacciano acquazzoni. Poi piogge qua e là, in alcune parti del paese sì e in altre no.
E’ piovuto tanto anche a giugno: piogge ben più consistenti. Una stagione balorda. I fichi sugli alberi si sono aperti come fiori carnivori con bocche vermiglie spalancate. Guai a mangiarne! Ti assale l’acidità allo stomaco.
Il clima mi ha ricordato certe estati della mia fanciullezza, quando d’estate era un fuci fuci a lle talare. Avevamo i telai pieni di filze di tabacco appese per essiccarlo in una campagna a duecento metri da dove abitavamo d’estate.
In quella campagna c’era una chiesa sconsacrata di proprietà della chiesa. Noi, che l’avevamo in affitto, la adibivamo a rifugio. Era, invece, un’importante testimonianza paleocristiana. Vallo a sapere! Oggi completamente demolita, non si sa da chi e perché.
Era intitolata a San Donato (cappedda te Santu Tunatu), in realtà il titolo spettava a San Antonio Abate, il santo del fuoco. L’equivoco del nome dipendeva dal fatto che si trovava al confine fra due contrade, Santu Tunatu e Sant’Antoni. Non escludo che quelli che abitavano in territorio di Sant’Antoni la chiamassero diversamente da noi che abitavamo a Santu Tunatu.
C’era stato in passato tutto un complesso abitativo contiguo alla chiesetta, già allora diroccato. Prova che aveva conosciuto tempi migliori.
Era stata costruita con materiali poveri, raccolti in loco, alla base e agli angoli aveva autentici megaliti informi. Un contrafforte era stato costruito di recente all’esterno a rafforzare la parete laterale sud-est perché non cedesse alla spinta.
Sull’ingresso vi era una bifora murata. Un piccolo campanile a vela in alto poggiava sull’estremità destra. La campana non c’era più. Il tetto a spiovente era coperto da embrici a capriata. All’interno la copertura era a cannicciata, poggiava su un asse centrale e su assi laterali di legno. Pochi fregi.
A destra, entrando, c’era una colonnina monolite in pietra leccese con su una vaschetta, era la pila dell’acqua santa o forse un rudimentale battisterio. In fondo nell’abside semicircolare con volta a cupola l’altare a tre pezzi, tipo dolmen, due pezzi laterali di sostegno e uno orizzontale da piano. L’abside, rivolta a oriente, era affrescata con Dio Pantocrator, che dava l’idea di un abbraccio al mondo. Le pareti laterali lo stesso, ma non ricordo più i santi e le scene, che si vedevano e non si vedevano per lo stato di degrado dell’intonaco.
A sinistra, poco prima dell’altare c’era l’ossario, una botola con una chianca per coperchio, che noi ragazzini spostavamo per curiosarci dentro. In pieno imperversare della Spagnola nel 1918 aveva funto da lazzaretto.
Quando la lasciammo noi, verso la metà degli anni cinquanta, la chiesa venne trasformata dai nuovi affittuari in una casupola nella quale tenevano tutti gli attrezzi di campagna ed anche le bestie, un mulo e delle pecore. Le pareti furono picchettate per far aderire un nuovo intonaco e coperte da uno strato di calce. Rimase in piedi fino agli anni ottanta, poi giù com’altrui piacque.
In quella chiesa mettevamo al sicuro in fretta e furia e talare te tabbaccu per preservarle dalla pioggia. Guai se il tabacco, durante il processo di essicazione, si bagnava! Alla consegna veniva scartato e bruciato. E addiu fatica te nn’annu!
Ma l’acqua d’estate è bugiarda e isterica. A momenti pensi che ti debba sotterrare con un diluvio, poi tutto si risolve in breve con quattro gocce svogliate. Ma non mancano forti acquazzoni che lasciano il segno nelle campagne con muretti a secco che si sbriciolano e alberi sradicati.
Qualche minuto dopo che avevamo messo dentro il tabacco ecco che riusciva il sole, prepotente, bruciante. Ed era ancora un fuci fuci a lle talare, per riesporle al sole. A volte si andava e veniva due tre volte in questo fuci fuci tra sole e pioggia.

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