Mauro Giliberti, candidato del
centrodestra leccese sconfitto nelle ultime elezioni comunali, ha rifiutato la
presidenza del consiglio comunale offertagli dal sindaco Carlo Salvemini, capo
dello schieramento avverso, vincente al ballottaggio. Giorni prima – prima che
si pronunciasse la Commissione che ha dato il premio di maggioranza alla lista
di centrosinistra – quella presidenza era rivendicata dal centrodestra come
spettantegli di diritto. Tu non puoi darci – dicevano a Salvemini – ciò che è
già nostro; certi di avere la maggioranza dei voti in consiglio.
Ha fatto bene Giliberti a
rifiutare? Certamente la sua decisione ricade nella posizione strategica del
suo raggruppamento, da tutti per il momento condivisa. Accettare la presidenza
significava accettare anche le decisioni della Commissione mentre alcuni della
sua parte politica si accingevano a fare ricorso. Essere presidente di
assemblea, oltre che legittimare la situazione, significava anche favorire la giunta. Il capo
dell’opposizione non può esautorarsi politicamente in simile modo. Dunque
Giliberti ha fatto bene a rifiutare.
Quel che incomincia ad andar male
– ma “incomincia” per modo di dire, in realtà continua – è che il centrodestra
non ha capito che il sistema elettorale vigente prevede due partite per
l’elezione del sindaco, del consiglio comunale e della giunta. Due turni, che,
per usare la metafora calcistica, sono due partite distinte, una in casa e
l’altra in trasferta. Nella prima, quella in casa, il centrodestra ha vinto,
subendo però un gol, quello del voto disgiunto, che vale doppio; nella seconda
ha perso senza segnare in trasferta. A classificarsi per la finale, perciò, è
stata la squadra di Salvemini.
Si può discutere all’infinito su
questo come su altri sistemi elettorali. Soprattutto è sul voto disgiunto che
si colgono gli aspetti più bizzarri e contraddittori. Come si può
simultaneamente votare a favore e contro? Altro che trasformismo, qui occorre
scomodare la
psicanalisi. Quegli elettori di destra o di centrodestra che
hanno votato per i propri candidati ma poi hanno votato per il candidato
sindaco dello schieramento avversario, di fatto hanno vanificato il voto di
lista; perciò oggi non possono lamentarsi più di tanto: chi è causa del proprio mal
pianga se stesso.
La Commissione che ha assegnato
il premio di maggioranza a Carlo Salvemini non poteva fare altrimenti; se no avrebbe creato una situazione amministrativa ingestibile. Ha privilegiato
la governabilità.
Non si può darle torto, anche se agli aficionados del centrodestra brucia veder svanire una vittoria che
sembrava ormai a portata di mano.
A Lecce frequento molta gente e
ho imparato a leggere i segnali di come vanno le cose e di come potrebbero andare.
Erano in moltissimi alla vigilia del ballottaggio ad essere certi che avrebbe
vinto Salvemini. Non era difficile pronosticarlo perché fra i due, Giliberti e
Salvemini, chi offriva più garanzie di competenze politiche e amministrative
era Salvemini.
Ma i segnali più forti e aggiungo
che facevano più male al cittadino leccese e salentino di centrodestra erano
quelli dati da persone che per tante ragioni erano state sempre di destra o di
famiglia tradizionalmente di destra. I motivi di Bruto non sono quelli di
Cassio. Ce lo ha insegnato Shakespeare. I loro endorsement in favore di Salvemini, dal carattere fegatoso e
ripiccoso, non dico che sono stati determinanti ma hanno bocciato Giliberti più
di quanto non abbia fatto il suo minor appeal
politico-amministrativo rispetto a quello di Salvemini.
Quale è ora la strategia del
centrodestra? Aspettano il responso del ricorso al Tribunale Amministrativo.
Secondo me, tempo perso, perché si è di fronte ad una sentenza scontata, che va
ben oltre i cavilli giuridici. Qui c’è una città come Lecce che non può essere
abbandonata al caos di un sindaco che non ha la maggioranza per amministrare.
Perciò andrà a finire che la situazione si consoliderà come ha già deciso la Commissione. Oltre
tutto la magistratura in Italia quando si trova di fronte a questioni politiche
tende sempre a favorire la sinistra.
Il centrodestra dovrà fin da ora,
ma forse ha già incominciato, ad analizzare la sconfitta maturata nei due
turni. Nel primo col voto disgiunto dato a Salvemini, nel secondo con la
certezza di avere ormai la maggioranza in consiglio. Ma, a parte i due dati
elettorali, il problema di fondo è che il centrodestra è arrivato alle elezioni
leccesi impreparato o, più verosimilmente, troppo certo di vincere, a
prescindere da tutto. Giliberti, a cui personalmente voglio bene perché è una
bella persona, colta e garbata, professionalmente preparata, della quale i
leccesi dovrebbero andar fieri, non poteva essere il candidato da contrapporre
a Salvemini, per lo meno non nelle elezioni del giugno scorso. Come è nata la
sua candidatura, chi di fatto l’ha voluta e perché sono tutte questioni che
vanno esaminate e dibattute nelle sedi opportune.
Al momento il centrodestra deve
studiare una strategia politico-amministrativa di opposizione, nella
prospettiva di un recupero alla prossima scadenza elettorale. Farebbe bene,
allora, non abbandonare la scelta di “collaborare” con la Giunta, nel rispetto
dei ruoli, senza porsi ogni volta e per ogni iniziativa contro. Mauro Giliberti
lo ha più volte detto e scritto in campagna elettorale e immediatamente dopo.
Ma chi batte le carte oggi nel centrodestra non è più lui. Oggi sono altri;
sono quei leader diffusi, di cui si caratterizza oggi ogni schieramento
politico, a destra come a sinistra, che continuano a rifilarsi colpi proibiti
anche dopo.
Se il lavoro di opposizione non
sarà credibile e soprattutto se non si farà chiarezza e forza all’interno dello
schieramento il centrodestra rischia di perdere ancora e per diversi anni.
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