Il primo a porre la questione è
lui, Papa Francesco. “Dicono che io sia comunista – ammicca sornione – e
aggiunge: io sono solo col Vangelo”. Anche nel corso della sua visita negli
Stati Uniti ha riproposto il quesito e questa volta è andato più in là con la
risposta. “Io penso – ha detto sillabando – che mai ho espresso pensiero che
non sia stato quello della dottrina sociale della Chiesa”.
Probabilmente ha ragione. La
riserva è perché più di una volta, in maniera informale, celiando, come fa lui,
ha detto delle cose assai discutibili anche sul piano dottrinale. Ricordiamo
ancora il pugno che darebbe a chi gli offendesse la mamma, come disse dopo la
strage parigina di Charlie Hebdo, che quasi la giustificava.
E’ proprio questo suo far passare
la dottrina sociale della Chiesa, il Vangelo, una mascherata professione di
comunismo, non nominale ma sostanziale, che taglia il nodo. Non so se ha mai
votato un partito di sinistra o se lo voterebbe. Di certo non ha votato partiti
di destra e mai li voterebbe. Il suo stare coi poveri e per i poveri lo
inchioda a quello che è e che altro non potrebbe essere. Ma il suo
francescanesimo è a metà. Francesco, quello di Assisi, era l’altra sponda del
cristianesimo, l’altra rispetto a quella romana. E Papa Bergoglio, l’alter Franciscus, è a Roma.
Ora non c’è chi non sia disposto
ad aiutare un povero, ma non credo che ci sia una sola persona a questo mondo
che si auguri la povertà sulla terra come obiettivo della sua esistenza. Se
così dovesse essere sarebbe un percorso all’indietro della storia. L’uomo che
non cerca di migliorarsi e migliorare, che non cerca il progresso e il
benessere, ma il regresso e la sua comunione con le cose della terra al loro
stato primigenio, è un assurdo storico. Immaginiamo un Benedetto Croce che
parafrasasse la sua ben nota formula della storia come processo di libertà e
dicesse la storia è processo di povertà.
Ma – si dice – ovunque vada si
muovono maree di gente, di fedeli, non solo di cristiani. Noi lo sappiamo e lo
sa pure lui che le folle oceaniche, migliaio in più migliaio in meno, hanno
omaggiato anche i suoi predecessori. Per lui, in particolare, si stanno
rivelando delle cortine fumogene per non far apparire un dissenso nei suoi
confronti che non è soltanto del clero, anche se paradossalmente è l’unico che
lo manifesta, sia pure con tutte le modalità del caso.
Il suo papato, che fa tanta gioia
delle sinistre, lascerà una Chiesa diversa da quella da lui ereditata, nel bene
e nel male. Perché Papa Francesco non fa il papa, fa il politico e lo fa
sapendo di favorire in Italia e nel mondo una visione della politica, che è
tipica delle sinistre. Non è comunista? Di sicuro è per una politica di
sinistra. La sua è una missione politica mascherata di spiritualità trasandata,
informale, alla buona.
Ha liquidato il suo esercizio
pastorale, di pontefice, di guida spirituale della gente, con due battute. Chi
sono io per giudicare? Il Signore perdona tutti, non si stanca mai di
perdonare. Ha sostituito, sia pure non esplicitamente, l’orate fratres con un peccate
fratres, che manda in visibilio peccatori sistematici, oltre agli
occasionali. Ha rottamato il decalogo, che se non è seguito da opportune pene
per chi ne viola i comandamenti è pura carta da parati.
Più terra terra in Italia Papa
Francesco si colloca politicamente al fianco delle sinistre variamente
rappresentate al governo e nelle sue immediate vicinanze. Lo fa come una
terapia medica intensiva: almeno dieci volte al giorno, se non di più, esce in
televisione e dà una mano a Renzi e compagni, dicendo le stesse cose che dice
il governo in materia di unioni civili, di divorziati, di omosessuali, di
immigrati. Si capisce perché un Dario Fo va in brodo di giuggiole e con lui le
schiere di sinistri di tutto il Paese. Si capisce perché un Mons. Galantino alza
la voce e minaccia, insulta i politici che non la pensano come il Papa in certe
materie.
La presenza e la predicazione di
Papa Francesco pongono nel sistema politico italiano un problema serio, di
alterazione degli equilibri nella competizione politica. Chi della predicazione
del Papa si avvantaggia, gode di un potentissimo mezzo che gli altri non hanno.
Si può obiettare dicendo che già altri papi nel passato si sono resi utili,
predicando sempre il Vangelo, ma ciascuno a modo suo, a certi partiti invece
che ad altri; ma nessun papa si è spinto a tanto come questo, nessuno ha avuto
la visibilità di questo, che non manca mai, dalla mattina alla sera, a nessun
notiziario televisivo. Se l’osservatorio di Pavia ci quantificasse il tempo
delle sue apparizioni avremmo un quadro esatto della sua forza dirompente a
vantaggio della parte politica da lui privilegiata.
Né si capisce la ragione per la
quale i mezzi di informazione di massa privilegino un papa politico,
pacchianamente a favore di una certa politica. Se all’astensione elettorale,
all’antipolitica, alla crisi dei partiti, allo sbando postideologico,
aggiungiamo la massiva propaganda papale, l’Italia presto diventerà uno Stato
teocratico imperfetto, in cui, pur con le consuete diversificazioni politiche,
tutte le parti si riconoscono in un capo, che, apparentemente di politico non
ha nulla, essendo un capo religioso, ma di fatto è il dominus indiscusso e incontrastato.
Sarebbe ora che chi non si riconosce negli obiettivi politici di questo
papa si ribellasse e incominciasse a trattarlo da politico, costringendolo a rientrare
nel suo ambito religioso. Non dice “unicuique suum” l’Osservatore Romano in un
suo sottotitolo? Bene, si cominci di lì.