domenica 29 dicembre 2024
2025, governo Meloni al giro di boa
Soddisfatti o rimborsati? In politica non vale. Se l’operato di un governo fosse riconducibile ad un bene di consumo, che si potrebbe dire del governo Meloni dopo due anni? Senza vanto e senza scorno. Gli avversari dicono che galleggi. Galleggiare non è negativo, perché comunque chi galleggia non affonda; ma non è nemmeno positivo, perché è fermo sull’acqua e non va né avanti né indietro, come una barca che un disattento barcaiolo ha lasciato senza benzina e non ha remi per tornare a riva. Lo dicono i partiti dell’opposizione e i loro pensatori (giornalisti, intellettuali, cantanti, comici, vignettisti) che in qualche modo in essi si riconoscono e in essi sperano di tornare al governo dei “competenti”, che sono, come ognun sa, quelli di sinistra.
Se, tuttavia, confrontiamo quel che gli oppositori dicono oggi e quello che dicevano all’esordio di questo governo, due anni e tre mesi fa, c’è da registrare un innegabile passo avanti. Al governo Meloni non davano più di cinque mesi di vita. Dove poteva andare un governo composto da uomini che avevano sempre fatto opposizione e che venivano da un partito che mai aveva avuto incarichi nei governi e nelle istituzioni? Sarebbe sicuramente naufragato. Era ciò che pensavano con preoccupazione anche tanti sostenitori ed elettori di Fratelli d’Italia, il partito dei postmissini. Le opposizioni graffiavano proprio sull’inesperienza, sull’incapacità, sull’inadeguatezza del personale, nonostante la presenza nel governo dei tecnici e dei provenienti dai partiti di esperienza governativa come Lega e Forza Italia.
Il governo Meloni, invece, ha sorpreso anche i suoi sostenitori; ma soprattutto ha sfatato quella che sembrava una verità indiscutibile, che a governare il Paese non potevano essere che i discendenti dalla Dc e dal Pci, ovvero il Pd più qualche cespuglio di circostanza. Ed è proprio sull’inadeguatezza che essi insistono ancora per attaccare il governo Meloni. Non che manchino persone e situazioni per “picchiare”, ma non possono essere solo queste i termini di paragone, anche perché è innegabile che la classe dirigente di Fratelli d’Italia è formata in gran parte da homines novi. Gli stessi che nel passato non hanno avuto opportunità di formarsi e di verificarsi.
Oggi è facile dire che il Msi ha potuto vivere e svolgere il suo compito politico in tutta libertà per circa ottant’anni. La verità è che questo partito era ignorato dal dibattito politico e preso in formale considerazione il minimo possibile per non negare platealmente i principi costituzionali. I suoi uomini perciò parlavano e votavano in tutte le assemblee in cui erano eletti, partecipavano alle tribune politiche come tutti gli altri, avevano diritto di rappresentanza in ogni istituzione politica e amministrativa. Per il resto era come se essi non esistessero. Accadeva a qualsiasi livello, anche a quello di paese o di quartiere. Quando c’erano le feste dell’Avanti, dell’Unità o dell’Amicizia tutti erano invitati a partecipare tranne quelli del Msi, che era una cosa in sé odiosa. L’arco costituzionale li escludeva. E tutti si adeguavano. Fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso era così. Mi è capitato di recente di leggere una antologia della rivista satirica “Il male”, uscita per quattro anni, dal 1978 al 1982. Chi cerca in essa un solo riferimento al Msi o a qualche suo uomo, rimane deluso. Niente, questo partito semplicemente non esisteva. Essere preso in considerazione dalla satira, sia pure per essere irriso, era come avere un riconoscimento. Ottant’anni di inesistenza, di morti tenuti in vita solo perché gli stessi si accorgessero di essere morti, hanno prodotto una sfiducia totale nella gente del Msi fino a farla dubitare perfino delle sue capacità di poter fare quello che tutti gli altri facevano quasi per condizione “naturale”.
È accaduto, invece, che questo governo non abbia fatto mirabilia, non abbia fatto tutto quello che aveva promesso di fare, dall’immigrazione alle tasse, dalla sanità a qualche significativo aiuto sociale; tira però a campare, galleggia, non affonda, si agita, favorito anche da due congiunture, una nazionale: l’inadeguatezza delle opposizioni incapaci di elaborare un’alternativa credibile, e una internazionale: la crisi delle due grandi nazioni tradizionalmente protagoniste della politica europea, Germania e Francia, che ha fatto assurgere l’Italia a partner privilegiato degli Stati Uniti d’America. All’ingresso del 2025, è iniziato l’anno di mezzo, Giorgia Meloni ha solo la preoccupazione di fare quel che fino ad oggi non ha fatto, se non vuole arrivare alle nuove elezioni del ’27 senza scuse e con un bottino scarso di risultati.
sabato 21 dicembre 2024
Ucraina, la guerra non è stata inutile
Chi ancora sostiene, come fa il giornalista Marco Travaglio, che la guerra Russia-Ucraina è stata inutile, un’orrenda strage di uomini, donne e bambini, tanto scontato era l’esito, mi ricorda un tale del mio paese che la sera, di ritorno dalla bottega di fabbro, non si lavava perché era inutile farlo tanto il giorno dopo si sarebbe nuovamente sporcato. Un paese ne aggredisce un altro, scopo conquista, e l’altro deve starsene zitto e quieto tanto l’aggredito non può competere con l’aggressore e finirà comunque col doversi assoggettare. E zitta e ferma doveva starsene la comunità internazionale per le stesse ragioni. Secondo questo allegro modo di sragionare, la pace precedente e quella susseguente rendevano inutile la guerra.
Cose del genere nella storia ne sono accadute rarissimamente. Quando c’è stata un’aggressione, c’è sempre stata una reazione da parte dell’aggredito, la quale, il più delle volte, ha avuto la sua importanza nella determinazione finale. Si dirà: ma la pace è un bene che viene prima di tutto e di tutti. Se l’esito della guerra è tale da non poter scongiurare la sconfitta, perché farla? È presto detto: perché l’aggressore russo, in questo caso, sarebbe passato ad imprese anche più facili nei confronti di Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Moldava e via continuando con tutto l’ex impero sovietico. Putin, il neozar, non si è neppure peritato di nascondere le sue intenzioni.
Chi viola le regole internazionali va fermato possibilmente nei modi che non siano di peggioramento della situazione. Mi spiego: non si doveva arrivare alla terza guerra mondiale subito dopo che i carri armati russi erano entrati in territorio ucraino. Ma, evidentemente, neppure starsene fermi a guardare, in attesa che la cosa fosse finita col ritorno alla pace, che per l’uno, l’aggressore, sarebbe stata di vittoria, per l’aggredito di sconfitta. La pace non è un bene perimetrabile nello spazio e nel tempo, è qualcosa di assai più ampio. L’Ucraina ha fatto bene e fa bene a battersi e la comunità internazionale fa bene a sostenerla fattivamente. Battendosi si difende la pace vera, la pace dei giusti. Può essere che l’Ucraina abbia commesso degli errori. Può essere che la Nato si sia avvicinata troppo alle porte della Russia. Può essere tutto, ma un dato è incontrovertibile: da una parte c’è stato un aggressore e dall’altra un aggredito.
Davvero la guerra è stata inutile? Nel frattempo, con la guerra, un po’ di cose sono cambiate. Svezia e Finlandia hanno chiesto di entrare nella Nato dopo la loro tradizionale neutralità e i paesi che stanno intorno alla Russia sempre più convintamente vogliono entrare nell’Unione Europea. Il piano di ricomporre la vecchia Unione Sovietica, riveduta e corretta, non sembra più tanto praticabile. Tutto questo sarebbe avvenuto se l’Ucraina avesse accettato l’invasione e se la comunità internazionale se ne fosse stata per i fatti suoi in difesa della pace e del quieto vivere? C’è da dubitare. A volte il tempo aiuta a far nascere situazioni nuove. Senza scomodare Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore anti Annibale, la guerra dell’Ucraina ha consentito che maturassero certe situazioni politiche, che rendono oggi la Russia meno spavalda e più conscia delle difficoltà a voler togliere la libertà e la pace ad altri paesi.
Ora, dopo due anni di guerra, pare che le due parti vogliano cercare una soluzione. L’ucraino Zielinski ha detto di non avere risorse belliche per recuperare il Donbass e la Crimea. La dichiarazione potrebbe essere letta come un segno di resa e una disponibilità all’accordo, ma anche come una nuova richiesta agli alleati di armi e di mezzi. Dall’altra parte il russo Putin ha detto che è disposto a trattare con tutti anche con Zielinski a condizione che in Ucraina questi venga eletto in maniera regolare. Si sa da sempre che la carica di presidente dell’Ucraina di Zielinski è stata contestata da Putin come irregolare. Anche questa dichiarazione può essere intesa come una disponibilità a trattare, forse Putin conta sul condizionamento del voto in Ucraina o forse, come si dice, mena il can per l’aia. È da ingenui non pensare che Putin abbia “suoi” uomini in Ucraina pronti a fare dell’Ucraina un’altra Bielorussia.
Si tratta comunque di spiragli che in una situazione molto complessa potrebbero aprirsi ad una soluzione o a rendere sempre più ingarbugliata la matassa. Pensare che tutto possa risolversi “francescanamente” – con tutto il rispetto! – o alla “Travaglio” è utopia bell’e buona. Finora si è evitato il peggio con soluzioni partecipi e dilatorie; diamo tempo al tempo.
sabato 14 dicembre 2024
Fratelli d'Italia, che c'è da buttare
Recentemente Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento per Fratelli d’Italia, ha adombrato l’opportunità di togliere la Fiamma dal simbolo del partito. Nulla di propositivo ma un passaggio nel corso di un’intervista. Ciriani non è uno qualunque, è un personaggio del partito di Giorgia Meloni che si è sempre contraddistinto per la sua moderazione e per l’immagine che offre di sé, di persona misurata e a modo. Non potevano mancare le reazioni della componente postmissina del partito, essendo la Fiamma uno dei bersagli preferiti degli avversari. La polemica, molto soft e breve, rimanda all’immediato dopoguerra, quando fu scelta dal neonato MSI quale suo simbolo. Se ne sono dette tante sui suoi significati. Agli avversari piace sostenere la leggenda che essa rappresenti la luce e il calore che emana il corpo di Mussolini dalla sua bara, su cui erano le iniziali del partito MSI, letto in acronimo MuSsolinI. Tutte balle. La storia racconta ben altro. Quanto al nome Movimento Sociale Italiano ricalca l’esperienza politica di François de la Rocque in Francia del 1936 Mouvement social français. Questo era un movimento che cercava di unire le varie associazioni combattentistiche francesi dopo la guerra 1914-18, per costituire una grande forza politica. Quanto al simbolo, lasciamo la parola allo stesso Almirante, che ne fu l’ideatore.
«Ero segretario del MSI, nel 1947, quando, pochi mesi dopo l’avventurosa nascita del Partito, si profilò l’occasione di misurarci sul terreno elettorale con le votazioni amministrative di Roma. Ancora non avevamo un simbolo e bisognava pensarci in vista degli adempimenti tecnici per quel battesimo elettorale. Il fascio, ancorchè repubblicano, non si addiceva, evidentemente, a quella nostra prima battaglia democratica. Ci pensavo e ripensavo ma non veniva fuori nulla di soddisfacente. Un bel giorno, mentre scendevo le scale della nostra sede di Corso Vittorio, vidi venirmi incontro un giovane mutilato di guerra della Rsi che arrancava su una sola gamba e una stampella. Mi fermò – qualcuno aveva già imparato a conoscermi e a riconoscermi – e mi disse ‘Tu sei Almirante? Bene. Ma com’è che sulla porta di questo partito non c’è un’insegna? Non ce l’avete?’. Non ancora, risposi imbarazzato. E quello: ‘ Ma non è il Partito dei combattenti? E allora perché non gli metti il simbolo dei combattenti, la fiamma?’. Il giorno dopo chiamai un amico disegnatore e lo misi al lavoro, sino a quando, dopo una serie di schizzi, tracciò i segni di quel fortunato simbolo che da quarant’anni, nei giorni lieti e nelle ore buie, caratterizza la nostra esaltante esistenza». (Intervista di F. M. D’Asaro ad Almirante del 1986).
Il motto che si dice coniato da Augusto De Marsanich, primo segretario nazionale del Partito, “Non restaurare non rinnegare”, ben s’accorda alla Fiamma. Essa per sua natura è qualcosa che finché arde c’è, che è fondamentalmente presente. Non restaurare, infatti, taglia corto, ove ce ne fosse bisogno. Dopo 76 anni il Partito, senza restaurare e senza rinnegare, è giunto al governo ed è proiettato verso il futuro. La Fiamma lo ha accompagnato per tutto il lungo e accidentato percorso. Bisogna prendere atto che i dirigenti del Partito hanno voluto ribadire, lasciando la Fiamma sulle loro bandiere, che il Partito è nato nel 1946 e nel corso degli anni si è sempre attualizzato. Neppure l’Italia di oggi è l’Italia di Vittorio Emanuele II, Cavour, Mazzini e Garibaldi, ciò nondimeno ha conservato tutta la sua dimensione, politica, morale e patriottica. Non è tanto per una sorta di nostalgia o di romanticismo che si deve continuare ad averla nel proprio simbolo, ma per dare sempre l’idea ai giovani che tutto viene dal passato, da un passato fatto da altri giovani con sudore e sangue. Conservare i segni della propria identità è potente, significa che in ogni momento si ha a disposizione una grande forza di attrazione, una squilla che chiama a raccolta. Quando Fratelli d’Italia si è proposto poco più di dieci anni fa dalle rovine del sistema partiti aveva appena il due per cento. Era la raccolta. Negli anni successivi ha saputo dire agli italiani: noi siamo quelli che vengono da lontano e non hanno nulla di cui vergognarsi. Gli italiani hanno capito.
Che cosa i Fratelli d’Italia possono buttare perché non serve più e anzi è dannoso? Quel modo ruvido e compiaciuto di far pesare sugli altri l’alterigia di chi escluso e pestato per anni ha saputo rialzarsi e battersi con successo. Ecco, questo con gli anni non ha più ragione di esistere, perché le esperienze dei giovani di Fratelli d’Italia di oggi non sono le stesse dei giovani missini di ieri. Ne è “testimone” proprio la Fiamma, che ha “visto” gli uni e sta “vedendo” gli altri.
sabato 7 dicembre 2024
La democrazia possibile. Accontentiamoci
La democrazia, diceva Churchill, è la più brutta forma di governo, eccetto tutte le altre. Non è uno dei soliti paradossi che fanno storcere il labbro e la mente. Basta pensare per un attimo alla assurdità democratica. Una parte, la maggioranza, governa e l’altra, l’opposizione, fa di tutto per non farla governare, per farla fallire. Danneggiato è il Paese. Nessuna opposizione in democrazia è disposta ad ammetterlo, ma è innegabile che sia così. Ben lungi dal governare insieme ciascuna dal posto e dalle ragioni che occupa esse sono in “guerra”. Anche questa è vera: la guerra – diceva Von Klausewitz è politica continuata con altre armi. Anche all’interno delle due parti si riproduce in sottomultipli il dualismo, per cui, come diceva Carl Schmitt, in politica ciascuno è amicus hostis dell’altro. Ciò che conferisce dignità alle parti è lo scopo, ovvero l’ideologia, vera maschera che copre tutto, perfino le turpitudini più nefande. La vera educazione politica è quella di insegnare ai giovani come scoprire gli inganni e le frodi, atteso che, però, non è tutto frodi e inganni. Ci sono le componenti buone, che, a seconda del valore di chi le esprime, possono risultare vincenti.
La democrazia, come tante altre belle cose inventate dall’uomo, non esiste se non come sollecitazione a muoversi verso una direzione nel rispetto della legge comune, che ora si chiama Statuto ora Costituzione. Che tanto sia vero lo dicono le affermazioni dei tre più affermati dittatori del Novecento. Per Mussolini il fascismo era democrazia, così il nazismo per Hitler, il comunismo per Stalin. Pertanto essa ha bisogno di una sua precisa identità, che la distingua da ogni dittatura, ed è la ricerca continua di se stessa, il suo farsi nella libertà di tutti gli individui di una nazione. Né il fascismo, né il nazismo, né il comunismo erano democrazia per due motivi: primo, durante il loro imperio non c’era ricerca di inclusione; secondo, non c’era libertà di partecipazione. Ciò detto, non esiste un grado massimo di compiutezza della democrazia, oltre il quale non è possibile andare. Esiste una democrazia possibile, un farsi della democrazia.
Quando si parla di riforme, che è l’obiettivo di ogni governo, si dimentica che la politica non può darsi dei limiti di tempo per realizzarli. Se ci fosse una scadenza – che so, un cataclisma che ponesse fine a tutto – si avrebbe ragione di dire affrettiamoci a realizzare ciò che ci preserva dai pericoli. Ma questo limite non c’è e allora occorre accontentarsi della democrazia possibile. Il che non significa che non è democrazia quella che procede lentamente e realisticamente nel suo farsi. Nel percorso democratico ogni tappa è democrazia, se in essa si ravvisano le sue spcificità suddette.
Facciamo un esempio: Oggi nei confronti della cosiddetta comunità Lgbt+ c’è una considerazione sociale e istituzionale che non c’era venti anni fa. Si può dire che venti anni fa in Italia non c’era democrazia, perché questa comanità non era considerata come lo è oggi; che oggi non c’è democrazia perché l’obiettivo massimo non è stato ancora raggiunto? Evidentemente no. La democrazia di ieri e quella di oggi sono democrazie possibili, perché in esse si ravvisa la ricerca del raggiungimento di una condizione di libertà e di partecipazione senza fughe in avanti che spesso compromettono il processo. Accanto alla sigla Lgbt c’è un + indefinito che indica proprio la continuità della ricerca e della libertà, l’inclusività senza limiti. Ieri questa umanità era segregata, oggi è alla luce del sole, pur con le inevitabili resistenze, che non senza importanza oggi ognuno tiene per sé. Può accadere domani o dopodomani che il processo compia un altro passo e poi un altro ancora.
Può accadere anche che alcune conquiste oltre che segnare il passo facciano registrare dei passi indietro. Anche questo rientra nella democrazia possibile. Si tenga conto che la democrazia ha valore universale e paradossalmente comprende anche chi è contrario a certe inclusività. Nel dibattito politico ci sono i conservatori legati a valori diversi da quelli dei progressisti. Può accadere che i conservatori diventino in un paese la maggioranza e inseguano ritorni all’antico. Essi vanno combattuti con le stesse armi con le quali i conservatori sono riusciti da minoranza che erano a diventare maggioranza. Nessuno pensi di poter cristallizzare ciò che è fluido. In politica e ancor più in democrazia, che, per tornare a Churchill, della politica è la realizzazione più brutta a prescindere da tutte le altre, tutto è fluido e prende la forma che gli uomini sanno imprimere nei luoghi e nei tempi che consentono.
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