sabato 5 luglio 2025
Lo storico segue la verità, il politico l'interesse
Se mi si chiedesse di professare pubblicamente l’antifascismo come è stato chiesto più volte e inutilmente a tanti esponenti di Fratelli d’Italia, mi rifiuterei, non già perché io mi consideri fascista, ossia perseguitore di una dittatura, cosa ben lontana dai miei pensieri, ma perché lo ritengo un non senso. Non si può essere contro una cosa che non c’è o che tu non puoi evitare se dovesse concretizzarsi. Come il Filosofo disse: non temo la morte perché quando c’è la morte non ci sono io e quando ci sono io non c’è la morte così per il fascismo: quando c’è il fascismo non c’è libertà e quando c’è libertà non c’è fascismo.
Avevo un amico molti anni fa, che era fascista a Taurisano, suo e mio paese natale; liberale a Firenze, dove studiava; comunista a Trento ai tempi di Sociologia. Sì, mi confessò, mi adeguo, non sopporto diversificarmi in qualsiasi ambiente capiti. Pensa, aggiunse, che nel palazzo dove abito sono quasi tutti interisti ed io che da sempre sono juventino mi dico interista per non dispiacere ai più. Questa tendenza oggi si chiama mainstream, una parola inglese che sostituisce banderuola, più modesta ma assai più convincente. Gli risposi che il suo comportamento era tipico del politico, che ovunque si trovi cerca di non dispiacere a nessuno, il suo scopo essendo il consenso degli altri. Non volli scomodare moti caratteriali per non fare il moralista della circostanza.
Ma è cosa che può essere giustificata? Dal punto di vista politico sì, dal punto di vista storico no. Chi ha una mentalità di storico sa che qualunque idea, condivisa o meno, può avere avuto nel tempo un periodo di consenso, di condivisione diffusa, può aver costituito la morale comune, indiscussa. Chi non era fascista durante il fascismo era un reprobo e si guardava dal dirsi antifascista; l’esatto opposto oggi. Prendiamo il patriarcato. Questo ha costituito per millenni la base su cui si reggeva la famiglia e ad altra dimensione la società, comunque una qualsiasi aggregazione sociale organizzata. Oggi il patriarcato è una “parolaccia”, da respingere, da condannare, di cui vergognarsi. Così per tantissime altre certezze considerate assolute per lunghi, lunghissimi o brevi periodi. Si pensi all’omosessualità, non moltissimi anni fa condizione da nascondere, da biasimare, oggi si ostenta in festa e il gay-pride si festeggia ogni anno in oceaniche partecipazioni in tutte le grandi città del mondo come, considerando le dovute differenze, una volta le processioni per le feste patronali, a cui partecipava tutto il paese, con le confraternite dietro labari e simboli.
Lo storico, che resta freddo e impassibile di fronte a certezze rovesciate, nuovi e vecchi idola, sa che tutto passa e qualche volta ripassa (corsi e ricorsi) e che non indignarsi per un’affermazione o una negazione da gran parte degli altri condivise, non è cinismo, è consapevolezza che così vanno le cose del mondo. Ciò che oggi è condannato, ieri era osannato; ciò che oggi è respinto potrà avere domani un ritorno. Con la sua visione ampia e articolata lo storico, privo di interessi nell’immediato, sembra giustificare tutto, perché tutto non è che il prodotto della storia. Lo storico non condanna, non approva, non respinge; cerca di capire e di spiegare. Per questa sua condizione spesso è biasimato, tacciato di insensibilità quando non addirittura di nascondere dietro lo storicismo sue convinzioni personali che non avrebbe il coraggio di professare apertamente. La condizione dello storico o del politico è un modo di porsi diffuso di fronte alle cose, per cui non si deve essere necessariamente storici o politici di professione per assumere determinate posizioni. In un qualsiasi individuo può essere prevalente la visione storica, in un altro quella politica.
Nei confronti del fascismo l’approccio diventa radicale e non si fanno sconti. Politico o storico che uno sia, deve condannarlo senza se e senza ma, come si dice. Chi non lo fa va incontro ad incomprensioni ambientali.
Sono di destra e ho nei confronti del fascismo un interesse puramente storicistico, convinto che politicamente esso potrebbe pure ritornare in forme diverse per quei fenomeni tipici della storia, la domanda che mi pongo e che pongo agli altri è: si può parlare di fatti accaduti senza il precipuo interesse di fare propaganda politica in un senso o nell’altro? La mia risposta è decisamente sì, non solo si può, ma si deve. Lo storico, nel cercare la verità storica, può incorrere in un errore involontario; il politico, invece, sa di affermare il falso, consapevolmente, per il proprio interesse.
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