sabato 8 marzo 2025

Santanché e le dimissioni

Da quando si è insediato, il governo Meloni ha perso due sottosegretari e un ministro, per dimissioni: la Montaruli, Sgarbi e Sangiuliano, ognuno per motivi diversi o per opportunità diverse. Per l’opposizione avrebbero dovuto lasciare l’incarico almeno altri quattro, tre ministri (Santanché, Piantedosi e Nordio) e un sottosegretario (Delmastro), anche qui per ragioni diverse. Spero di non essermi sbagliato nel conteggio. Quella delle dimissioni è una questione che in Italia non trova un equilibrio. Prendiamo atto che non siamo calvinisti, i quali identificano la salvezza o la perdizione col successo o con l’insuccesso nella vita. Se fossimo calvinisti, non ci sarebbe problema alcuno. Si è incappati in un incidente di percorso esistenziale? Bene, ci si regoli di conseguenza, senza tante storie. Perché aggiungere incidente ad incidente mentendo, negando, occultando? In Germania, alcuni anni fa, un ministro si dimise perché fu accusato di aver copiato in parte la sua tesi di laurea. In Italia una cosa del genere farebbe ridere i giudici stessi. In Italia, si sa, la morale cattolica, le strade del Signore e via…vogliamoci bene. Un uomo delle istituzioni, messo a processo e dunque prima ancora di essere condannato o assolto, dovrebbe fare un esame di coscienza. Lui solo sa se è colpevole o innocente. Gli altri possono solo presumerlo. Chi dovrebbe dimettersi e non si dimette si appella al fatto che il più delle volte l’accusato finisce per essere assolto perché il fatto non sussiste, magari dopo un po’ di anni di attese e di processi, fino al terzo grado. Questa giustificazione non è del tutto peregrina, almeno non lo è in Italia, dove non c’è la cultura delle dimissioni e non c’è una credibile cultura delle istituzioni. Ma si sa che la verità processuale non sempre corrisponde alla verità storica, anche per la formula “in dubio pro reo” che favorisce gli accusati dei quali non si riesce a provare l’accusa. E siccome non si assolve più per insufficienza di prove ecco che esce che il fatto non sussiste. Ma torniamo a dire che nessuno sa meglio dell’accusato se è colpevole o innocente. Se è colpevole e non si dimette e viene condannato dopo un po’ di anni con sentenza passata in giudicato ha praticamente continuato per tutti quegli anni ad esercitare il compito di ministro o sottosegretario in condizione indebita, salvo che nel frattempo non fosse cambiato governo. Se il ministro è accusato di furto o frode ai danni dello Stato, non si dimette e continua a fare il ministro, una volta condannato dimostra che per quegli anni è stato un ladro o un furfante a rappresentare le istituzioni. Questo può succedere. Allora sarebbe il caso, lo dico da ruminante della politica non da giurista, che non mi compete, quel ministro, che, pur sapendosi colpevole, ha continuato a fare il ministro dovrebbe essere condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ad una pena pecuniaria proporzionata al danno arrecato all’immagine dello Stato e della Nazione. Troppo comodo non dimettersi e sfruttare le lungaggini della giustizia per rimanere di fatto in un posto di alto prestigio morale e di importante funzione pubblica come se nulla fosse. Dio non voglia che tra qualche anno la Santanchè venga definitivamente condannata. Che condanna sarebbe mai la sua se nel frattempo ha continuato a fare la ministra, a vantare di essere ricca, di fare collezione di borse di lusso, di camminare su tacchi dodici e via di seguito? Intendiamoci, difendersi è un diritto. Non è però un diritto offendere le istituzioni e per esse il popolo composto anche da persone che non possono vantare le cose della Santanchè. Nel caso in specie c’è anche un risvolto politico particolarmente importante. In politica si è relativamente liberi di fare o di non fare qualcosa, non si è mai liberi in assoluto. Quale diritto avrebbe la Santanché di trascinare nelle sue vicende private – si consideri che le accuse che le sono rivolte risalgono a prima che diventasse ministra – una comunità umana costituita da milioni di persone? Sembrerebbe paradossale che ci si augurasse che la ministra ricca sia anche innocente – avete capito bene – e che tutte le accuse rivoltele siano cattiverie di giustizialisti vampiri mai sazi; ma purtroppo non è così. Speriamo che sia innocente non tanto perché vige la presunzione di innocenza quanto per il fatto, non di poco conto, che se dovesse essere condannata, lei e tutti i suoi amici di partito dovrebbero, come dice un’espressione popolare, cacarsi la faccia.

sabato 1 marzo 2025

Trump come Brenno: guai ai vinti!

Quel che è accaduto il 28 febbraio 2025 nello studio ovale della Casa Bianca a Washington merita di essere memorabile. Un Presidente che zittisce l’ospite, presidente di un altro paese, lo caccia via e gli dice di tornare quando si sente preparato, è fuori dalla più incredibile eventualità. È una bolla di acqua ghiacciata caduta sul mondo. Una volta ho assistito ad una scena del genere. Un professore all’Università invitò uno studente in sede di esami ad andarsene e a ritornare quando si fosse sentito preparato. Né più né meno. Ma Trump è andato oltre, si è comportato come Brenno, il re dei Galli, che, dopo aver conquistato Roma chiese un riscatto in oro e ai poveri romani che si erano accorti che la bilancia era truccata disse di tacere e sbattendo la sua spada su uno dei due piatti urlò: guai ai vinti! Il presidente ucraino Zeleski non è Marco Furio Camillo e perciò non ha detto l’Ucraina si conquista col ferro non con l’oro. Però il presidente ucraino è stato fermo nelle sue argomentazioni, ha tenuto duro e ha predetto che prima o poi gli americani si accorgeranno dei guai che li attendono se continueranno a credere nella Russia. Probabile che ad irritare Trump siano state proprio queste parole, considerate velleitarie e irrispettose. Che tali però non erano, se le intenzioni erano quelle di mettere in guardia l’alleato protettore dai pericoli di un nemico comune. Ma ad uno come Trump, che si comporta come un barbaro avvinazzato, non si può mettere in dubbio la sua strapotenza, la sua posizione di padreterno in terra, è sembrata lesa maestà. E poi, quale nemico comune? Trump ha rivendicato la sua terzietà, che lo rende, a suo dire, più avvantaggiato nelle trattative. Ora, dopo il patatrac, cosa accadrà? Noi europei, con qualche piccola eccezione, l’ungherese Orban si è detto filorusso, abbiamo ribadito di stare con Zelenski, continuando nella nostra opera di aiuti in tutti i modi per arrivare ad una pace giusta, che non può essere identificabile con la sconfitta dell’Ucraina, ma con un accordo che tenga conto degli interessi delle parti in causa. Ma non possiamo ignorare o far finta di non capire che la sparata trumpiana non è stata solo contro Zelenski ma contro tutta l’Europa. Siamo in presenza di qualcosa di improvviso che ha spiazzato tutti. Del resto che Trump ce l’abbia pure con l’Europa è notorio, l’accusa è di aver stravivacchiato a spese degli Stati Uniti d’America. L’aumento dei dazi sulle merci provenienti dall’Europa dimostra quanto Trump sia convinto delle sue elucubrazioni. Il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, data come particolarmente vicina a Trump, da considerarla addirittura pontiera tra Usa ed Europa, si trova in imbarazzo, perché se è vero che finora c’è stato una sorta di idillio col presidente americano, è anche vero che è stata fin dall’inizio dell’invasione ucraina la più convinta e fervida sostenitrice del popolo ucraino. Le opposizioni in Italia battono su questo punto; ma in Italia si capisce, appena gli oppositori vedono la possibilità di mettere in difficoltà la premier italiana si lanciano come avvoltoi sulla preda. Veniamo ai fatti. Quali carte in concreto ha in mano l’Europa per risolvere il caso ucraino? Non ne ha, se le avesse avute se le sarebbe giocate prima. Ora addirittura la situazione è peggiorata. Purtroppo la sua scelta fin dall’inizio era di far causa comune e compatta con tutto l’Occidente. Ora che l’Occidente è diviso l’Europa si trova in acque difficili e il caso ucraino le rende ancor più torbide e innavigabili. L’Europa non è in grado di far giungere i due Stati in guerra ad una pace giusta. Gli Stati Uniti certamente possono di più, possono indurre la Russia, in cambio di consistenti guadagni, a mettere fine alla guerra. Ma sarà una pace giusta per l’Ucraina quella ottenuta con l’intesa russo-americana? E l’Europa l’accetterà? L’Europa, per quel che è stato prima e dopo l’invasione, fa tutt’uno con gli interessi dell’Ucraina. Difficile dire che cosa avrà alla fine l’Europa da tutta la vicenda. Poteva saperlo nella situazione pretrumpiana, non oggi più. Ma proprio nell’America pretrumpiana l’Europa ha ragione oggi di sperare. Non è possibile che in America non conti nessuno all’infuori del Presidente. Ci sono forze tradizionalmente filoeuropeistiche che potrebbero agire e costringere Trump a più miti consigli. Trump ha rimproverato a Zelenski di voler giocare con la terza guerra mondiale, ma se qui non cambia l’atteggiamento americano si andrà molto vicino; e Dio non voglia che si arrivi proprio dove non si deve mai arrivare.