L’Anpi (Associazione nazionale
partigiani d’Italia) ha ragione ad
impennarsi contro la commemorazione delle vittime delle violenze slave in danno
degli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia alla fine
della seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1945. Quelle vittime, in quanto
prodotte dal comunismo slavo con l’appoggio di quello italiano, rimandano ad
una parte politica sommariamente definita fascista, che oggi, a dire degli anpisti,
ha rialzato la testa e contende l’esclusivismo vittimistico, che tanta rendita
finora ha prodotto alle sinistre.
Quelle vittime, pur in difetto di
documentazione completa, si possono quantificare in 4/5mila, che, sommate alle
350mila costrette a lasciare le loro case e le loro terre, cacciate dalla
“pulizia etnica” slava e non difese dai nuovi governanti italiani, danno l’idea
di una dimensione biblica. Vittime negate o nascoste per decine e decine di
anni dall’establishment politico italiano arcocostituzionale nonostante le
insistenze per ricordarle di una sola parte politica, quella appunto che
rimanda sempre alla destra sommariamente definita fascista.
Ha ragione l’Anpi perché qui si scoperchia il pentolone delle verità
nascoste, delle rendite fasulle di bugie e mistificazioni che hanno costruito
una verità storica che voleva essere granitica e che rischia invece di andare
in frantumi.
Quest’anno l’Anpi si è
particolarmente distinta con iniziative che vanno da convegni e pubblicazioni a
dichiarazioni estemporanee di suoi rappresentanti sparsi in tutta Italia, allo
scopo di chiarire una volta per tutte che se violenze ci furono da parte degli
slavi nei confronti degli italiani, violenze e soprusi c’erano stati prima da
parte degli italiani nei confronti degli slavi. Dunque, un pareggio di violenze
e tutti in pace. C’è stato perfino chi ha dato del maleinformato al Presidente
della Repubblica Sergio Mattarella per aver ricordato quelle tragiche vicende.
Il fatto che un po’ dappertutto
ci siano state prese di posizione e dichiarazioni anpiste contro il “Giorno del
Ricordo”, delle vittime infoibate per intenderci, significa che è partito da
una centrale l’ordine di dire no a riconoscimenti paritari, nella più bella
tradizione comunista degli ordini e dei contrordini. Ne tragghiamo la lezione:
le vittime del fascismo non possono essere equiparate alle vittime del
comunismo, senz’altra ragione se non quella che ricorda il gallo Brenno a Roma:
vae victis!
Ma c’è un’altra più profonda
ragione di quella per così dire propagandistico-utilitaristica, di lucro
politico; c’è che gli eredi del comunismo non ci stanno a far apparire i loro
padri finalmente per quello che erano, senza voler generalizzare: barbari i
partigiani slavi, traditori della patria e del proprio sangue i partigiani
italiani.
E’ accaduto anche a Lecce, dove
gli anpisti hanno avuto parole negazioniste verso l’intitolazione di una via a
Norma Cossetto, la cui tragica vicenda – fu torturata violentata e uccisa – non
può non mettere in chiaro di che pasta fossero i partigiani, quelli che oggi si
insiste ad associare a Bella ciao,
ovvero ad una visione falsificante della storia, ad una sorta di edulcurato
pseudoromanticismo, tutto languore e sacrificio estremo “sotto l’ombra d’un bel
fior”. Quel fiore negato alle migliaia di italiani infoibati, cioè uccisi e
scaraventati nelle foibe, molti ancora vivi mentre precipitavano.
Ma hanno ragione anche perché commemorare le vittime delle foibe, delle
popolazioni giuliane, istriane e dalmate, italianissime, sicuramente più di
tante altre popolazioni italiche, significa attingere colpe e responsabilità e
scoprire che Palmiro Togliatti, capo mitico dei comunisti italiani, ordinò ai
partigiani delle Brigate Garibaldi di obbedire ai partigiani slavi e di sparare
su quanti in Italia, fascisti o antifascisti che fossero, si opponevano alle
mire espansionistiche di Tito. Capitò ai partigiani bianchi della Osoppo, che
furono eliminati solo perché non vollero sottostare agli ordini di Tito e dei
suoi valvassini italiani e si opposero all’occupazione di territori italiani da
parte degli slavi. Fosse stato per quei partigiani e comunisti italiani, la
Jugoslavia poteva penetrare in Italia fino a Udine e oltre.
Certo, fa effetto oggi, benché
quei comunisti non ci siano più, sapere chi in Italia ha combattuto per la
patria propria e chi per la patria degli altri e vedere come tanti santi della
chiesa comunista altro non furono che volgari traditori in nome di un comunismo
che oggi fa vergognare più che indignare.
Hanno ragione gli anpisti ad allarmarsi. Sta a vedere – pensano – che ora
quelli di destra ci rubano il mestiere e così finisce il monopolio degli
olocausti, su cui abbiamo costruito tanti successi elettorali e politici.
Allora, cerchiamo di essere
onesti. Norma Cossetto non è un nome qualsiasi, è un nome caro al fascismo. Fu
imprigionata, torturata e uccisa perché figlia di un pezzo grosso del fascismo
di quelle contrade, perché rifiutò di rinnegare la sua fede politica e la sua
famiglia e di aggregarsi ai partigiani. Inutile negare certe evidenze. La
questione dei confini orientali dell’Italia e di quel che accadde in quelle
terre negli anni 1943-45, se messa in libertà, non può che arrecare danno
all’immagine della sinistra. Intitolare luoghi pubblici a quelle vittime
lievita il loro ricordo e nello stesso tempo perpetua la vergogna dei
responsabili. L’Anpi lo sa benissimo, è stata sempre materia sua.
Per evitare una simile condizione
l’Anpi dovrebbe convincersi che è tempo di guardare a quegli eventi con onestà
e condivisa pietas. Altro è il discorso storiografico, che deve continuare in
altre sedi, come è giusto che sia, ma sempre all’insegna della verità e non
dell’utilità politica.