A sentire Di Maio e Salvini
sembra che in Italia non ci sia più legge. Di fronte al “popolo”, al suo bene,
alla soluzione dei suoi problemi, cessa tutto. Ripetono la parola “italiani” in
una breve dichiarazione di un minuto più di quanto non facesse Almirante in un
comizio di un’ora.
Per leghisti e cinquestelle siamo
in presenza di un “popolo-dio” e come nel medioevo i crociati gridavano deo lo vult, alle obiezioni che vengono
loro mosse i due vice-presidenti rispondono: il popolo lo vuole, noi
gliel’abbiamo promesso e guai a chi ci impedirà di farci mantenere la promessa!
Come se il nuovo esecutivo, detto del cambiamento, non avesse l’obbligo comunque
di muoversi e di agire all’interno di un quadro costituzionale e delle leggi
vigenti.
E’ stato forse abolito in Italia il
sistema politico-giudiziario, per cui dei gruppi politici al potere agiscono
come truppe di occupazione, che rispettano solo le leggi del “paese di provenienza”?
Renzi rischia di essere stato
l’ultimo fesso d’Italia. Tale appare oggi per aver chiesto due anni fa il referendum
per una castigatissima riforma della Costituzione! Avrebbe potuto
strafottersene, come stanno facendo ora Di Maio e Salvini.
Il loro modo di fare è tipico dei
periodi di anarchia, quando non c’è più legge, non c’è chi la fa rispettare e
comanda il più forte, sentendosi legittimato dal favore popolare, l’alfa e
l’omega delle loro preoccupazioni.
I due hanno giurato davanti al
Presidente della Repubblica di rispettare la Costituzione. Pensavano
forse che fosse tutto uno scherzo, un atto puramente formale, un maquillage?
In una democrazia, quando un
governo si accorge di non poter mantenere le promesse elettorali fatte dai suoi
esponenti politici, benché fatte in un sistema di macroscopico voto di scambio,
non deve sentirsi colpevole di uno sgarro, ma responsabilmente ridimensiona il
suo programma, fa quello che può fare o semplicemente lascia. Insistere a voler
fare a tutti i costi quanto promesso non è concepibile. Ci sta che un politico
o un governo si sbagli, si faccia male i conti, fallisca in tutto o in parte.
Quel che conta non è l’interesse del singolo politico o di una classe politica,
ma del Paese nel suo insieme.
Crolla il ponte Morandi a Genova.
La colpa è subito di Autostrade, a cui si vuol togliere subito la concessione,
obbligarla a pagare la ricostruzione del ponte ed escluderla dal parteciparvi. Un’esecuzione
sul posto! Quante volte abbiamo sentito persone nei bar ragionare in questo
modo? Se fossi io gli toglierei le concessioni e li costringerei a pagare
tutto; così imparano! Di Maio e Salvini sono come gli avventori del bar dello
sport, né più né meno.
Noi, che i bar li frequentiamo
per il caffè o il gelato, ci chiediamo: ma non c’è più una legge che regola
simili situazioni?
A chi obietta a Di Maio e Salvini
che Autostrade potrebbe fare ricorso al Tar, la risposta è di un’arroganza
degna del peggior modo di essere mafiosi. Dicono: lo faccia, intanto paghi e
taccia! Non diversa la risposta per i ricorsi per il taglio dei vitalizi ai
parlamentari. Intanto glieli abbiamo tagliati, facciano pure ricorso!
Il Ministro dell’Economia Tria
dice che non ci sono i soldi per fare tutto quello che i due neogiacobini vogliono.
Tria è un signor professore universitario di economia. Di Maio è un signor
nessuno. Neppure se dovesse avere il cento per cento dei voti sarebbe mai
qualcuno. Ma intanto dice: un Ministro dell’Economia serio deve saper trovare i
soldi. Dunque Tria non è serio; si metta da parte! Il portavoce del Presidente
del Consiglio, Rocco Casalino, laureatosi all’Università del Grande Fratello,
ha detto che i funzionari del Ministero dell’Economia boicottano le iniziativfe
del governo.
Ma dove stiamo? In quale
organizzazione di evasi ci troviamo? Qui non si tratta di essere pro o contro
il populismo, che è solo un modo di pensare e di operare ma sempre nel
perimetro della legge, bensì di una sistematica e pragmatica ignoranza dei
comportamenti politici e delle procedure amministrative. Preoccupa non la loro
presunta sicurezza di essere nel giusto, inteso come legale, quanto il loro non
voler considerare che le questioni nel nostro Paese si devono regolare con le
leggi esistenti. Non si chiedono neppure se una cosa la possono fare o meno. E
se qualcuno glielo dice, è pronta la risposta: non possiamo fare questo? beh,
noi intanto lo facciamo; poi si vedrà.
Questo percorso potrebbe portarci
fuori strada. Attenzione, per ora è solo una parte politica che intende
muoversi a prescindere dalle leggi! Nel momento in cui altri si rendono conto della
bagarre, allora potrebbero ricorrere tutti a sistemi e a metodiche più
politicamente spicciative e redditizie. Il che, fuor dal linguaggio più
castigato, vorrebbe dire che ai loro modi disinvolti di ignorare la legge si
potrebbero contrapporre modi altrettanto disinvolti, per non dire del tutto
illeciti. A la guerre comme à la guerre!
Prima o poi questi due signori si
troveranno a dover fare una duplice serie di conti. Immancabilmente con le
leggi dello Stato da una parte e col loro “popolo-dio” dall’altra. Il quale –
lo sappiamo per tantissimi precedenti avvenuti nella storia – quando si sente
tradito o raggirato o si accorge che il leone a cui credeva di essersi affidato
è solo un asino allora si trasforma in un mostro di ingratitudine e di ferocia.
Non vogliamo evocare scenari apocalittici,
peraltro improponibili per una lunga serie di motivi, ma questo governo ci sta
abituando ad un modo di far politica del tutto fuori dalle regole e per certi
aspetti dalle leggi. Dove potremmo arrivare ce lo dobbiamo chiedere.
L’arroganza di Di Maio e la
prepotenza di Salvini, al di là se possono o meno nel breve termine sortire
effetti positivi, stanno producendo guasti alla politica e alla società che
potrebbero essere assai gravi per la credibilità dello Stato di diritto e della
democrazia.