sabato 29 marzo 2025

Nonno Prodi, faccia il serio

Ne hanno dette tante e negato tante altre sulla tiratina di capelli fatta da Romano Prodi ad una giornalista di Rete 4. Ho solo poggiato la mano sulla spalla, ha dichiarato Prodi, a caldo. Ha fatto benissimo, ha dato una lezione a uno di quei sicari di Rete 4, ha commentato Massimo Giannini, editorialista de ‘la Repubblica’, equiparando la giornalista ad un sicario che col pugnale in mano aspettava Prodi per pugnalarlo dietro una tenda. Io sto con Prodi, ha detto Enrico Letta, facendosi un selfie. E via di seguito. Inutile passare in rassegna tutte queste maschere del carnevale politico italiano. Poi è venuto fuori un video che mostra quel che si sapeva e che molti negavano. Sono dispiaciuto per me, ha commentato a freddo Prodi, senza chiedere scusa. Viene di chiedersi di primo acchito se non abbiano esagerato tutti, a partire dalla giornalista che ha fatto una domanda a Prodi sul Manifesto di Ventotene a dir poco provocatoria e sfottente. Ci sono domande rispettose e domande irrispettose. Quella della giornalista retequattrista era irrispettosa perché tendeva a far dire a Prodi cose non convenienti. Prodi avrebbe potuto mantenere la calma e rispondere diversamente, ma uno non ha l’età di Prodi per niente e poi non si può pretendere da un Prodi di fare l’Andreotti. Il Manifesto di Ventotene era come il vaso di Pandora, conteneva delle cose che era meglio tenere nascoste. È vero che era mirato alla formazione di un’Europa unita, ma il percorso suggerito era ed è irricevibile; creare un partito rivoluzionario, per instaurare una dittatura e guidare il popolo alla democrazia è cosa da marxisti leninisti. Cosa c’entra la contestualizzazione? Se una cosa è rossa è rossa sempre, non si può dire che cambi colore a seconda dell’ora del giorno. Giorgia Meloni ha scoperchiato il vaso sapendo che cosa vi avrebbe trovato. E lo ha fatto nel luogo sacro di una democrazia, il Parlamento. Se ne sono dette tante, compreso che lo abbia fatto per distrarre l’ambiente politico da questioni più serie. In Italia c’è sempre qualcosa che è più seria di un’altra. In verità sono stati gli oppositori stessi a servirle su un piatto d’argento l’occasione. L’aver sventolato nella manifestazione di due giorni prima il Manifesto per le piazze di Roma è stato un errore. E allora, cos’è sto manifesto? Vediamo un po’. Ed è venuto fuori quel che si poteva solo tenere nascosto. L’irritazione è stata grande e lo ha dimostrato proprio il modo di rispondere di Prodi alla giornalista. Una risposta che è stata di condanna per quel manifesto. “Ho mai affermato io cose del genere?” ha detto Prodi, poi rifacendosi sul contesto e via di seguito. Come se abolire la proprietà privata è questione di contesto e non sia invece una questione di principio! Quanto a Prodi, per sua stessa affermazione avrebbe dovuto ritirarsi. Quando dieci anni fa fu impallinato da un plotone di centouno franchi tiratori quando già sembrava fatta la sua elezione alla Presidenza della Repubblica, disse che alla sua età, allora aveva settantacinque anni, l’unica cosa sensata da fare era ritirarsi. Non lo ha fatto. E bene ha fatto a rimanere sulla breccia, sia commentando la politica internazionale e sia quella nazionale. Io lo leggo sempre volentieri sul Messaggero e benché non lo condivida sempre ritengo che il suo punto di vista sia importante, lucido e coerente. Oggi ha ottantacinque anni e non si vede dove possa andare con la sua fregola di esserci, di contare, di sentirsi sulla cresta dell’onda. Pubblica libri, ipotizza scenari, analizza quelli esistenti, dimostra indirettamente la povertà della sua parte politica. Ma poi sono i suoi stessi, che, di fronte all’incidene con la giornalisa di Rete 4 si appellano all’età, come a dire è un vecchio rimbambito, lasciatelo in pace. A mio avviso non erano troppi i settantacinque anni di età dieci anni fa e non lo sono neppure gli ottantacinque di oggi. Ma quando un’opposizione di cinque componenti diverse non ha un solo leader affidabile e punta ancora su uno che si era ritirato dieci anni fa cosa dimostra se non che la pianta invece di crescere e fiorire è pressochè seccata? Prodi oggi rischia di essere trascinato nella pochezza politica di chi pretende di rappresentare. Quando le differenze tra le varie componenti politiche di una coalizione sono così diverse e diversi sono gli appetiti dei vari leader c’è poco da presentarsi come un solo soggetto. Prodi rischia di diventare una pezza per rammendare i vari strappi politici di un centrosinistra pressoché inesistente. Una pezza che nei tempi migliori serviva a vincere le elezioni ma non a governare; una pezza che oggi non serve neppure a vincere.

sabato 22 marzo 2025

Volenterosi e impotenti

I “volenterosi” del leader inglese Keir Starmer mi ricordano i “volenterosi” che nel 2021 dovevano far nascere il terzo governo Conte. Qui in Italia non fanno una buona fine i volenterosi e forse neppure in Europa per quanto ben 26 Stati si siano stretti intorno a quest’idea, compresa l’Italia. Ma, a parte ogni scaramantica precauzione, il nome stesso tradisce un non saper che fare, un non aver nulla da proporre. Ricordo il valore che si dà a scuola ad un ragazzo che ce la mette tutta ma non riesce: che dire, signora mia? Il ragazzo è volenteroso, ma ha dei limiti importanti. L’Europa ha dei limiti importanti. Nel novero delle grandi potenze l’Europa non c’è. Ci sono America, Russia, Cina; ma l’Europa è “volenterosa”. Vorrebbe, ma non può. Stupisce che si sia fatto promotore proprio un inglese. Ma bisogna capire. L’Inghilterra, lontana dall’Europa per sua scelta, dopo essere stata abbandonata dall’America, rischia di essere isolata. Coi “volenterosi” rientra nel giro europeo, che non è un gran giro ma è pur sempre una compagnia. Quanto all’Italia, la grande manifestazione pacifista di sabato, 15 marzo a Roma, ha dato una dimostrazione plastica di chi invece di viaggiare secondo una rotta, si agita intorno ai problemi senza nessuna direzione; è stata la stessa risposta, diversamente declinata, del voto europeo al riarmo. Ognuno si è diviso come gli è piaciuto, maggioranza e opposizione e perfino ogni singolo partito. Si sono fatti a fettine. A Roma c’erano tutti e di più. Del resto noi italiani siamo maestri di trovate. Finita l’era dei “girotondi” e quella delle “sardine” un’altra ce la dobbiamo inventare ed è ben strano che non vi abbia provveduto lo stesso Michele Serra, ideatore dell’iniziativa romana. Di chiaro c’è che l’Europa spende ottocento miliardi di euro per adeguare gli armamenti alla bisogna. Armarsi non significa necessariamente fare la guerra, può essere deterrenza per chi la guerra la vuol fare a noi. Se l’Ucraina, invece di cedere il suo armamento nucleare alla Russia l’avesse tenuto non avrebbe subito la guerra d’invasione. Si dice che dovremmo fare un esercito europeo e non degli eserciti nazionali, che perciò i soldi per riarmarci dovrebbe cacciarli l’Europa non ogni singolo Stato. Come se l’Europa non fossimo noi. Non si capisce bene la differenza. I soldi sempre europei sono e tutti li devono cacciare a seconda del numero degli abitanti o della ricchezza di ogni singolo Stato. Continuiamo a non voler prendere atto che la realtà nel mondo con l’elezione di Trump è cambiata, in maniera inattesa per giunta. Non è più tempo di “arrivano i nostri”, dunque dobbiamo provvedere da soli. Trump ha promesso la pace e ha fatto come Alessandro col nodo di Gordio, che nessuno riusciva a sbrogliare; lui ha tagliato corto. L’Occidente non è stato in grado di riportare la pace in Ucraina. Ci penso io, ha detto. E quale è stata la soluzione? Quella che né l’Ucraina né l’Occidente volevano e cioè la rinuncia a tutti i territori ucraini che la Russia ha occupato. E questa si può chiamare pace? Questa è resa incondizionata, che solo un altro diverso da Biden poteva fare. Trump sta dando dell’America l’immagine di un paese isterico e inaffidabile, che ricadrà nel prosieguo degli anni. Ma noi europei che figura ci facciamo? Noi ora cerchiamo coi “volenterosi” di ritagliarci un posto alle trattative per la cosiddetta pace, se non altro per salvare la faccia. Col rischio che se qualcuno dei nostri prende la parola in difesa di una posizione ucraina si prenda qualche parolaccia da Trump o l’invito ad alzarsi e andarsene. Aver ribadito il nostro appoggio all’Ucraina ci fa onore, ma nient’altro che questo. È di tutta evidenza che l’America neomonroniana si fa gli affari suoi o crede di farseli. Ma può essere che dopo il caso ucraino il rimescolamento delle cose nel mondo prenda una piega nuova, in cui noi Europa se riusciamo a venire a capo di quanto succede, possiamo recuperare il ruolo che ci spetta per tradizione. Essere preparati non a fare la guerra, ma a scoraggiare gli altri dal farla a noi, è decisivo. Perciò, armiamoci. Oggi il vento sembra andare nella direzione degli avventurieri e dei masnadieri, ma si sa come vanno a finire gli affari tra di loro; e forse è questo che bisogna temere di più. Senza voler mettere in conto che Trump non è eterno e se è stato facile dall’oggi al domani rovesciare tutto, altrettanto può accadere che si possa recuperare quel tutto, che ha garantito nel mondo pace e benessere per ottant’anni.

sabato 15 marzo 2025

Il riarmo europeo e chi va in guerra

Armiamoci e partite non è più una barzelletta di Totò, è il modo di pensare di certi pacifisti italiani che si sono espressi contro il riarmo europeo deciso dall’Europa. Intendiamoci, la gente, che vota e determina governi, non ama sentir parlare di armi e di guerre, oggi più di ieri. Allora per i politici è come lisciarsi l’asso a tressette andandole incontro. La gente non vuole la guerra e noi le diciamo che siamo con lei. È il ragionamento che fanno i populistici del giorno, che sacrificano la responsabilità per la propaganda. Oggi, in Italia, il Movimento 5 Stelle ed altri sciolti di sinistra. Essi dicono sì alla difesa europea ma a combattere devono andare gli altri. Gli altri, chi? Il riarmo, che molto opportunamente si sarebbe potuto chiamare difesa, proprio per non spaventare nessuno, si sarebbe dovuto fare da tempo. La Nato ha sempre sollecitato i governi europei a destinare il 3% del Pil alla difesa, ma vuoi per impellenti altre necessità vuoi per crisi economiche susseguitesi si è sempre rimandato il problema. Oggi ci troviamo in piena crisi mondiale con due guerre, Ucraina e Israele, che non sembrano finire domani mattina. Alla presidenza degli Stati Uniti d’America, dunque del paese guida della Nato, c’è un personaggio che definire strano è un eufemismo. Ha detto chiaro e tondo che la pacchia per noi europei è finita, che gli Stati Uniti non sono più propensi a difendere nessuno se non il loro paese e che tutto quel che fanno è mirato a questo. Sappiamo, inoltre, che le guerre oggi non hanno un campo di battaglia, che tutto lo spazio di un paese in guerra può essere colpito da distanze inimmaginabili. Per la verità lo sappiamo già dall’ultima guerra mondiale. Le guerre non si devono fare. La guerra d’Ucraina non si doveva fare. Ma intanto c’è stato un paese, la Russia, che ha voluto farsi le proprie ragioni invadendo l’Ucraina. Non aveva proprio nessun altro modo per farsi le sue ragioni? È evidente che essa ha voluto, invadendo l’Ucraina, mandare un messaggio all’Occidente. E l’Occidente ha risposto, ha aiutato il paese aggredito a difendersi. Ovvio che l’Ucraina, con la sua aspirazione ad entrare in Europa e nella Nato, è anche un affar nostro. Difficile dire che non c’entriamo, anche se i nuovi padroni del mondo, Russia e America, sembrano dirci, state in un cantuccio accucciati e in silenzio. Purtuttavia le cose non stanno come immaginano Putin e Trump. L’Europa ha voluto decidere di riarmarsi non per aggredire ma per difendersi nell’eventualità di un’aggressione. Il riarmo ha una funzione di deterrenza. È questo che i cosiddetti pacifisti non vogliono capire e per un misero piatto di lenticchie si sporcano la faccia con slogan qualunquistici: no alla guerra, come se quelli che hanno detto sì al riarmo la volessero. Risibile poi il pauperismo di Conte, che non si stanca di dire che i soldi per le armi andrebbero spesi per pagare le bollette della povera gente, quella che non arriva alla fine del mese e via piagnucolando. Ci sono momenti in cui si spende per mangiare e momenti in cui si spende per la pelle, fermo restando che la guerra è lontanissima dalla mente di chi pure ha detto sì al riarmo. Si dice che non tutti i mali vengono per nuocere. Le minacce di Trump per un verso e di Putin per un altro hanno svegliato l’Europa. Riarmandosi, non solo avverte di non essere scoperta, ma reclama un ruolo nella soluzione dei problemi che sono sul tappeto. Trump pensava che da un giorno all’altro avrebbe risolto tutti i problemi. Ha dovuto già accorgersi che le sue minacce e alcuni suoi improvvidi provvedimenti stanno creando seri problemi nel suo paese, mentre fuori la guerra in Ucraina continua con bombardamenti sempre più intensi perché Putin vuole arrivare al tavolo della pace senza niente aver da perdere. Il riarmo europeo sicuramente comporterà dei sacrifici, che è inutile dire graveranno sulle fasce più deboli della società, ma è inutile invocare una situazione che purtroppo non c’è. Quello che si è determinato è pura realtà, che va guardata in faccia, senza eccessivi allarmismi o colpevolizzazioni degli avversari politici. Non è un bel momento, questo lo si vede e lo si sente. Si spera tuttavia che le difficoltà che Trump sta incontrando a risolvere i problemi che diceva che avrebbe risolto dall’oggi al domani lo facciano rinsavire. Lo facciano soprattutto mutare atteggiamento nei confronti dell’Europa, recuperando un’alleanza che sembrava essere nella natura delle cose.

sabato 8 marzo 2025

Santanché e le dimissioni

Da quando si è insediato, il governo Meloni ha perso due sottosegretari e un ministro, per dimissioni: la Montaruli, Sgarbi e Sangiuliano, ognuno per motivi diversi o per opportunità diverse. Per l’opposizione avrebbero dovuto lasciare l’incarico almeno altri quattro, tre ministri (Santanché, Piantedosi e Nordio) e un sottosegretario (Delmastro), anche qui per ragioni diverse. Spero di non essermi sbagliato nel conteggio. Quella delle dimissioni è una questione che in Italia non trova un equilibrio. Prendiamo atto che non siamo calvinisti, i quali identificano la salvezza o la perdizione col successo o con l’insuccesso nella vita. Se fossimo calvinisti, non ci sarebbe problema alcuno. Si è incappati in un incidente di percorso esistenziale? Bene, ci si regoli di conseguenza, senza tante storie. Perché aggiungere incidente ad incidente mentendo, negando, occultando? In Germania, alcuni anni fa, un ministro si dimise perché fu accusato di aver copiato in parte la sua tesi di laurea. In Italia una cosa del genere farebbe ridere i giudici stessi. In Italia, si sa, la morale cattolica, le strade del Signore e via…vogliamoci bene. Un uomo delle istituzioni, messo a processo e dunque prima ancora di essere condannato o assolto, dovrebbe fare un esame di coscienza. Lui solo sa se è colpevole o innocente. Gli altri possono solo presumerlo. Chi dovrebbe dimettersi e non si dimette si appella al fatto che il più delle volte l’accusato finisce per essere assolto perché il fatto non sussiste, magari dopo un po’ di anni di attese e di processi, fino al terzo grado. Questa giustificazione non è del tutto peregrina, almeno non lo è in Italia, dove non c’è la cultura delle dimissioni e non c’è una credibile cultura delle istituzioni. Ma si sa che la verità processuale non sempre corrisponde alla verità storica, anche per la formula “in dubio pro reo” che favorisce gli accusati dei quali non si riesce a provare l’accusa. E siccome non si assolve più per insufficienza di prove ecco che esce che il fatto non sussiste. Ma torniamo a dire che nessuno sa meglio dell’accusato se è colpevole o innocente. Se è colpevole e non si dimette e viene condannato dopo un po’ di anni con sentenza passata in giudicato ha praticamente continuato per tutti quegli anni ad esercitare il compito di ministro o sottosegretario in condizione indebita, salvo che nel frattempo non fosse cambiato governo. Se il ministro è accusato di furto o frode ai danni dello Stato, non si dimette e continua a fare il ministro, una volta condannato dimostra che per quegli anni è stato un ladro o un furfante a rappresentare le istituzioni. Questo può succedere. Allora sarebbe il caso, lo dico da ruminante della politica non da giurista, che non mi compete, quel ministro, che, pur sapendosi colpevole, ha continuato a fare il ministro dovrebbe essere condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e ad una pena pecuniaria proporzionata al danno arrecato all’immagine dello Stato e della Nazione. Troppo comodo non dimettersi e sfruttare le lungaggini della giustizia per rimanere di fatto in un posto di alto prestigio morale e di importante funzione pubblica come se nulla fosse. Dio non voglia che tra qualche anno la Santanchè venga definitivamente condannata. Che condanna sarebbe mai la sua se nel frattempo ha continuato a fare la ministra, a vantare di essere ricca, di fare collezione di borse di lusso, di camminare su tacchi dodici e via di seguito? Intendiamoci, difendersi è un diritto. Non è però un diritto offendere le istituzioni e per esse il popolo composto anche da persone che non possono vantare le cose della Santanchè. Nel caso in specie c’è anche un risvolto politico particolarmente importante. In politica si è relativamente liberi di fare o di non fare qualcosa, non si è mai liberi in assoluto. Quale diritto avrebbe la Santanché di trascinare nelle sue vicende private – si consideri che le accuse che le sono rivolte risalgono a prima che diventasse ministra – una comunità umana costituita da milioni di persone? Sembrerebbe paradossale che ci si augurasse che la ministra ricca sia anche innocente – avete capito bene – e che tutte le accuse rivoltele siano cattiverie di giustizialisti vampiri mai sazi; ma purtroppo non è così. Speriamo che sia innocente non tanto perché vige la presunzione di innocenza quanto per il fatto, non di poco conto, che se dovesse essere condannata, lei e tutti i suoi amici di partito dovrebbero, come dice un’espressione popolare, cacarsi la faccia.

sabato 1 marzo 2025

Trump come Brenno: guai ai vinti!

Quel che è accaduto il 28 febbraio 2025 nello studio ovale della Casa Bianca a Washington merita di essere memorabile. Un Presidente che zittisce l’ospite, presidente di un altro paese, lo caccia via e gli dice di tornare quando si sente preparato, è fuori dalla più incredibile eventualità. È una bolla di acqua ghiacciata caduta sul mondo. Una volta ho assistito ad una scena del genere. Un professore all’Università invitò uno studente in sede di esami ad andarsene e a ritornare quando si fosse sentito preparato. Né più né meno. Ma Trump è andato oltre, si è comportato come Brenno, il re dei Galli, che, dopo aver conquistato Roma chiese un riscatto in oro e ai poveri romani che si erano accorti che la bilancia era truccata disse di tacere e sbattendo la sua spada su uno dei due piatti urlò: guai ai vinti! Il presidente ucraino Zeleski non è Marco Furio Camillo e perciò non ha detto l’Ucraina si conquista col ferro non con l’oro. Però il presidente ucraino è stato fermo nelle sue argomentazioni, ha tenuto duro e ha predetto che prima o poi gli americani si accorgeranno dei guai che li attendono se continueranno a credere nella Russia. Probabile che ad irritare Trump siano state proprio queste parole, considerate velleitarie e irrispettose. Che tali però non erano, se le intenzioni erano quelle di mettere in guardia l’alleato protettore dai pericoli di un nemico comune. Ma ad uno come Trump, che si comporta come un barbaro avvinazzato, non si può mettere in dubbio la sua strapotenza, la sua posizione di padreterno in terra, è sembrata lesa maestà. E poi, quale nemico comune? Trump ha rivendicato la sua terzietà, che lo rende, a suo dire, più avvantaggiato nelle trattative. Ora, dopo il patatrac, cosa accadrà? Noi europei, con qualche piccola eccezione, l’ungherese Orban si è detto filorusso, abbiamo ribadito di stare con Zelenski, continuando nella nostra opera di aiuti in tutti i modi per arrivare ad una pace giusta, che non può essere identificabile con la sconfitta dell’Ucraina, ma con un accordo che tenga conto degli interessi delle parti in causa. Ma non possiamo ignorare o far finta di non capire che la sparata trumpiana non è stata solo contro Zelenski ma contro tutta l’Europa. Siamo in presenza di qualcosa di improvviso che ha spiazzato tutti. Del resto che Trump ce l’abbia pure con l’Europa è notorio, l’accusa è di aver stravivacchiato a spese degli Stati Uniti d’America. L’aumento dei dazi sulle merci provenienti dall’Europa dimostra quanto Trump sia convinto delle sue elucubrazioni. Il Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, data come particolarmente vicina a Trump, da considerarla addirittura pontiera tra Usa ed Europa, si trova in imbarazzo, perché se è vero che finora c’è stato una sorta di idillio col presidente americano, è anche vero che è stata fin dall’inizio dell’invasione ucraina la più convinta e fervida sostenitrice del popolo ucraino. Le opposizioni in Italia battono su questo punto; ma in Italia si capisce, appena gli oppositori vedono la possibilità di mettere in difficoltà la premier italiana si lanciano come avvoltoi sulla preda. Veniamo ai fatti. Quali carte in concreto ha in mano l’Europa per risolvere il caso ucraino? Non ne ha, se le avesse avute se le sarebbe giocate prima. Ora addirittura la situazione è peggiorata. Purtroppo la sua scelta fin dall’inizio era di far causa comune e compatta con tutto l’Occidente. Ora che l’Occidente è diviso l’Europa si trova in acque difficili e il caso ucraino le rende ancor più torbide e innavigabili. L’Europa non è in grado di far giungere i due Stati in guerra ad una pace giusta. Gli Stati Uniti certamente possono di più, possono indurre la Russia, in cambio di consistenti guadagni, a mettere fine alla guerra. Ma sarà una pace giusta per l’Ucraina quella ottenuta con l’intesa russo-americana? E l’Europa l’accetterà? L’Europa, per quel che è stato prima e dopo l’invasione, fa tutt’uno con gli interessi dell’Ucraina. Difficile dire che cosa avrà alla fine l’Europa da tutta la vicenda. Poteva saperlo nella situazione pretrumpiana, non oggi più. Ma proprio nell’America pretrumpiana l’Europa ha ragione oggi di sperare. Non è possibile che in America non conti nessuno all’infuori del Presidente. Ci sono forze tradizionalmente filoeuropeistiche che potrebbero agire e costringere Trump a più miti consigli. Trump ha rimproverato a Zelenski di voler giocare con la terza guerra mondiale, ma se qui non cambia l’atteggiamento americano si andrà molto vicino; e Dio non voglia che si arrivi proprio dove non si deve mai arrivare.