sabato 16 agosto 2025
Con la morte sul collo
È proprio vero, la morte ciascuno di noi ce l’ha sul collo; e quando meno ce l’aspettiamo ecco che ci rovina addosso con tutta la sua fatalità. Una povera cristiana scende dal tram per avviarsi verso casa e viene travolta e uccisa da un’auto a bordo della quale ci sono quattro ragazzini. Il più grande, che la guida, ha tredici anni e ha la prontezza di dire che non gli sono funzionati i freni. Sono tutti dei rom al di sotto dei quattordici anni, per la legge italiana non sono imputabili. Dunque, per quella povera cristiana è come se gli fosse caduto addosso la scheggia di un meteorite.
Loro, i ragazzini, non sono imputabili! E i loro genitori? Le loro famiglie? Le autorità cittadine che comunque nulla hanno fatto nei tempi precedenti per evitare la tragedia, ritenendo presumibile che questa gente era lì accampata da tempo? Niente, i ragazzini non sono imputabili e buonanotte al secchio. Ci sono solo dei piccoli adempimenti da fare per il loro affidamento a qualche struttura. Poi, più niente. Quando la società si dimostra così impotente vuol dire che si è in presenza di un dissesto ideologico grave. Se ne prende atto e basta. Ma è proprio così?
Il Ministro Salvini si è permesso di sollevare la questione rom ed è stato subito zittito dal sindaco della città, che nei confronti di questa gente evidentemente ha un rapporto di buona vicinanza, direi di generosa tolleranza. Il problema, che tale non è per tutti, si pone ogni volta che accade una disgrazia, un incidente, una questione. Si parla per qualche giorno, poi si tace fino a nuova disgrazia. Come se tutto fosse fatale, inevitabile. A chi càpita, càpita. Un disgraziato, più disgraziato di altri c’è sempre.
Ma è di tutta evidenza che se nulla si poteva fare nell’immediato per evitare la disgrazia di quella donna, tanto, tantissimo si sarebbe potuto fare prima. Quei quattro ragazzini, le loro mamme, i loro papà non dovevano stare lì ad abitare sub divo come animali in un bosco. E infatti che fanno quei ragazzini, lasciati liberi di muoversi a piacimento? Quello che gli càpita. Rubano una macchina. Mica il borsello lasciato incustodito da una signora distratta! La mettono in moto e iniziano a scorrazzare per la città fino a quando non perdono il controllo del mezzo e…si salvi chi può! Perché, se è vero che i ragazzini non sono imputabili, l’età per capire come si ruba una macchina, si mette in moto e via, altro che se lo sanno! La delinquenza minorile ormai è da anni che ha abbassato la soglia. Sempre più ragazzini aggrediscono persone anziane e indifese nei parchi pubblici, per strada; si affrontano in bande, compiono gesta vandaliche ai danni di cose pubbliche e private. Fanno quello che prima facevano i ragazzi di quindici e sedici anni. Ma la soglia dell’imputabilità è rimasta sempre quella dei quattordici anni. Segno di umanità e di civiltà giuridica. Se no, che altro?
Qualche anno fa sempre il Ministro Salvini si fece riprendere a bordo di una pala meccanica mentre smuoveva tende e accampamenti rom. A che cosa è servito se non a fare propaganda elettorale? Dove amministra la destra accadono esattamente le stesse cose di dove amministra la sinistra. Le leggi son…come diceva Dante. Non è questione di destra o di sinistra, ma di “italianità”, di modo di intendere i problemi e di non risolverli. Spesso mi chiedo come mai in una qualsiasi località della Svizzera, dove mi è capitato di vivere per qualche anno, cose del genere non potrebbero mai accadere. Lì, in Svizzera, se ti fermi con un camper per più di un quarto d’ora in un punto qualsiasi del territorio sei raggiunto dalla polizia, che controlla e prende i provvedimenti del caso. Campi nomadi, raggruppamenti rom in quel paese fuori controllo non se ne potrebbero mai verificare. Gruppi di ragazzini che sciamano per strada, nemmeno a immaginarseli! Perché in Italia non è possibile quel che è possibilissimo in Svizzera? Sono forse gli svizzeri degli odiosi disumani? Amano vivere nella dittatura più ferrea? No, semplicemente in ogni cittadino svizzero c’è un poliziotto che interviene puntualmente all’interno e all’esterno di sé perché la legge non venga infranta, disattesa, ignorata. In Svizzera il cittadino ha sempre la mano destra pronta a colpire la mano sinistra se questa non dovesse comportarsi a modo. Altro che non sappia la mano destra quel che fa la sinistra!
In Italia siamo nelle mani di Dio con quel che significa l’espressione, ovvero del caso, della fortuna. L’episodio triste di quella povera cristiana, morta senza sapere perché, fa riflettere sulla impossibilità, tutta italiana, di coniugare l’ordine con la libertà.
sabato 9 agosto 2025
Più amor di patria, via!
Presto i nostri bambini vedranno nei teatrini dei parchi pubblici giudici e politici che si randellano a vicenda come paladini e saraceni. Sono diventati maschere fisse dello spettacolo pubblico. Colpa bipartisan. In Italia la giustizia fa sempre politica: le cose sono come le percepisci. Il caso Almasri torna impetuoso alla ribalta. Con le solite ricadute giustizialpolitiche. Da una parte i giudici, che fanno finta di non sapere che coi loro atti la politica la fanno, eccome!, dall’altra i politici, che trovano nelle loro riforme sgradite ai giudici la ragione dei loro attacchi.
La vicenda del generale libico, che se ne andava in giro per l’Europa ad assistere alle partite di calcio delle squadre più rinomate, è nota. Dall’Italia all’Inghilterra, dall’Inghilterra al Belgio, dal Belgio in Germania, dalla Germania in Italia; più volte fermato e rilasciato. Ma quando fu in Italia, la Corte Penale Internazionale dell’Aja emise contro di lui un mandato di cattura per reati gravissimi. Non prima, si badi bene, ma in Italia, a Torino! Il ricercato, che ha il suo spazio di operatività sulle coste libiche coi migranti, è un pericoloso soggetto, con un suo personale seguito. Lo vedemmo appena sceso dall’aereo che lo aveva riportato in Libia essere accolto con giubilo dai suoi fedeli. Conveniva impacchettarlo e portarlo via, nella sua terra, a prescindere se ci fossero o meno dei ricatti libici. Consegnarlo all’Aja significava esporre i nostri connazionali che si trovano in Libia per lavoro a gravi ritorsioni. C’è poco da fare con questa gente. Opera fuori da ogni legalità. Lo sanno i giudici italiani. Lo sanno i politici italiani dell’opposizione, che chissà cosa avrebbero pagato per vedere il governo italiano ricattato da bande di delinquenti libici sequestratori di nostri connazionali! Sia chiaro! È cosa vecchia da noi, pur di mettere in difficoltà l’avversario non ci si fa scrupolo di niente, figurarsi della …patria.
Fece bene il governo italiano a riportarlo in Libia senza tanti indugi? A ragionare col buon senso, sì: non poteva fare altro. Ma, a cavillare in termini giuridici e a speculare in termini politici, no: andava consegnato ai giudici della Corte Penale Internazionale. Poi per il nostro governo sarebbero state cose amare. E questo avrebbe fatto brindare al successo giudici e politici di opposizione. Il cinismo regna in politica in ogni riposto. È inutile essere ipocriti e negarlo.
C’è del marcio nell’affare Almasri, comunque lo si voglia vedere. Primo, perché la Corte Penale dell’Aja non emise prima il mandato di cattura? Secondo, perché più volte fermato in Inghilterra e sul continente, Almasri non fu trattenuto in attesa delle disposizioni della Corte Penale? È di tutta evidenza che il caso ebbe un inizio e un percorso peggio che dire alla buona. Ognuno cercò di liberarsi del soggetto come di qualcosa di tossico. E doveva essere proprio l’Italia a consegnare alla Corte Penale il ricercato per una caterva di reati, uno peggio dell’altro? Già, ci doveva essere un fesso col cerino in mano.
Ora, bene ha fatto la Meloni ad assumersi le responsabilità di quanto operato dai suoi ministri nel caso Almasri, un’occasione d’oro per infliggere al “Conte qualsiasi” un colpo di quelli che lasciano tramortiti e a tutta la compagnia cantante. Finirà che il Parlamento rifiuterà l’autorizzazione a procedere contro i ministri Nordio, Piantedosi e il sottosegretario Mantovano e le opposizioni probabilmente ricorreranno alla Corte Penale per denunciare il comportamento del governo.
Ma qui ci si dimentica della gente, che è poi ciò che conta di più, nei sondaggi e nei voti. Che cosa pensa della vicenda? Sta col governo o coi giudici; col governo o coi suoi oppositori? La gente ha capito perfettamente la posta in gioco, anche perché nessuno la nasconde. La gente sta dalla parte di chi ha agito per il bene degli italiani. Se avessimo consegnato il generale libico alla Corte Penale dell’Aja avremmo avuto sicuramente dei problemi piuttosto importanti coi libici; avremmo esposto i nostri concittadini a rappresaglie e ritorsioni. In passato i nostri governi non si sono comportati diversamente. Se pure, perciò, l’intera operazione lascia non pochi punti oscuri è evidente che il governo ha agito per evitare il peggio. E chi può condannare chi agisce in siffatta maniera? I sofisti che spaccano il capello in quattro e i politici interessati a creare problemi al governo sicuramente non la finiranno qui. Gli altri, la gente comune, pragmatica e lieta di aver evitato una situazione complicata per il proprio Paese, penseranno che il governo abbia fatto bene. Probabilmente non è la cosa più bella, intendiamoci, ma è sicuramente la più utile e la più capibile dagli italiani.
sabato 2 agosto 2025
Ma governare si può in questo paese?
Ancora una volta dei giudici, questa volta della Corte di Giustizia Europea, sono intervenuti per dire che è legittimo che sia un giudice a stabilire se un Paese è sicuro o meno. Per loro è sicuro quel Paese in cui non ci sono guerre, in cui nessuno corre il rischio di subire discriminazione e persecuzione. Stando così le cose e conoscendo quanto accade nel mondo, nessun Paese è sicuro “in assoluto”, compresi gli Stati Uniti d’America, compresa l’Italia. In ogni parte del mondo si può dimostrare che ci sono dei perseguitati, che esistono condizioni di pericolo. Sicché quanti ne vengono vengono in Italia di migranti, fossero pure milioni, dovrebbero essere ben accolti perché provenienti da paesi “insicuri”. E a dirlo non è il Governo, a cui spetta il dovere di assumersi ogni responsabilità dell’azione politica ma il primo giudice che si alza la mattina e pontifica su quel che quel giorno più gli aggrada. Sicché, mentre il governo è responsabile di quel che accade nel nostro Paese, a decidere se una cosa si deve o non si deve fare, sono altri, in questo caso i giudici. I quali, forti dell’obbligarietà dell’azione penale, possono intervenire dove vogliono o ritengono opportuno.
Alla pronuncia della Corte Europea ha gioito anche l’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei per i migranti, il quale è andato oltre con affermazioni indegne di un prelato. A suo dire il governo italiano in maniera subdola mette in essere degli atti illegittimi nei confronti di migranti ritenuti non in regola, in riferimento al Cpr di Albania. L’alto rappresentante della Chiesa è del parere che qualunque migrante, per il fatto di essere un migrante, viene da un paese in cui non si sente al sicuro.
Altrettanto forte è giunta la replica del Governo. La Presidente Meloni ha risposto a muso duro sia alla Corte di Giustizia, accusata di competenze indebite, sia all’arcivescovo Perego. Anche i leader della maggioranza governativa, Salvini e Tajani, hanno risposto con determinazione, ribadendo che il Governo continuerà ad andare avanti con le sue politiche per combattere i trafficanti di esseri umani e per difendere i confini italiani.
Quel che ancora una volta emerge da questo intrecciarsi di competenze è che ormai non si può più governare. Qualsiasi atto, a giusta o ingiusta ragione, capziosamente o razionalmente, viene impugnato dalle opposizioni politiche, dalla magistratura, dalla Chiesa, dai sindacati, dagli oppositori di strada, pur di impedire al Governo di governare. Viene di ricordare quanto disse Mussolini negli ultimi tempi della Repubblica di Salò: in Italia non è né facile né difficile governare, è inutile. Ma forse lui pensava ancora da dittatore, avendo potuto governare per vent’anni. Oggi governare è semplicemente impossibile. Hai a che fare con una caterva di nemici, i quali se pure è legittimo che ti combattano, non è accettabile che per farlo vadano contro gli interessi del comune Paese di appartenenza. Vedi con quanta iattanza e soddisfazione i vari Schlein, Conte, Renzi e compagni parlano del miliardo di euro speso dal governo italiano per costruire il Cpr in Albania, pur fingendo di dolersene; sarebbero doppiamente “contenti” se i miliardi spesi fossero stati due. È la democrazia, bellezza!
È pur vero che molto spesso a legarsi le mani sono gli stessi governanti, i quali aderiscono ad astratte iniziative internazionali, senza considerare tutte le conseguenze. Vedi la Corte Penale Internazionale dell’Aja che ha condannato alcuni uomini politici, come Putin e Netanyahu, sui quali pesa un mandato di cattura internazionale. Sicché se oggi si decidesse di fare in Italia un incontro per la pace tra Russia e Ucraina non sarebbbe possibile per l’obbligo che scatterebbe di arrestare Putin. Un inghippo del genere è già successo con il Generale libico Almasri, che condannato dall’Aja e arrestato a Torino, invece di essere consegnato alla Corte Penale dell’Aja per i dovuti provvedimenti, fu messo su un aereo di Stato e riportato in Libia. Un chiaro atto eversivo, che si spiega con la ragion di Stato, ovvero per evitare che, consegnando Almasri all’Aja, ci fossero ritorsioni nei confronti dei nostri connazionali che lavorano in Libia. Purtroppo con molta leggerezza i politici si legano le mani da sé con lacci e lacciuoli, che poi devono o spezzare, contravvenendo alle convenzioni, o rispettare rimanendo fermi nell’inazione. Politici più lungimiranti, proprio per non crearsi problemi, non aderiscono a simili istituzioni internazionali, che sono buone e nobili nelle intenzioni ma complicate nella fattualità.
sabato 26 luglio 2025
Tra genitori e figli ormai c'è il vuoto
Le trasformazioni sociali sono processi lunghi e lenti, all’inizio non fanno mai pensare agli sviluppi più estremi. Oggi noi viviamo le fasi avanzate di un processo che vede lo stravolgimento dell’istituto più antico, millenario, quello della famiglia. È crisi dell’insieme e dei singoli membri.
Oggi i giovani, in età genitoriale, non vogliono fare figli, si rifiutano di essere padri. Per un altro verso i giovani, nella loro condizione di figli, dei genitori e della famiglia non ne vogliono sapere. Giunti all’età di essere indipendenti se ne vanno, prendono strade che li portano lontano. Insomma genitori e figli non sono più gli uni continuatori degli altri; non vogliono far parte della stessa catena. I primi non creando figli, i secondi, quando ci sono, allontanandosi dai genitori. Si vedono gli effetti: calo delle nascite per un verso, fuga dei giovani per un altro. La conseguenza è lo spopolamento. Questo lo registrano anche fonti istituzionali come l’Istat.
Il fenomeno è fondamentalmente del Sud, categoria geo-antropologica “dannata”. Ma se è vero che non è facile realizzarsi nel Sud, ci sono anche casi comodi e scontati, che vengono rifiutati. Ci sono famiglie che hanno raggiunto un grado di benessere importante, con attività commerciali e industriali ben avviate, create e condotte con spirito weberiano, che, data la strada diversa intrapresa dai figli, sono costrette a chiudere o a vendere. Molti posti di lavoro si perdono così. Molti antichi mestieri spariscono così.
Si dice che è normale che uno cerchi condizioni di vita migliori. La migrazione lo dimostra, ad ogni livello. Ma spesso i tanti giovani che se ne vanno e lasciano la famiglia non raggiungono che risultati modesti, inferiori che se fossero rimasti a casa. L’agognato stipendio mensile, facendo l’impiegato, è niente rispetto a quello che l’azienda di famiglia avrebbe potuto garantire loro. Questo sta a dimostrare che non è neppure questione di convenienza, ma di rifiuto culturale. I giovani che se ne vanno lo fanno perché non vogliono fastidi dai genitori che invecchiano. I genitori che non vogliono figli in realtà non vogliono fastidi per crescerli e portarli fino all’età dell’indipendenza dalla famiglia per poi vederseli sparire sul più bello. Il problema che si sta delineando è ben più grave dei soliti banali conflitti generazionali di sempre. Qui, alla base, da una parte e dall’altra, c’è un rifiuto radicale. Di fronte a quanto mostrano oggi i figli, insensibili e irriconoscenti nei confronti della famiglia, i giovani sposi si guardano bene dal mettere al mondo figli ingrati, che proprio quando c’è più bisogno di loro non ci sono, sono altrove, a condurre una vita magari peggiore che se fossero rimasti “a casa”. Sono le conseguenze della frantumazione famigliare. La famiglia non c’è più, sparita e con essa l’etica famigliare, le consuetudini, le tradizioni, i ruoli, la casa. L’ambita casa! La sacra casa! A tanto si è giunti per il progressivo smantellamento di una cultura millenaria follemente aggredita dal modernismo degli anni Sessanta e Settanta. L’ultimo bombardamento la famiglia l’ha ricevuto con l’attacco al patriarcato. Improvvisamente è stato tirato fuori quest’altro pilastro per colpirlo furiosamente in quanto base del tradizionale impianto famigliare.
S’incominciò con le coppie di fatto: giovani che hanno preferito mettersi insieme piuttosto che sposarsi regolarmente. Il marito di una volta è diventato il compagno. Lo Stato ha fatto la sua parte legalizzando i mutamenti provenienti dalla società. Un dato costante di queste unioni è la mancanza di figli. Un altro fenomeno che ha intaccato la famiglia è stato la facilitazione del divorzio, che ha interessato un numero sempre crescente di giovani, i cui matrimoni durano a volte pochissimo. Non sembra esserci rimedio. Un’alternativa alla famiglia tradizionale che garantiva una continuità senza soluzione è la cosiddetta famiglia “queer” (la parola significa diverso ma anche ridicolo), così come delineata dalla scrittrice sarda Michela Murgia, una famiglia basata non sui ruoli derivanti dal matrimonio ma sulla spontanea cura. Non più ruoli ma assistenza reciproca. Va da sé che di figli, in un disordine simile, nessuno si sogna di farne; è una “famiglia” dove nessuno ha un ruolo specifico, ma ognuno è “tutto” per l’altro. Per trovare qualcosa di simile nella storia bisogna andare al medioevo, quando singole persone si riunivano in comunità e chiedevano al papa la concessione della regola. Erano i frati, dai quali sono nati gli ordini religiosi. Un nuovo monachesimo ci attende, per di più senza “regola”.
sabato 19 luglio 2025
I mille giorni di Giorgia
In questa metà di luglio, giorno più giorno meno, Giorgia Meloni “celebra” i suoi mille giorni di governo. Spesso noi uomini ci inventiamo le datazioni un po’ per comodità di storici e un po’ per vanità di politici. All’evento la Presidente del Consiglio ha dedicato un’intervista su RaiUno il 17 luglio. Ha detto delle cose ovvie ma non inutili, ha ricordato i punti salienti della sua opera di governo. Fra tutti ha sottolineato il calo di sbarchi di migranti sulle nostre coste, la creazione di un milione di posti di lavoro e l’avvio di numerose riforme, fra cui il premierato e la giustizia. Altri della sua area hanno voluto ricordare un aspetto importante del suo ormai quasi triennio di governo: l’assoluta normalità. Chi temeva derive autoritarie o colpi si stato, manifestazioni di intolleranza e approcci duceschi ha dovuto una volta tanto tacere. Si spera che il silenzio diventi esso stesso normalità, mi riferisco al silenzio su immaginati e temuti slittamenti autoritari. Sarebbe un bel traguardo in questo paese in cui in occasione, l’anno scorso, del ricordo di Matteotti, c’era chi si avventurava in paragoni con la realtà odierna assolutamente capotici per non dire altro. Certo, c’è da capire. Quello della paura del fascismo è una bella carta da giocare nell’eterna partita della propaganda elettorale. Perderla, quella carta, s’impoverisce il mazzo e si è costretti a trovare nell’abilità del gioco le risorse per vincere le partite. Se si finisse di barare, sarebbe una crescita per tutti.
Non sono mancati, tuttavia, nel corso di questi mille giorni, tentativi di curvare verso interventi autoritari taluni scontri di manifestanti delle sinistre con le forze dell’ordine. Sono venuti fuori casi di scoperte di eventi privati in cui qualcuno si esibiva in saluti fascisti per sostenere che “questi”, i fu missini, non cambiano mai, sono sempre gli stessi maledetti fascisti che dicono di non avere niente a che fare col fascismo politico. Perfino per il Decreto sicurezza, di recente approvato, si è cercato di scomodare prospettive liberticide, cui non sono stati estranei taluni magistrati.
Quel che è stato dirimente nella messa da parte di ogni seria insistenza sul fascismo è stato il grande successo della Meloni in tutto il mondo. Già all’inizio del suo governo si capì che era sbagliato insistere su questo tipo di critica perché era come dire al mondo che l’Italia era un paese fascista. Man mano che la Meloni veniva accolta in tutto il mondo da capi di stato e di governo con simpatia e rispetto sarebbe stato suicidario insistere su dei tasti assolutamenti sconnessi dalla realtà. In un mondo dilaniato da una guerra mondiale, a pezzi la chiamava Francesco, con efferatezze indicibili in Ucraina e in Israele, chi potrebbe dar credito che in Italia al governo ci sono i fascisti? Forse siamo stati noi, in Italia, gli ultimi nel mondo a renderci conto che era infantile gridare all’orco della favola. L’unico motivo di una qualche preoccupazione è stato il caso del Generale Vannacci, il quale peraltro è l’unico nel centrodestra che non si preoccupa di ostentare parole e modi richiamanti il Ventennio. Ma proprio per l’ex Generale della Folgore è più lo sfottò per le sue uscite da parte delle opposizioni che un autentico sdegno, come a rendersi conto che su certe cose insistere è ridicolo.
Tutte rose e fiori, allora, i mille giorni di Giorgia? Sarebbe sciocco pensarlo, anche se il dato che rende il governo Meloni saldo in sella non è nel governo è fuori ed è nelle opposizioni che sono ben lontane dal costituire una alternativa possibile e credibile. Si potrebbe dire che la vera forza di Meloni sia la mancanza di un avversario. La temuta deriva meloniana di Calenda, peraltro, e il passaggio di una consigliera comunale romana dal Pd a FdI fanno pensare a quel fenomeno tipicamente italiano dell’andare in soccorso del vincitore, che incomincia a manifestarsi. Certo, non è il caso per nessuno di mettersi a dormire sugli allori. Anche il centrodestra subisce la forza internazionale della Meloni e tacita fin dal nascere ogni polemica ed ogni dissenso. Conosciamo la situazione politica italiana e sappiamo che non ci vuole molto perché cambi. I risultati delle prossime elezioni regionali potrebbero dare uno scossone importante alla maggioranza specialmente se si dovesse perdere il Veneto, come accadde qualche anno fa a Verona, dove con una maggioranza elettorale di centrodestra, spaccato, si finì per regalare al centrosinistra il Comune. Le rogne quotidiane, inoltre, non mancano mai. Nei decorsi mille giorni sono state contenute e nascoste. I giorni che verranno saranno sicuramente più impegnativi, come in genere sono le code.
sabato 5 luglio 2025
Lo storico segue la verità, il politico l'interesse
Se mi si chiedesse di professare pubblicamente l’antifascismo come è stato chiesto più volte e inutilmente a tanti esponenti di Fratelli d’Italia, mi rifiuterei, non già perché io mi consideri fascista, ossia perseguitore di una dittatura, cosa ben lontana dai miei pensieri, ma perché lo ritengo un non senso. Non si può essere contro una cosa che non c’è o che tu non puoi evitare se dovesse concretizzarsi. Come il Filosofo disse: non temo la morte perché quando c’è la morte non ci sono io e quando ci sono io non c’è la morte così per il fascismo: quando c’è il fascismo non c’è libertà e quando c’è libertà non c’è fascismo.
Avevo un amico molti anni fa, che era fascista a Taurisano, suo e mio paese natale; liberale a Firenze, dove studiava; comunista a Trento ai tempi di Sociologia. Sì, mi confessò, mi adeguo, non sopporto diversificarmi in qualsiasi ambiente capiti. Pensa, aggiunse, che nel palazzo dove abito sono quasi tutti interisti ed io che da sempre sono juventino mi dico interista per non dispiacere ai più. Questa tendenza oggi si chiama mainstream, una parola inglese che sostituisce banderuola, più modesta ma assai più convincente. Gli risposi che il suo comportamento era tipico del politico, che ovunque si trovi cerca di non dispiacere a nessuno, il suo scopo essendo il consenso degli altri. Non volli scomodare moti caratteriali per non fare il moralista della circostanza.
Ma è cosa che può essere giustificata? Dal punto di vista politico sì, dal punto di vista storico no. Chi ha una mentalità di storico sa che qualunque idea, condivisa o meno, può avere avuto nel tempo un periodo di consenso, di condivisione diffusa, può aver costituito la morale comune, indiscussa. Chi non era fascista durante il fascismo era un reprobo e si guardava dal dirsi antifascista; l’esatto opposto oggi. Prendiamo il patriarcato. Questo ha costituito per millenni la base su cui si reggeva la famiglia e ad altra dimensione la società, comunque una qualsiasi aggregazione sociale organizzata. Oggi il patriarcato è una “parolaccia”, da respingere, da condannare, di cui vergognarsi. Così per tantissime altre certezze considerate assolute per lunghi, lunghissimi o brevi periodi. Si pensi all’omosessualità, non moltissimi anni fa condizione da nascondere, da biasimare, oggi si ostenta in festa e il gay-pride si festeggia ogni anno in oceaniche partecipazioni in tutte le grandi città del mondo come, considerando le dovute differenze, una volta le processioni per le feste patronali, a cui partecipava tutto il paese, con le confraternite dietro labari e simboli.
Lo storico, che resta freddo e impassibile di fronte a certezze rovesciate, nuovi e vecchi idola, sa che tutto passa e qualche volta ripassa (corsi e ricorsi) e che non indignarsi per un’affermazione o una negazione da gran parte degli altri condivise, non è cinismo, è consapevolezza che così vanno le cose del mondo. Ciò che oggi è condannato, ieri era osannato; ciò che oggi è respinto potrà avere domani un ritorno. Con la sua visione ampia e articolata lo storico, privo di interessi nell’immediato, sembra giustificare tutto, perché tutto non è che il prodotto della storia. Lo storico non condanna, non approva, non respinge; cerca di capire e di spiegare. Per questa sua condizione spesso è biasimato, tacciato di insensibilità quando non addirittura di nascondere dietro lo storicismo sue convinzioni personali che non avrebbe il coraggio di professare apertamente. La condizione dello storico o del politico è un modo di porsi diffuso di fronte alle cose, per cui non si deve essere necessariamente storici o politici di professione per assumere determinate posizioni. In un qualsiasi individuo può essere prevalente la visione storica, in un altro quella politica.
Nei confronti del fascismo l’approccio diventa radicale e non si fanno sconti. Politico o storico che uno sia, deve condannarlo senza se e senza ma, come si dice. Chi non lo fa va incontro ad incomprensioni ambientali.
Sono di destra e ho nei confronti del fascismo un interesse puramente storicistico, convinto che politicamente esso potrebbe pure ritornare in forme diverse per quei fenomeni tipici della storia, la domanda che mi pongo e che pongo agli altri è: si può parlare di fatti accaduti senza il precipuo interesse di fare propaganda politica in un senso o nell’altro? La mia risposta è decisamente sì, non solo si può, ma si deve. Lo storico, nel cercare la verità storica, può incorrere in un errore involontario; il politico, invece, sa di affermare il falso, consapevolmente, per il proprio interesse.
sabato 28 giugno 2025
Il governo ha il favore degli italiani
Secondo gli ultimi sondaggi Ipsos di Nando Pagnoncelli le forze di governo hanno il favore degli italiani. Aumentano significativamente Fratelli d’Italia, Forza Italia e perfino la Lega, mentre calano quelle di opposizione, il Pd e il M5S (Corriere della Sera del 28 giugno 2025). Sembra quasi un rincorrersi a smentire. Ci sono reti televisive e giornali specializzati a dir male del governo e dei suoi rappresentanti. A sentirli, si pensa al disastro. Si distinguono «La 7», «la Repubblica», «Domani», veri organi del partito di opposizione. E, invece, appena possono dire la loro ecco che i cittadini danno risposte diverse. Intendiamoci, è tutto normale. L’opposizione fa il suo mestiere ed è giusto pure che abbia i suoi amplificatori. Ma, vivaddio, non si può a dispetto dei santi continuare a dir male non solo del paradiso ma perfino di un dignitoso purgatorio. Il governo, senza fare mirabilia, tira dignitosamente a campare, d’amore e d’accordo coi tradizionali alleati.
A che serve rendersi in-credibili, ovvero non credibili dall’elettorato? Lo dico agli oppositori. È vero che l’astensionismo continua a destare preoccupazione, ma questo non dipende né esclusivamente dal governo né dall’opposizione. È un fenomeno che ha molteplici cause. È ingenuo attribuirsi i voti degli astensionisti. Esistono e contano i voti espressi, gli altri sono fumo peraltro immaginato.
Prendiamo l’ultimo tema di dibattito: il riarmo dei paesi Nato. Nel loro vertice di alcuni giorni fa tutti i componenti ad eccezione della Spagna hanno convenuto che entro il 2035, fra dieci anni, dovranno raggiungere il 5% del Pil per le spese militari. Tradotto in soldoni l’Italia avrà da spendere per il cosiddetto riarmo 400mld. Una cifra enorme, che spaventa solo a sentirla. Sicuramente alla scadenza saranno in pochi i paesi che avranno raggiunto il traguardo del 5%. Ciò nonostante hanno detto tutti sì, più che fiduciosi, certi che di qui a dieci anni molta acqua sarà passata sotto i ponti europei e la situazione sarà completamente diversa. Ci sarà una ridefinizione dei termini. L’Italia, come gran parte degli altri paesi, ha detto sì al traguardo per necessità politica. Lo hanno fatto capire tutti che il sì era solo un dire: bene, in questo momento non possiamo che dire sì, e dentro di sé ognuno, poi sa solo Dio a chi dare i guai.
Le opposizioni, in Italia, incalzano la premier Meloni a dire dove trova i soldi per simile riarmo. Le chiedono cioè di elencare per filo e per segno da dove prenderà i soldi, dal momento che essa ha promesso che non sottrarrà un solo euro alla spesa sociale. Intanto quelle che passano per spese militari contengono una varietà di spese per la sicurezza. Non solo armi, dunque; ma vari sistemi di difesa, che con pistole e fucili non c’entrano nulla. Sicché sbagliano le opposizioni quando esemplificano la spesa nell’acquisto di armi, contrapponendo queste al miglioramento della sanità pubblica e di altre opere di pace. Vanno avanti per slogan, per facili esemplificazioni. Ipotizzano derive autoritarie senza nessuna giustificazione, così. Siccome in Ungheria Orban è contro le sfilate dei gay-pride e siccome Orban è amico della Meloni, la stessa cosa potrebbe accadere in Italia. Mentre tutti sanno ormai che in Italia i gay-pride sono diventati una consuetudine che non stupisce più nessuno, che possono piacere o non piacere ma nessuno si sogna di vietarli. L’ex saggio Bersani diventa rosso come un peperone quando paventa disastri incostituzionali o anticostituzionali, solo sulla base di un qualche politicamente scorretto. Mai, però, che dica su qualcosa di preciso c’è stata una difformità costituzionale. Tutte le paure si basano sul fatto che Fratelli d’Italia vengono da una cultura politica che non è la consueta dal 1945 in poi.
Quel che non piace alla gente di questa opposizione è il modo sommario di porsi contro il governo in ogni cosa, piccola o grande che sia. La gente ha una capacità intuitiva formidabile, arriva subito al cuore delle cose. Si è accorta e non da ora che le opposizioni non solo non riescono a fare unione e a porsi come un’alternativa possibile ma non riescono neppure a trovare delle problematiche credibili, facili e chiare. La gente coglie al volo le difficoltà in cui esse si aggirano, non sanno dire sì o no a problemi come i migranti e l’ordine pubblico. Agitano continuamente le difficoltà della sanità pubblica ma non riescono mai a suggerire qualcosa di concreto, non riescono ad avere un minimo di onestà intellettuale riconoscendo che essa viene da lontano e che non può essere ascritta al governo di Giorgia Meloni.
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