sabato 28 giugno 2025
Il governo ha il favore degli italiani
Secondo gli ultimi sondaggi Ipsos di Nando Pagnoncelli le forze di governo hanno il favore degli italiani. Aumentano significativamente Fratelli d’Italia, Forza Italia e perfino la Lega, mentre calano quelle di opposizione, il Pd e il M5S (Corriere della Sera del 28 giugno 2025). Sembra quasi un rincorrersi a smentire. Ci sono reti televisive e giornali specializzati a dir male del governo e dei suoi rappresentanti. A sentirli, si pensa al disastro. Si distinguono «La 7», «la Repubblica», «Domani», veri organi del partito di opposizione. E, invece, appena possono dire la loro ecco che i cittadini danno risposte diverse. Intendiamoci, è tutto normale. L’opposizione fa il suo mestiere ed è giusto pure che abbia i suoi amplificatori. Ma, vivaddio, non si può a dispetto dei santi continuare a dir male non solo del paradiso ma perfino di un dignitoso purgatorio. Il governo, senza fare mirabilia, tira dignitosamente a campare, d’amore e d’accordo coi tradizionali alleati.
A che serve rendersi in-credibili, ovvero non credibili dall’elettorato? Lo dico agli oppositori. È vero che l’astensionismo continua a destare preoccupazione, ma questo non dipende né esclusivamente dal governo né dall’opposizione. È un fenomeno che ha molteplici cause. È ingenuo attribuirsi i voti degli astensionisti. Esistono e contano i voti espressi, gli altri sono fumo peraltro immaginato.
Prendiamo l’ultimo tema di dibattito: il riarmo dei paesi Nato. Nel loro vertice di alcuni giorni fa tutti i componenti ad eccezione della Spagna hanno convenuto che entro il 2035, fra dieci anni, dovranno raggiungere il 5% del Pil per le spese militari. Tradotto in soldoni l’Italia avrà da spendere per il cosiddetto riarmo 400mld. Una cifra enorme, che spaventa solo a sentirla. Sicuramente alla scadenza saranno in pochi i paesi che avranno raggiunto il traguardo del 5%. Ciò nonostante hanno detto tutti sì, più che fiduciosi, certi che di qui a dieci anni molta acqua sarà passata sotto i ponti europei e la situazione sarà completamente diversa. Ci sarà una ridefinizione dei termini. L’Italia, come gran parte degli altri paesi, ha detto sì al traguardo per necessità politica. Lo hanno fatto capire tutti che il sì era solo un dire: bene, in questo momento non possiamo che dire sì, e dentro di sé ognuno, poi sa solo Dio a chi dare i guai.
Le opposizioni, in Italia, incalzano la premier Meloni a dire dove trova i soldi per simile riarmo. Le chiedono cioè di elencare per filo e per segno da dove prenderà i soldi, dal momento che essa ha promesso che non sottrarrà un solo euro alla spesa sociale. Intanto quelle che passano per spese militari contengono una varietà di spese per la sicurezza. Non solo armi, dunque; ma vari sistemi di difesa, che con pistole e fucili non c’entrano nulla. Sicché sbagliano le opposizioni quando esemplificano la spesa nell’acquisto di armi, contrapponendo queste al miglioramento della sanità pubblica e di altre opere di pace. Vanno avanti per slogan, per facili esemplificazioni. Ipotizzano derive autoritarie senza nessuna giustificazione, così. Siccome in Ungheria Orban è contro le sfilate dei gay-pride e siccome Orban è amico della Meloni, la stessa cosa potrebbe accadere in Italia. Mentre tutti sanno ormai che in Italia i gay-pride sono diventati una consuetudine che non stupisce più nessuno, che possono piacere o non piacere ma nessuno si sogna di vietarli. L’ex saggio Bersani diventa rosso come un peperone quando paventa disastri incostituzionali o anticostituzionali, solo sulla base di un qualche politicamente scorretto. Mai, però, che dica su qualcosa di preciso c’è stata una difformità costituzionale. Tutte le paure si basano sul fatto che Fratelli d’Italia vengono da una cultura politica che non è la consueta dal 1945 in poi.
Quel che non piace alla gente di questa opposizione è il modo sommario di porsi contro il governo in ogni cosa, piccola o grande che sia. La gente ha una capacità intuitiva formidabile, arriva subito al cuore delle cose. Si è accorta e non da ora che le opposizioni non solo non riescono a fare unione e a porsi come un’alternativa possibile ma non riescono neppure a trovare delle problematiche credibili, facili e chiare. La gente coglie al volo le difficoltà in cui esse si aggirano, non sanno dire sì o no a problemi come i migranti e l’ordine pubblico. Agitano continuamente le difficoltà della sanità pubblica ma non riescono mai a suggerire qualcosa di concreto, non riescono ad avere un minimo di onestà intellettuale riconoscendo che essa viene da lontano e che non può essere ascritta al governo di Giorgia Meloni.
sabato 21 giugno 2025
Terzo mandato, la legge è legge
Come per tante altre questioni dell’umano pensare e agire anche il cosiddetto terzo mandato per i presidenti delle regioni o per i sindaci in scadenza presenta aspetti controversi. Come dire, ci sono i pro e i contro, a seconda della concezione che si ha della politica. Qui sono chiamati in causa il diritto naturale e il diritto positivo. Chi ha una concezione naturalistica della politica non mette limiti allo scorrere spontaneo di un processo che nasce, cresce e muore (Machiavelli). Chi, invece, ha una concezione contrattualistica ritiene che la politica vada sottoposta a regole limitatrici (Rousseau). Gli statuti e le costituzioni sono gli esempi più vistosi e importanti della normalizzazione della vita politica. La civiltà dei rapporti umani ne ha beneficiato. Dallo Stato assoluto allo Stato di diritto, allo Stato di giustizia è stato un procedere verso la positività del diritto politico; ad ogni fase ha corrisposto una progressione verso forme sempre più importanti ed evolute.
Arrivo al dunque. Da un po’ di tempo in Italia, nell’imminenza delle elezioni regionali, si discetta sul terzo mandato per i presidenti di regione, che si ritiene abbiano ben governato e meritino la conferma. Ma c’è la regola che impedisce il terzo mandato, di cui si fanno forti i partiti per avocare a sé ogni decisione e quei politici scalpitanti che legittimamente ambiscono alla candidatura. È l’eterno aspetto della politica: chi ha il potere cerca di conservarlo e chi non lo ha cerca di conquistarlo. Qui, però, non è solo questione di uomini, ma di partiti e soprattutto di regole. Il caso veneto è un esempio. Il presidente Zaia, ottimo presidente della regione, del partito della Lega, dopo il secondo mandato deve cedere ad altro candidato di un partito della coalizione. I rapporti di forza elettorale di questi partiti nel frattempo si sono rovesciati in base ai sondaggi. Fratelli d’Italia e Forza Italia rivendicano la candidatura. La partitocrazia torna a fare capolino. In questo caso non sono i cittadini elettori a decidere, ma i partiti che hanno voluto la regola limitatrice.
Le ragioni della limitazione delle candidature sono tante. La democrazia, quando non è in spontaneo e diretto rapporto col popolo, deve avere delle regole. Le quali sono dirimenti. Ma in politica tutto è discutibile. Quello che conta è vincere le elezioni osservando le leggi. Se queste pongono dei problemi, non potendo essere disattese, potrebbero essere cambiate; ma cambiarle, per rendere possibile quello che prima era impossibile, sarebbe come disattenderle. Non si cambiano le regole nell’urgenza di una congiuntura. Bisognava provvedervi prima, senza l’interesse politico incalzante di una prova elettorale.
Regola a parte, ci sono ragioni di opportunità. Ciò che non vieta la legge – diceva una massima latina – lo vieta il pudore. I presidenti uscenti al termine del secondo mandato dovrebbero comportarsi secondo la massima latina “ciò che non vieta la legge lo vieta il pudore”. A Roma chi veniva nominato dittatore in casi di emergenza, scampato il pericolo, restituiva la carica al Senato che gliela aveva conferita. Cincinnato è rimasto l’icona di questo modo di essere e di operare. Lo stesso Augusto, dopo la guerra civile con Antonio, rimise tutti i poteri al Senato, che da parte sua glieli restituì ad abundantiam. Riconoscersi utile ma non indispensabile dovrebbe essere la regola non scritta di ogni politico, un “comandamento”.
Un’altra ragione a favore della necessità del ricambio politico è il rischio che la troppa confidenza col potere sfoci in fenomeni corruttivi o in una sorta di assuefazione al potere da non vedere con occhio vigile i cambiamenti della società. Il rinnovamento è importante quanto il buongoverno, in un mondo che cambia in maniera così vertiginosa da mettere tra una generazione e l’altra cambiamenti che una volta si verificavano in un secolo intero.
La soluzione di lasciare tutto come sta, ossia col divieto del terzo mandato, è la più giusta, a rischio di andare incontro in alcune regioni a veri e propri sottosopra elettorali. Una soluzione da preferire alle monarcheggianti di Zaia nel Veneto e di De Luca in Campania. Il limite è importante. Averlo fissato al secondo mandato può essere opinabile, ma era necessario rendersene conto prima e non nell’urgenza della prova elettorale. L’osservanza della legge, quali che siano le conseguenze politiche, non può portare che una ventata di aria pulita in un ambiente spesso considerato poco respirabile.
sabato 14 giugno 2025
Fatti e non interpretazioni. Ecco il quotidiano originale!
Leggo sul “Messaggero” di Roma (5 giugno 2025) il cambio di direzione, a distanza di un anno, dal direttore Guido Boffo, il quale aveva sostituito Massimo Martinelli, a quest’ultimo. Un cambio di guardia, che se fosse avvenuto in un’altra qualsiasi azienda pubblica o privata avrebbe quanto meno provocato un dibattito. Nulla! In un giornale importante il cambio di direzione non interessa a nessuno. A parte i convenevoli di circostanza, Martinelli riprende la direzione lasciata un anno fa come se nulla di particolare fosse successo. Ma non è di questo che intendo parlare. Probabilmente le ragioni saranno anche banali, comunque poco significative.
La cosa che mi ha colpito nell’editoriale del nuovo-vecchio direttore è l’affermazione: “Riporteremo i fatti, senza la pretesa di darne una interpretazione”. Ho trasalito. Ma come, non si è sempre detto che un buon giornalista separa i fatti dall’interpretazione? Ed ora si mena come vanto il riporto dei fatti e basta? Ma andando avanti nell’articolo si scoprono altre curiosità. Ad un certo punto Martinelli dice: “Faremo un giornale originale, perché inseguire il mainstream, ricalcare la stessa formula di informazione utilizzata dagli altri quotidiani, può diventare un alibi davanti a chi deve valutare il nostro lavoro, cioè il lettore. E disabitua le menti a fare quel lavoro nobile del giornalista che è la ricerca della notizia inedita e la capacità di ideare un servizio di cronaca in grado di scuotere le coscienze per raggiungere un obiettivo più alto rispetto al notiziario dei fatti del giorno”. Bene, anzi benissimo per la “notizia inedita”, ma come è possibile “scuotere le coscienze” limitandosi a raccontare i fatti bandendo ogni interpretazione? Martinelli poi ammette senza dirlo che “per raggiungere un obiettivo più alto rispetto al notiziario dei fatti del giorno” è necessario andare oltre i fatti, dai quali bisogna pur partire. Appunto, “un obiettivo più alto”, che non può essere che oltre il fatto!
La lettura dell’editoriale di Martinelli ha avuto un effetto personale. Sono un docente di Italiano, Latino e Storia nei Licei e negli Istituti Superiori. Parlo, dunque, con deformazione professionale. Per me un fatto è come un testo, va sottoposto ad analisi critica, a commento, a interpretazione, altrimenti serve a ben poco, si tratti di un fatto storico o di un fatto letterario. Tanto più oggi in cui i fatti riportati da un quotidiano il lettore li conosce dalla sera prima. Come si può proporre il “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” del Leopardi senza analisi, commento e interpretazione? Come proporre ai lettori il referendum senza analisi, commento e interpretazione? Domande retoriche, perché la risposta è scontata: non si può! Del resto è così ovvio che le interpretazioni non stanno in piedi senza il fatto che viene di pensare ad un vestito senza il corpo dell’indossatore dentro.
Per come sono evoluti mezzi e tecniche dell’informazione i quotidiani dovrebbero somigliare sempre più ai settimanali o ai mensili; e difatti in un certo senso lo sono. Al fatto si accenna nella sua essenzialità, il resto è commento e interpretazione. Certo gli approcci devono essere onesti, non possono diventare aggressioni, nascondere per non far sapere, esagerare per colpire gli avversari, come capita di vedere in alcuni quotidiani che si propongono sempre più di parte. A questi evidentemente Martinelli faceva riferimento. In Italia i quotidiani sono variamente rispettosi del lettore e della persona in generale. I lettori del “Fatto Quotidiano” non sono i lettori del “Messaggero”. Non si tratta di cercare l’originalità, come dice Martinelli, ma di associarsi ad un modello anziché ad un altro.
Posso dire da incallito lettore di quotidiani che non trovo mai in essi una notizia che già non l’abbia appresa almeno il giorno prima dalla televisione e da internet. Poi ci sono giornalisti onesti e giornalisti disonesti che hanno coi fatti e con la verità dei fatti un approccio diverso, in cui la qualità la fa la distinzione chiara tra fatto e interpretazione. Ma un quotidiano esclusivamente notiziario, tutto fatti e niente commenti non esiste, non si capisce perché dovrebbe esistere.
Viene il sospetto, che non è una parolaccia, che dietro tante belle parole sulla notizia, la verità, l’originalità, lo scuotimento delle coscienze, si nasconda l’eterno vizio del pavone: nessuno ha i colori delle mie penne! Non che non sia normale, ma per questo basta esibirle le penne e il resto va da sé.
sabato 7 giugno 2025
Col decreto sicurezza stiamo più sicuri o no?
Il Parlamento ha approvato il decreto sicurezza che prevede nuovi tipi di reato e inasprito le pene. Le opposizioni hanno dato battaglia e…spettacolo, coi parlamentari sdraiati per terra sotto i banchi del governo. Da una parte le promesse del governo che d’ora in poi gli italiani saranno più protetti, dall’altra le opposizioni che hanno denunciato provvedimenti da Stato autoritario. Evidentemente c’è un esagerato ottimismo da una parte e un esagerato pessimismo dall’altra.
Partiamo da quest’ultima. È veramente uno Stato autoritario quello che si provvede di strumenti giuridici per far vivere più al sicuro i suoi cittadini più esposti? Tutto è relativo. Le leggi possono essere applicate cum grano salis, in maniera equilibrata, e possono essere, in determinati momenti, applicate con severità. Dipende anche dalle situazioni. Ci sono malattie che si possono curare con la medicina, altre con la chirurgia; alcune con dei palliativi, altre con dosi massicce di farmaci. Non dimentichiamo inoltre che ad applicarle le leggi sono i giudici, i quali, nella loro libertà, possono anche svuotare una legge della sua forza. Recentemente i giudici romani hanno assolto i responsabili di aver sporcato con vernice nera la famosa Barcaccia perché in fondo non l’avevano poi tanto sporcata, non l’avevano resa tanto scura. E di queste sentenze ne sentiamo che ne sentiamo!
In questi ultimi tempi nelle città si sono aggravati certi fenomeni di malavita: occupazioni abusive di case, borseggiatrici nei luoghi pubblici, aggressioni personali di cittadini, raggiri di indifese anziane signore, a cui i malviventi sottraggono soldi e oggetti preziosi con l’inganno e la paura, diffusa manovalanza di delinquenti e spacciatori, risse, accoltellamenti, invivibilità delle città specialmente dal calar della sera al giorno successivo, interi rioni invivibili. Questo lo si vede nei dibattiti televisivi, che sono le uniche possibilità per far conoscere queste realtà altrimenti rimarrebbero sconosciute ai più. Il governo ha risposto, come è suo compito, con un provvedimento ad hoc. Le opposizioni hanno sostenuto che già le leggi c’erano e che non c’era alcun bisogno di farne altre. Altre, che stando alla loro denuncia, potrebbero essere pericolose ove ci fosse un governo che quelle leggi applicasse con rigore, anche persecutorio. Insomma, per le opposizioni il decreto sicurezza non serve per rendere più sicura la vita ai cittadini, ma è uno strumento nelle mani del governo che potrebbe usarlo, senza violare la legge, contro normali forme ed espressioni di democrazia. Il decreto prevede anche pene severe per quei reati che attengono manifestazioni non autorizzate, occupazione di locali pubblici, interruzione di pubblici servizi. Fenomeni questi che in genere hanno per protagonisti giovani e giovanissimi. Si pensi all’occupazione delle scuole o ad alcune marce per protesta o per solidarietà, che spesso finiscono col degenerare.
La risposta alle opposizioni che ancora una volta hanno gridato “al lupo! al lupo!” è che un governo deve regolarsi a seconda delle esigenze dei cittadini. Il ragionamento dei partiti di maggioranza è che la gente li ha votati perché vuole da loro mantenere le promesse fatte. Fra queste promesse c’erano sicuramente ordine e sicurezza. Il governo non ha fatto altro che rispondere alle aspettative della gente che lo ha votato.
E veniamo all’eccessivo ottimismo del governo. Davvero queste leggi risolveranno il problema sicurezza? Non bastavano quelle che c’erano? In Italia spesso invece di applicare una legge esistente si sceglie di farne una nuova, come se il problema fosse della legge che non c’era. In un certo senso le opposizioni non hanno torto quando sostengono che con questo decreto non cambierà niente sul piano pratico. In realtà in Italia da sempre non sono mai mancate le leggi, sono mancati quelli che le applicano con scienza e coscienza. Le leggi son – diceva Dante Alighieri ai suoi tempi – ma chi pon mano ad esse? L’aspetto curioso è che su questo convengono sia la maggioranza che l’opposizione, nel senso che sono tutti convinti che i giudici che dovrebbero applicarle le leggi, le leggono prima di tutto a modo loro e poi le applicano secondo criteri politici, di opportunità, sicché alla fine tutto resta come era. Le manzoniane grida poco o nulla servono, specialmente in un paese come l’Italia, dove tutto si stempera nel nulla. Vedremo quanto prima se hanno avuto torto gli ottimisti del governo o i pessimisti dell’opposizione. Forse, più che ottimisti o pessimisti, occorre essere semplicemente scettici.
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